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L'art. 1138, primo comma, c.c. recita: quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione.
Non esiste una definizione univoca di regolamento di condominio, né la riforma del condominio ha apportato uno specifico contributo in materia.
Alcuni studiosi sostengono che il regolamento sia come una legge interna al condominio, altri propendendo per una interpretazione più aderente al dettato normativo parlando di un documento (nella caso di specie come vedremo una delibera) che contiene le norme relative all'uso delle parti comuni.
Quest'ultima definizione non tiene presente che il regolamento c.d. contrattuale (di cui si dirà oltre) può contenere anche delle norme in grado d'incidere sulla proprietà esclusiva.
Secondo la Cassazione, invece, il regolamento di condominio, quali ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e, quindi, anche quando abbia natura contrattuale, si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto della collettività condominiale, come atto volto ad incidere con un complesso di norme giuridicamente vincolanti per tutti i componenti di detta collettività, su un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico ed a porsi come fonte di obblighi e diritti non tanto per la collettività come tale, quanto, soprattutto, per i singoli condomini (Cass. 29 novembre 1995 n. 12342).
Ad ogni modo qualunque sia la definizione di regolamento che più aggrada, il punto fisso è che in un condominio in cui vi siano almeno undici partecipanti deve essere redatto un regolamento.
Funzione precipua di tale regolamento è quella di disciplinare l'uso delle cose comuni, prevedere i criteri di ripartizione delle spese (al regolamento infatti devono essere allegate le tabelle millesimali), fissare le norme a tutela del decoro dell'edificio nonché quelle inerenti l'amministrazione della cosa comune.
Pochi, semplici, esempi chiariranno la portata del dettato normativo.
Il regolamento potrà disciplinare l'uso della zona destinata a parcheggio comune attraverso un criterio di utilizzazione turnario dello stesso, dovrà indicare come ripartire le singole spese in ossequio ai criteri di suddivisione preveduti dagli artt. 1123, 1124, 1126 c.c., potrà subordinare l'affissione di targhe e simili al parere di assemblea e/o amministratore per ragioni di tutela del decoro dell'edificio ed infine potrà stabilire, in aggiunta a quanto già indicato dalla legge, delle norme ulteriori relative alle modalità di svolgimento dell'assemblea o prevedere l'istituzione del consiglio dei condomini. Questo per quanto riguarda obbligatorietà e funzione.
Come si può pervenire alla formazione del regolamento condominiale?
Questo tema ci introduce a quello della natura del regolamento.
Nei complessi immobiliari con più di dieci partecipanti (ma non è infrequente anche i quelli più piccoli) solitamente è il costruttore che al momento della vendita delle singole unità immobiliari inserisce nell'atto di compravendita il regolamento di condominio.
Questo regolamento è detto contrattuale (o negoziale) in quanto accettato e sottoscritto da tutti i condomini.
Può accadere che il costruttore non lo inserisca nei contratti e che debbano essere i condomini in sede assembleare a votarlo per dotarsene. In queste circostanze, ogni condomino potrà prendere l'iniziativa per la formazione e/o la revisione del regolamento esistente (art. 1138, secondo comma, c.c.). È il c.d. regolamento di natura assembleare che per essere valido dovrà riportare il voto della maggioranza degli intervenuti all'assemblea che rappresentino almeno 500 millesimi.
Infine qualora non si riesca a formare un regolamento in sede assembleare, ogni condomino potrà ricorrere all'Autorità Giudiziaria affinché sia la stessa a provvedervi. È il caso del c.d. regolamento di natura giudiziale che potrà essere adottato solo nei condomini dove è obbligatorio dotarsene (sul punto Trib. di Trapani 28 febbraio 2008).
In dottrina su questa presa di posizione non v'è unità di vedute sul punto. A favore della formazione giudiziale del regolamento si veda Rezzonico, Manuale del condominio, IlSole24Ore, 2008, contro Branca, Comunione Condominio negli edifici, Zanichelli, 1982.
La differenza fra i tre tipi di regolamento non è solo nominale ma può estendersi al contenuto.
Così, mentre il regolamento assembleare e quello giudiziale possono contenere norme volte, esclusivamente, a dare attuazione al contenuto dell'art. 1138, primo comma, c.c., quello contrattuale – essendo per l'appunto un accordo negoziale tra tutti i partecipanti al condominio – potrà limitare i diritti di ogni condomino sulla proprietà esclusiva.
Per esemplificare: solo il regolamento c.d. contrattuale potrà vietare di adibire le unità immobiliari ad uso studio, laboratorio, ecc. Si tratta di una mera facoltà e non di un obbligo.
Proprio in materia di divieti la riforma del condominio ha previsto una novità che ha fatto molto discutere e che, alla fine, pare possa considerarsi valida solamente per i regolamenti assembleari.
Stiamo parlano del nuovo quinto comma dell'art. 1138 c.c. a mente del quale, le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici.
Ma il regolamento contrattuale può essere in tutto e per tutto conforme ad uno di natura assembleare.
Questo significa che un regolamento negoziale può anche contenere delle clausole che si limitino a dare attuazione al summenzionato art. 1138 c.c. Ciò ha un immediato risvolto pratico in termini di maggioranze necessarie per la modificazione del regolamento.
Com'è stato giustamente osservato dalla Suprema Corte di Cassazione, infatti, a determinare la contrattualità dei regolamenti sono esclusivamente le clausole di essi limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive (divieto di destinare l'immobile a studio radiologico, a circolo ecc...) o comuni (limitazioni all'uso delle scale, dei cortili ecc.), ovvero quelle clausole che attribuiscano ad alcuni condomini dei maggiori diritti rispetto agli altri (sent. nn. 208 del 1985,n. 3733 del 1987,854 del 1997). […] Conseguentemente, mentre è necessaria l'unanimità dei consensi dei condomini per modificare il regolamento convenzionale, come sopra inteso, avendo questo la medesima efficacia vincolante del contratto, è, invece, una deliberazione maggioritaria dell'assemblea dei partecipanti alla comunione per apportare variazioni al regolamento che non abbia tale natura. E poiché solo alcune clausole di un regolamento possono essere di carattere contrattuale, la unanimità dei consensi è richiesta per la modifica di esse e non delle altre clausole per la cui variazione è sufficiente la delibera assembleare adottata con la maggioranza prescritta dall'art. 1136 2 comma del codice civile (Cass. SS.UU. 30 dicembre 1999 n. 943).
Una volta appurata, obbligatorietà e natura del regolamento vale la pena chiedersi: chi è tenuto a rispettarlo? La domanda merita una risposta articolata in ragione della natura del regolamento.
In presenza di un regolamento assembleare, nonché giudiziale che è equiparabile in tutto e per tutto al primo, esso sarà obbligatorio per tutti i condomini nonché per i loro aventi causa (in sostanza gli acquirenti dell'appartamento) e gli eredi. Tanto si desume dall'art. 1107 c.c. dettato in materia di comunione ma applicabile anche in materia condominiale in virtù del richiamo contenuto nel terzo comma dell'art. 1138 c.c.
Differente è il discorso per il regolamento c.d. contrattuale. In questo caso, trattandosi di un vero e proprio contratto esso avrà effetto solo tra le parti (art. 1372 c.c.) Per opporre il regolamento al neo condomino, quindi, è necessario che ricorrano, alternativamente, due circostanze: a) o il regolamento deve essere allegato o quanto meno richiamato ed espressamente accettato nell'atto d'acquisto dell'unità immobiliare; b) oppure al momento della vendita della prima unità immobiliare (cioè quando nasce il condominio) lo stesso deve essere trascritto nei pubblici registri immobiliari.
In tale ultimo caso per le vendite successive non sarà necessaria la menzione negli atti d'acquisto poiché la trascrizione lo renderà opponibile a tutti i successivi compratori (art. 2643 e ss. c.c.).
La riforma del condominio e di recente il decreto Destinazione Italia hanno previsto la facoltà per l'assemblea di irrogare sanzioni per il caso di violazione del regolamento, se tale irrogazione sia prevista dal regolamento medesimo.
Si è trattato, in verità, di un semplice aggiornamento di importi e di una specificazione del soggetto che può irrogare una sanzione in verità già prevista nel vecchio impianto normativo.
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