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L'installazione dei condizionatori in condominio è argomento che spesso fa discutere se non addirittura litigare. Riprova di quest'affermazione sta anche nel numero di sentenze che è facile rintracciare sull'argomento.
I quesiti sono sempre gli stessi: ma i condizionatori violano il decoro architettonico dell'edificio?
I condizionatori violano le distanze?
I rumori del condizionatore possono impedirne l'utilizzazione?
Partiamo dalla questione dell'alterazione del decoro, ossia della lesione dell'estetica dell'edificio.
Premessa di carattere generale: salvo un espresso divieto di assoluta modificazione dell'estetica dello stabile, che può essere contenuta solamente in un regolamento condominiale contrattuale, ciascun condomino, ai sensi dell'art. 1102 c.c. può servirsi delle parti comuni per apporvi l'unità esterna del condizionatore.
Tale installazione, tuttavia, potrebbe essere considerata lesiva del decoro architettonico dell'edificio.
Come svolgere questa valutazione? In una sentenza resa dal Tribunale di Roma nel febbraio del 2012, si legge che poiché il decoro architettonico degli edifici viene tutelato dalla legge in considerazione della diminuzione di valore che l'edificio può subire, si deve accertare se l'alterazione sia appariscente e di non trascurabile entità e tale da provocare un pregiudizio estetico dell'insieme suscettibile di un'apprezzabile valutazione economica, mentre detta alterazione si può affermare senza necessità di siffatta specifica indagine solo ove si sia riscontrato un danno estetico di rilevanza tale, per entità e/o natura, che quello economico possa ritenersi insito (Trib. Roma 2 maggio 2012 n. 8564).
In sostanza: l'installazione del condizionatore è legittima se, considerato lo stato del palazzo (e quindi anche l'eventuale presenza di altri simili impianti) la sua apposizione non è da ritenersi dannosa in termini estetici e quindi anche economici, ossia non comporta una diminuzione del valore dell'edificio.
Normativa dettata in materia di distanze tra le costruzioni, anche nell'ipotesi di distanze da luci e vedute e nozione di costruzione: a questi elementi bisogna volgere lo sguardo per comprendere se all'installazione dei condizionatori in condominio si applicano le norme sulle distanze.
Partiamo dal primo aspetto. La Cassazione e dietro di essa i giudici di merito, oramai da anni, affermano che la disciplina relativa alle distanze (ed in genere alle servitù) si pone in posizione subordinata nel senso che nel caso di contrasto tra le due discipline la prevalenza va data a quella condominiale non potendosi altrimenti trovare applicazione le norme condominiali sull'utilizzo delle cose comuni ai sensi dell'art. 1102 c.c. ed anche 1120 cit. (Cassazione del 14/04/2004 n.7044) (così Trib. Roma 22 febbraio 2012).
Cos'è una costruzione ai fini della valutazione della normativa sulle distanze?
Quando la Corte di Cassazione ha approfondito il tema delle distanze da luci e vedute delle canne fumarie ha finito per affermare che ritiene difficile potere considerare alla stregua di una costruzione un manufatto che costituisce un semplice accessorio di un impianto posto a servizio di una unità immobiliare di proprietà esclusiva; in questo contesto, dicevano gli ermellini, la legittimità dell'installazione andava valutata ai sensi dell'art. 1102 c.c. e quindi non guardano alle norme sulle distanze, ma a quelle sull'uso delle cose comuni (Cass. 23 febbraio 2012 n. 2741).
Non mancano sentenze di Cassazione che allargano il concetto di costruzione a elementi differenti dai manufatti in mattoni e cemento (cfr. tra le tante Cass. n. 25837/08).
Come dire: sebbene sia difficile considerare una parte d'impianto alla stregua di una costruzione, allo stesso modo la stessa Corte di Cassazione non ha escluso che la costruzione possa andare a coincidere con questo genere di manufatti. Insomma una situazione che desta qualche incertezza.
Vediamo, adesso, la questione concernente i rumori.
I rumori prodotti dai condizionatori possono portare a conseguenze di natura civile e penale; partiamo da queste ultime.
Un esempio tratto da un caso reale e la soluzione fornita dalla Cassazione sono utili a farci inquadrare correttamente il problema.
Tizio è proprietario di una gioielleria ubicata nell'edificio Alfa. L'edificio è in condominio. Per rendere più confortevoli i locali, il gioielliere decide d'installare un impianto di condizionamento dell'aria. Il rumore, però, secondo uno dei suoi vicini è intollerabile e nella specie supera i limiti imposti dalla legge n. 447 del 1995 e successivi decreti di attuazione.
Ne discende un procedimento penale, al termine del quale Tizio viene condannato per il reato di cui all'art. 659 c.p. che punisce il disturbo al riposo e alle occupazioni delle persone.
La norma appena citata sanziona chi per mezzo di schiamazzi o rumori – oppure con l'abuso di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, oppure ancora suscitando o non impedendo strepiti di animali (es. lasciando l'animale solo per ore sul balcone di casa) – disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici.
La norma prevede come sanzione l'arresto fino a tre mesi oppure un'ammenda fino a 309 euro.
La pena è comminata dal giudice in ragione della situazione concreta e anche della personalità del reo.
La legge contempla, infine, delle circostanze aggravanti del reato se chi lo ha commesso esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'Autorità.
Il fatto che abbiamo descritto prima, si diceva, è realmente accaduto e ha portato all'emissione della sentenza penale n. 270 dell'11gennaio 2012 da parte della Corte di Cassazione.
Sentenza di assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato. Una di quelle che vengono chiamate assoluzioni con formula piena.
Perché si è arrivati a questa soluzione?
Si legge in sentenza che in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, i rumori e gli schiamazzi vietati, per essere penalmente sanzionabile la condotta che li produce, debbono incidere sulla tranquillità pubblica - essendo l'interesse specificamente tutelato dal legislatore quello della pubblica tranquillità sotto l'aspetto della pubblica quiete, la quale implica, di per sè, l'assenza di cause di disturbo per la generalità dei consociati – di guisa che gli stessi debbono avere tale potenzialità diffusa che l'evento di disturbo abbia la potenzialità di essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se, poi, in concreto soltanto alcune persone se ne possano lamentare (Cass. 11 gennaio 2012 n. 270).
Il rumore, insomma, dev'essere in grado di disturbare la tranquillità pubblica e quindi un numero indeterminato di persone.
Se così non è, secondo gli ermellini ne discende che il reato previsto e punito dall'art. 659 del codice penale non sussiste allorquando i rumori arrechino disturbo, come nel caso di specie, ai soli occupanti di un appartamento, all'interno del quale sono percepiti, e non ad altri soggetti abitanti nel condominio in cui è inserita detta abitazione ovvero nelle zone circostanti: infatti, in tale ipotesi non si produce il disturbo, effettivo o potenziale, della tranquillità di un numero indeterminato di soggetti, ma soltanto di quella di definite persone, sicché un fatto del genere può costituire, se del caso, illecito civile, come tale fonte di risarcimento di danno, ma giammai assurgere a violazione penalmente sanzionabile (v, per tutte, Sez. 1, 17.3/17.5.2010, Oppong, Rv 247062; Sez. 1, 12.12.1997/ 5.2.1998, P.C. e Constantini, Rv. 209694) (Cass. 11 gennaio 2012 n. 270).
Dal punto di vista civilistico, invece, il rumore del condizionatore può portare a una richiesta giudiziale di rimozione dell'impianto (o quanto meno a una condanna a utilizzare accorgimenti atti a portare il rumore entro limiti accettabili oltre che consentiti dalla legge) allorquando le immissioni rumorose da esso prodotte debbano essere considerate intollerabili ai sensi dell'art. 844 del codice civile.
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