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Il condominio è un edificio nel quale convivono parti di proprietà esclusiva a fianco a parti di proprietà comune.
Questa la definizione classica di condominio negli edifici; tale definizione necessita di un aggiornamento dovuto all'entrata in vigore della riforma.
Il condominio è quella particolare forma di comunione di beni, particolare perché forzosa, tra più unità immobiliari in proprietà esclusiva.
Nella sostanza la legge n. 220/2012 (la riforma) ha fatto sì che le norme dettate in materia di condominio siano applicabili ex legge (e non solo quindi per dettame giurisprudenziale) anche a quelle particolari forme di condominio diverse dagli edifici che si estendono in verticale; il riferimento è ai così detti condomini orizzontali, ecc. (cfr. art. 1117-bis c.c.)
Innanzitutto con la locuzione parti di proprietà comune si fa riferimento a quei beni funzionali e strumentali al miglior godimento delle unità immobiliari di proprietà esclusiva (abitazioni, locali commerciali, box, ecc.) poste in un edificio (sulla definizione giuridica di parti comuni data dalla giurisprudenza si veda su tutte Cass. 14 marzo 2008 n. 6981).
Se per l'identificazione delle parti di proprietà esclusiva non sorgono particolari problemi (il riferimento è alle unità immobiliari) non sempre è agevole capire quali siano le parti di proprietà comune.
Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo:
1) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate;
2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune;
3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.
La riforma ha cambiato ben poco rispetto al passato; è certo, però, il riferimento alle unità immobiliari e non più alle porzioni di piano rende pacifica l'applicabilità delle norme sul condominio anche a quei condomini che si sviluppano in senso orizzontale.
Quella contenuta nell'articolo testé citato è un'elencazione la cui validità dev'essere verificata caso per caso.
In sostanza se l'atto d'acquisto dell'unità immobiliare o il regolamento di condominio di natura contrattuale (cioè quello accettato e sottoscritto da tutti i condomini) non dicono nulla in merito, il suolo, le scale, i locali destinati ad ospitare gli impianti comuni (es. locale per la caldaia dell'impianto centralizzato comune) e tutti gli altri elencati nel suddetto articolo sono da considerarsi di proprietà di tutti i condomini.
L'elencazione operata dall'art. 1117 c.c. non è tassativa ma puramente esemplificativa; lo si desume dallo stesso contenuto del succitato articolo secondo cui possono formare oggetto di proprietà comune in genere tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune.
L'importante è che il bene o la parte che si assume essere comune sia necessario e funzionale ad un miglior godimento delle parti di proprietà esclusiva.
Così, tra i beni comuni non espressamente menzionati dall'art. 1117 c.c. la giurisprudenza della Cassazione ha fatto rientrare il decoro architettonico ossia l'estetica del fabbricato data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità (Cass. 16 gennaio 2007 n. 851).
Una volta individuate le parti comuni dello stabile, vale la pena vedere quale sia la relazione giuridica che si va ad instaurare tra queste ed il condomino.
Per relazione giuridica si intende il legame tra il bene e la persona che ne è proprietaria.
Il condominio è una comunione forzosa, cioè oltre ad essere imposta dalla legge non può (almeno in linea generale) essere sciolta.
Su questo punto è chiaro l'art. 1119 c.c. secondo cui le parti comuni dell'edificio non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio.
Anche qui la riforma ha cambiato ben poco: il riferimento al consenso di tutti i condomini, anche se non espresso, era da ritenersi pacifico secondo la dottrina e la giurisprudenza.
A questa disposizione va ricollegata la norma di cui all'art. 1118, terzo comma, c.c., la quale prevede che il condomino non può sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d'uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali; tali spese devono essere sostenute da tutti i partecipanti al condominio in proporzione al valore del proprio appartamento rispetto alle parti comuni (tale proporzione altro non è che il valore millesimale dell'unità immobiliare contenuto nelle c.d. tabelle millesimali).
Un esempio chiarirà quanto detto fin'ora.
Se gli atti d'acquisto ed il regolamento condominiale non dispongono nulla, il lastrico solare deve essere considerato un bene comune, come tale di proprietà di tutti i condomini.
Ciò significa che una volta ceduto l'appartamento con esso, automaticamente e senza necessità di menzione nell'atto d'acquisto, sarà ceduta anche la propria quota di proprietà del bene comune in quanto lo stesso è per sua natura funzionalmente collegato alla parte dell'edificio di proprietà esclusiva (nel caso del lastrico solare la funzione è quella di copertura dell'edificio).
Il proprietario dell'unità immobiliare non potrà, per sottrarsi alle spese di conservazione delle cose comuni, rinunciare alla proprietà di tali beni (nel caso dell'esempio il lastrico solare).
Le norme del codice civile che regolano il condominio negli edifici (artt. 1117-1139 c.c.) non contengono una disciplina espressa dell'uso delle parti comuni.
In questo caso, in virtù del richiamo alle norme sulla comunione in generale contenuto nell'art. 1139 c.c., sarà applicabile l'art. 1102, primo comma, c.c. a norma del quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.
Per fare un esempio, e salva ogni diversa disposizione contenuta nel regolamento, ogni condomino potrà abbellire il pianerottolo antistante il proprio appartamento o l'ingresso dello stabile riponendo piante, fiori e altri complementi d'arredo purché tale utilizzo non sia d'intralcio (esempio, impedendo o rendendo più gravoso l'ingresso) agli altri partecipanti al condominio.
Il condomino potrà fare ciò senza aggravio di costi per gli altri, in sostanza accollandosi tutte le spese.
La riforma, in materia di tutela della destinazione d'uso delle parti comuni, ha introdotto nel codice civile l'art. 1117-quater, che recita:
In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni, l'amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l'esecutore e possono chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L'assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal secondo comma dell'articolo 1136.
Resterà da vedere quale sarà la nozione di attività che incide in modo negativo e sostanziale sull'uso delle parti comuni.
Per dirla con un esempio: parcheggiare una bici in un androne d'ingresso potrà essere considerata violazione d'uso in grado d'incidere in modo negativo e sostanziale sulla destinazione del bene?
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