|
È il quesito a cui ha risposto la Suprema Corte con una recente ordinanza (Cass. 24295/14), rigettando, per quanto ci interessa, l'ipotesi che si tratti di costituzione di servitù e in generale che vi sia un uso della cosa comune in violazione dell'art. 1102 c.c.
Nel caso di specie, una controversia condominiale aveva portato le parti, singolo proprietario e condominio, sino al terzo grado di giudizio per sentire il Giudice accertare se, come detto, la proprietaria potesse o no lecitamente realizzare l'apertura di tale nuovo ingresso.
I giudici dei primi due gradi di giudizio avevano accolto le ragioni della proprietaria ed infatti le sentenze erano state impugnate dal condominio.
In particolare, in terzo grado il condominio contestava, nel merito, la violazione e falsa applicazione dell'art. 1102 c.c., affermando che il giudice a quo, ritenendo l'apertura del nuovo accesso al locale terraneo [...] idonea a garantire anche agli altri condomini l'uso dell'androne della scala [...], avrebbe in realtà costituito una servitù di ingresso sul menzionato androne in favore della resistente.
In sostanza si affermava che venisse leso il diritto all'uso della cosa comune sancito dall'art. 1102 c.c. mediante la costituzione di una servitù.
Dopo avere escluso ogni dubbio circa la qualità di condomina in capo alla resistente e dunque della sua attitudine sia ad impugnare la delibera assembleare, sia, ad utilizzare, in quanto bene comune ex art. 1102 c.c., l'androne della scala del condominio, la sentenza entra nel vivo della questione.
Va escluso, afferma la corte, che si ricada nell'ipotesi di costituzione di servitù: non ritiene infatti pertinente il riferimento alla giurisprudenza della stessa corte relativa alla costituzione di servitù di passaggio su beni condominiali, in ragione della diversità tra la fattispecie concretamente verificatasi e quella prevista dall'orientamento in esame. Infatti, l'indirizzo de quo si riferisce all'ipotesi della costituzione di servitù di passaggio su beni condominiali per consentire un collegamento diretto tra distinti immobili di proprietà del medesimo privato (cfr., ex multis, Cass., 18-09-2013, n. 21395; Cass., 06-02-2009, n. 3035; Cass., 19-04-2006, n. 9036; Cass., 13-01-1995, n. 360).
Al contrario, nel caso di specie l'intimata si è limitata a chiedere l'apertura di un nuovo ingresso per il proprio immobile presso l'androne condominiale, cosi da realizzare unicamente un utilizzo più intenso di tale bene comune, senza, quindi, escludere gli altri condomini dall'uso del bene in questione.
Effettivamente le sentenze richiamate dall'appellante e menzionate dalla Corte nel provvedimento in commento riguardano situazioni ove la realizzazione della nuova apertura aveva creato un collegamento con beni immobili esterni al condominio, consentendo l'accesso a soggetti estranei e per questo motivo erano stante ritenute illegittime, potendo dare luogo a servitù a carico della proprietà condominiale e non risolvendosi affatto in un semplice maggior godimento della cosa comune da parte del condominio, integrando una anormale e diversa utilizzazione, diretta a sopperire ai bisogni di un bene al quale non è legata da alcun rapporto e che può dar luogo all'acquisto di una servitù a carico della proprietà condominiale (Cass. 360/1995).
Ciò, prosegue la Suprema Corte, appare pienamente in linea con il consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo il quale, in tema di comunione, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune una utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene tratta dagli altri comproprietari, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di quest'ultimi. In particolare, per stabilire se l'uso più intenso da parte del singolo sia da ritenere consentito ai sensi dell'art. 1102 cod. civ., non deve aversi riguardo all'uso concreto fatto della cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno.
L'uso deve ritenersi in ogni caso consentito se l'utilità aggiuntiva, tratta dal singolo comproprietario dall'uso del bene comune, non sia diversa da quella derivante dalla destinazione originaria del bene e sempre che detto uso non dia luogo a servitù a carico del suddetto bene comune (cfr. Cass., 27-02-2007, n. 4617; Cass., 30-05-2003, n. 8808; Cass., 01-08-2001, n. 10453; Cass., 12-02-1998, n. 1499).
Nel caso di specie, chiosano gli ermellini, pare evidente che l'apertura nell'androne della scala [..] di una nuova entrata per il locale terraneo dell'intimata non impedisca agli altri condomini di fruire dell'androne per raggiungere i propri appartamenti. Né, tantomeno, si potrebbe ragionevolmente affermare che l'ingresso de quo sia idoneo ad alterare irreversibilmente la destinazione dell'androne.
Al contrario, l'apertura del nuovo accesso all'immobile dell'intimata valorizzerebbe e potenzierebbe la funzione dell'androne in esame, ossia quella di facilitazione del transito dei condomini, e dei terzi, da e verso le singole unità abitative della scala.
|
||