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Ciascun proprietario di un'unità immobiliare ubicata in un edificio in condominio è obbligato a pagare le spese condominiali per il sol fatto d'essere titolare di quel cespite.
Questo principio di carattere generale – che è poi graduato rispetto alla particolare tipologia di beni e servizi di cui il condomino fruisce – è rinvenibile da una serie di norme dettate dal codice civile nonché dall'interpretazione dottrinario-giurisprudenziale delle medesime; partiamo dalle norme.
A mente dell'art. 1118 c.c., infatti, ciascun condomino il cui diritto sulle cose comuni è proporzionale al valore millesimale (art. 69 disp. att. c.c.) dell'unità immobiliare di sua proprietà, salvo particolari indicazioni contenute nelle leggi speciali, non può sottrarsi all'obbligo di pagamento delle spese per la conservazione delle parti comuni.
Insomma l'obbligo di pagamento è stabilito dalla legge e deriva dall'essere proprietari; dottrina e giurisprudenza hanno classificato questa obbligazione, quale obbligazione propter rem, vale a dire quale obbligo legato al diritto reale (la proprietà, l'usufrutto, ecc.) e che con esso circola (cfr. Cass. 18 aprile 2003 n. 6323).
Venduto l'appartamento – salvo il caso della solidarietà per omessa comunicazione della copia autentica dell'atto all'amministratore – il cedente non è più obbligato verso il condominio rispetto alle spese maturate dopo la compravendita.
Chiarito questo aspetto è utile comprendere in che maniera debbano essere ripartite le spese condominiali e perché determinati comportamenti, pur non sanciti in patti scritti, i così detti facta concludentia, possano assumere rilievo.
Le spese devono essere ripartite secondo i criteri indicati dalla legge (o da un diverso accordo tra tutti i condomini), anche se i comportamenti concludenti (così detti facta concludentia) di senso opposto conferiscono legittimità ai criteri concretamente applicati.
Il criterio generale è dettato dall'art. 1123, primo comma, c.c. e prevede che determinate spese, ossia i costi inerenti conservazione delle parti comuni, innovazioni e prestazione dei servizi nell'interesse comune debbano essere suddivisi tra i condomini secondo i millesimi di proprietà.
Questo criterio è mitigato dal secondo comma del medesimo articolo, a mente del quale se le cose servono i condomini in misura diversa, le spese devono essere ripartite in base all'uso che ciascuno può farne. Questa regola di carattere generale è poi ripresa nei successivi artt. 1124 e 1126 c.c.
Il terzo comma, infine, specifica che se alcune cose non servono in alcun modo ad una parte dei condomini, le spese che li riguardano devono essere sostenute solamente da chi trae utilità da quei beni; è il caso del così detto condominio parziale.
In questo contesto può accadere che:
a) l'amministratore all'atto di ripartizione della spesa la ripartisca correttamente;
b) l'amministratore ripartisca la spesa erroneamente e l'assemblea approvi quella ripartizione;
c) l'assemblea decida una ripartizione difforme ai criteri legali.
In questi ultimi due casi la deliberazione dev'essere considerata annullabile per l'ipotesi di cui al punto b) mentre dev'essere considerata nulla nel caso di deroga volontaria non adottata con il consenso di tutti i condomini (cfr. Cass. 18 gennaio 2010 n. 657).
Che cosa succede, però, se a fronte di una deroga volontaria ma non unanime nessun condomino contesta ed anzi tutti si adeguano di buon grado?
I comportamenti univocamente orientati possono assurgere al ruolo di tacito accordo derogatorio?
Con la locuzione latina facta concludentia (letteralmente comportamenti concludenti), si fa riferimento a quelle condotte tacite dalle quali è possibile desumere l'accettazione di una determinata situazione di fatto che riverbera i propri effetti anche sul piano giuridico.
Alla domanda, nella sostanza, ha risposto – ultimo in ordine di tempo – il Tribunale di Milano con la sentenza n 10802 del 5 settembre 2014.
Secondo il giudice meneghino in tema di disciplina della ripartizione delle spese condominiali e applicazione dei criteri legali o pattizzi, la convenzione modificatrice può considerarsi perfezionata anche per facta concludentia.
Tale circostanza modificatrice può essere desunta:
a) dalla partecipazione con il voto favorevole alle reiterate decisioni assunte dall'assemblea condominiale per ripartire le spese in ragione di un criterio differente rispetto a quello dettato dall'art. 1123 c.c.;
b) anche dall'acquiescenza mostrata verso l'esecuzione di tali delibere.
Osservare le decisioni dell'assemblea cui non s'è preso parte, infatti, può essere considerato comportamento rivelatore della volontà del condomino rispetto all'applicazione di criterio di ripartizione ivi deciso (cfr. Trib. Milano 5 settembre 2014 n. 10802).
Anche la Cassazione, quando s'è espressa sull'argomento, ha riconosciuto il valore modificativo ai così detti comportamenti concludenti (facta concludentia, cfr. Cass. 24 maggio 2013, n. 13004), in quanto afferenti a questioni non legate ai diritti reali ma solamente alle obbligazioni di pagamento di somme di denaro.
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