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Il condominio, afferma la Cassazione, sorge ipso iure et facto, e senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni, nel momento in cui l'originario costruttore di un edificio diviso per piani o porzioni di piano, aliena a terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata, perdendo, in quello stesso momento, la qualità di proprietario esclusivo delle pertinenze e delle cose e dei servizi comuni dell'edificio (Cass. 4 ottobre 2004, n. 19829).
Un esempio: Tizio, unico proprietario di un edificio, cede una delle unità immobiliari in esso ubicate: da quel semplice atto di cessione sorge automaticamente il condominio, tant'è che nella nota di trascrizione dell'atto d'acquisto, così come specificato dall'art. 2659 n. 1 c.c., devono essere indicati l'eventuale denominazione, l'ubicazione e il codice fiscale del condominio stesso.
Una volta costituitosi il condominio, le parti comuni ai comproprietari (salvo differente indicazione contenuta negli atti d'acquisto e/o nel regolamento contrattuale che dev'essere parimenti trascritto per essere successivamente opponibile anche agli altri acquirenti) sono quelle individuate dall'art. 1117 c.c.
Si tratti di un condominio con due soli partecipanti, o di una compagine molto più numerosa, nei rapporti inerenti la gestione delle cose comuni dovranno essere applicate le norme di cui agli artt. 1117 e ss. c.c. ed insieme ad esse quelle dettate in materia di comunione ma applicabili al condominio in ragione del rimando contenuto nell'art. 1139 c.c. Tra esse v'è l'art. 1102 c.c. dedicato all'uso della cosa comune.
Recita il primo comma dell'art. 1102 c.c.
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.
Secondo la Corte di Cassazione il partecipante alla comunione può usare della cosa comune per un suo fine particolare, con la conseguente possibilità di ritrarre dal bene una utilità specifica aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate dagli altri, con il limite di non alterare la consistenza e la destinazione di esso, o di non impedire l'altrui pari uso. La nozione di pari uso della cosa comune cui fa riferimento l'art. 1102 c.c. non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione (così, ex multis, Cass. 5 ottobre 2009, n. 21256).
Ciò vale per l'uso delle parti comuni da parte del singolo; in questo contesto, pertanto, dovrebbe essere considerata legittima l'installazione ad opera di un solo condomino delle rastrelliere purché ciò non sia lesivo del diritto degli altri condomini.
È chiaro che la valutazione della liceità non possa sfuggire da un esame della situazione di fatto. Sicuramente la grandezza del luogo utilizzato andrà ad incidere su questa installazione; d'altra parte è di tutta evidenza che posizionare una rastrelliera in un piccolo passaggio pedonale è cosa ben diversa dal farlo in un'ampia zona di passaggio o in un cortile.
Che cosa fare, invece, se la decisione vuole essere assunta in sede assembleare?
L'assemblea, in primis, e comunque anche l'amministratore hanno il potere riconosciuto dalla legge di disciplinare l'uso della cosa comune; all'assemblea, in linea generale, spettano i poteri d'indirizzo, mentre all'amministratore quelli attuativi delle decisioni dell'assise.
Ad ogni buon conto è bene rammentare che l'amministratore non ha poteri meramente esecutivi, ma anche decisionali in merito alla disciplina dell'uso delle cose comuni (si pensi all'orario di accensione degli impianti di riscaldamento).
Per quanto riguarda le rastrelliere, vista la spesa che esse comportano, è bene che la decisione sia assunta dall'assemblea, ferma restando la possibilità dell'amministratore di operare in tal senso, facendosi poi ratificare il provvedimento.
Come per l'uso individuale, anche per quello deciso dall'assemblea esistono dei limiti; in particolare quelli di non ledere il diritto dei singoli rispetto all'uso dei beni comuni e di non porre in pericolo la stabilità e la sicurezza dell'edificio.
Quando è stata chiamata a pronunciarsi sull'argomento la giurisprudenza ha affermato che l'installazione è da ritenersi legittima se le rastrelliere impediscono l'utilizzo delle cose comuni come già esistenti e destinate (Trib. Savona 18 aprile 2012, nel caso di specie è stata ritenuta lecita l'installazione di una rastrelliera su un marciapiede condominiale in quanto non lesiva del transito pedonale).
Al pari dell'uso individuale, quindi, anche per la decisione assembleare la valutazione della legittimità dovrà avvenire caso per caso.
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