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L'art. 1117 c.c. non menziona tra le parti comuni i pianerottoli limitandosi ad indicare espressamente tra le altre cose le scale e più in generale tutte le parti necessarie all'uso comune.
La Corte di Cassazione, ormai da diverso tempo, afferma che l'elencazione delle parti comuni contenuta nella norma appena citata ha carattere meramente esemplificativo (ex multis Cass. 18 settembre 2009 n. 20249).
In ragione di ciò, sempre la Corte di Cassazione ha specificato che debbono considerarsi di proprietà comune tutte quelle parti che rispetto alle unità immobiliari di proprietà esclusiva si pongano in un rapporto di accessorietà tale da essere funzionali al miglior godimento delle prime (si veda Cass. 2 marzo 2007, n. 4973).
In questo contesto non v'è motivo di dubitare che anche i pianerottoli, al pari delle scale, debbano essere considerati di proprietà comune quali elementi necessari alla configurazione di un edificio diviso per piani (cfr. Cass. 10 luglio 2007 n. 15444).
Stando così le cose è utile domandarsi quale uso si possa fare di questa parte comune.
L'uso che il singolo può fare dei pianerottoli, così come l'utilizzazione delle altre parti comuni, è sottoposto al rispetto dell'art. 1102 c.c.
A mente del primo comma di tale norma – dettata in materia di comunione in generale, ma applicabile al condominio in ragione del rimando contenuto nell'art. 1139 c.c. – ogni condomino può servirsi della cosa comune a condizione che:
a) non ne alteri la destinazione;
b) non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto;
c) più genericamente (anche se la norma non lo specifica espressamente), non credi problemi alla sicurezza, alla stabilità ed al decoro dell'edificio.
In questo contesto ed entro tali limiti, specifica l'art. 1102 c.c., il condomino, a proprie spese, può apportare alla cose comuni oggetto dell'uso individuale le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.
Il singolo partecipante al condominio potrà servirsi della cosa comune purché la usi in modo tale da non impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto, ossia non di farne un uso contemporaneo e paritario ma tutti quegli usi possibili che lo stesso bene consente.
Dello stesso avviso la giurisprudenza di legittimità secondo la quale la nozione di pari uso della cosa comune non richiede necessariamente l'uso contemporaneo della parte comune ad opera di tutti i partecipanti al condominio, infatti usare paritariamente un bene comune non vuol dire farne necessariamente un uso identico e contemporaneo, ossia una utilizzazione da parte di tutti i condòmini nello stesso momento; ciò perché ove fosse richiesto tale requisito si avrebbe la conseguenza della impossibilità per ogni condomino di usare la cosa comune tutte le volte che questa fosse insufficiente a tal fine (su tutte, in tal senso, Cass. 16 giugno 2005 n. 12873).
In ragione di ciò è possibile, senza nessuna pretesa di esaustività ed a puro titolo esemplificativo specificare alcuni degli usi da considerarsi leciti ed altri da reputarsi, invece, non consentiti.
È lecito abbellire il pianerottolo ornandolo con piante ed altri generi di oggetti purché tale utilizzo non renda impossibile o maggiormente difficoltoso il passaggio per gli altri condomini che devono passarci per raggiungere (eventualmente) il lastrico solare e le loro unità immobiliari ubicate a quel piano o ai piani superiori.
È certamente vietato, sia pure solo per brevissimi periodi di tempo e a patto che non siano fonte di cattivi odori, depositare i rifiuti in attesa di gettarli nei cassonetti.
È altresì vietato tenere animali su quella parte comune se gli stessi possono creare disturbo o pericolo per gli altri condomini.
Che cosa succede se una persona, sia essa un condomino oppure un estraneo al condominio, cade transitando su uno dei pianerottoli condominiali?
Detta diversamente: il condominio può essere considerato responsabile dei danni e quindi essere condannato a risarcirli?
Se questa parte dell'edificio non presenta difetti tali da poter assurgere a causa di uno scivolone, il condominio non può essere chiamata a risarcire i danni susseguenti ad uno scivolone.
La Cassazione, quando si è espressa sull'argomento (es. sent. n. 18496, depositata in cancelleria il 2 agosto 2013) ha chiarito quando ed a che condizioni il condominio possa essere considerato responsabile.
Responsabilità oggettiva del condominio, danni da cose in custodia; sono questi i concetti chiave per inquadrare correttamente la problematica.
Ai sensi dell'art. 2051 c.c.: ogni persona è considerata responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
Il condominio non è un soggetto di diritto distinto dai suoi partecipanti; la compagine, tuttavia, rappresenta pur sempre un centro d'imputazione d'interessi distinto e distinguibile dai partecipanti.
L'obbligo di custodia, quindi, ricade in capo a tutti i condomini rappresentati dall'amministratore. La giurisprudenza, di merito e di legittimità, ormai da anni afferma che la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo. Ciò vuol dire che affinché possa configurarsi in concreto una responsabilità per danni da cose in custodia basta che ricorra il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, non essendo necessario indagare sulla condotta del custode e né valutare l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza.L'oggettività della responsabilità, infatti, fa sì che si risponda dei danni in ragione della qualità di custode e non perché si possa rimproverare al custode un certo grado di negligenza nel suo modo di essere (si veda tra le tante, Trib. Urbino 3 giugno 2010).
È evidente che responsabilità oggettiva voglia dire anche maggiore facilità di dimostrare il danno da parte del danneggiato. Chi agisce in giudizio per il risarcimento del danno ha l'onere di provare l'esistenza del rapporto causale tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale. (Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 4279 del 19/02/2008) (così Trib. Urbino 3 giugno 2010).
All'alleggerimento dell'onere probatorio per il danneggiato corrisponde un aggravamento per il custode, ergo, nei casi di beni in condominio, per la compagine. Il pianerottolo, s'è detto in principio pur non menzionato dall'art. 1117 c.c., è una parte dell'edificio che deve considerarsi di proprietà comune.
Il fatto che ci si procuri un danno su di una parte comune non significa automaticamente responsabilità per il condominio.
Come si diceva parlando dell'onere della prova, il danneggiato deve sempre dimostrare il nesso di causalità tra cosa e danno. Nel caso di specie risolto dalla Cassazione con la sentenza n. 18496/13, ad esempio, alla persona danneggiata fu negato il risarcimento del danno perché non aveva provato che la sua caduta era conseguenza di un difetto del pianerottolo sul quale era occorsa e non solamente di essere caduta sul pianerottolo. Insomma il ruzzolone non dà diritto al risarcimento se deriva da un fatto proprio della persona caduta e non da un difetto del bene sul quale è avvenuto.
Sul vocabolario della lingua italiana l'androne è definito come l'ambiente di passaggio dal portone d'ingresso della casa alle scale e al cortile (Fonte: Dizionario enciclopedico Treccani).
Come si diceva per il pianerottolo, l'art. 1117 c.c. non menziona nemmeno l'androne tra le parti comuni di un edificio in condominio; della sua condominialità tuttavia non c'è ragione di dubitare, in quanto data la sua funzione, ossia consentire il passaggio dal portone comune agli appartamenti o comunque alle scale dell'edificio, non v'è motivo per non considerarlo parte integrante dei beni condominiali.
Unica eccezione: una riserva di proprietà esclusiva a favore di uno i più condomini contenuta nel titolo, ossia negli atti d'acquisto e/o nel regolamento condominiale contrattuale.
Alla stregua del pianerottolo e di qualunque altro bene comune, anche gli androni possono essere utilizzati da tutti i condòmini nei limiti di quanto stabilito dall'art. 1102 c.c. nel significato che gli è proprio e sul quale ci si è soffermati in precedenza.
Per quanto s'è appena detto, è evidente che, salvo il caso di androne di ridotte dimensioni, non dovrebbero sussistere problemi nel lasciare (aperto o richiuso) in questa parte dell'edificio un passeggino (come è lecito, alle medesime condizioni, utilizzare per tal scopo anche i pianerottoli).
Si supponga che l'androne sia dotato di un sottoscala: quale dovrebbe essere il nocumento per gli altri condomini?
Chiaramente, lasciare non può voler dire abbandonare a se stessa una cosa: l'uso dev'essere funzionale alle esigenze della vita quotidiana senza che ciò trasformi queste parti dell'edificio in ripostigli. Come dire: usare le cose comuni è lecito nella giusta misura in cui non divengano spazi completamente asserviti alle esigenze individuali.
Resta fermo che un regolamento condominiale può sempre vietare determinate utilizzazioni e queste delibere, salvo il caso di eccesso di potere devono essere rispettate da tutti i condomini.
La valutazione della legittimità della modalità d'uso dell'androne, come di qualunque altra parte comune, dev'essere eseguita ai sensi dell'art. 1117-quater c.c. che vieta le attività che incidano negativamente ed in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso dei bani comuni. L'onere di provare tali negative incidenze spetta a chi le invoca.
In definitiva: lasciare passeggini nell'androne (ma anche sul pianerottolo) è lecito nella misura in cui ciò non violi destinazioni regolamentate, o comunque non impedisca ad altri di utilizzare quelle parti comuni nello stesso modo o in modo confacente alle loro esigenze.
Un equilibrio sicuramente delicato che sfugge alle tipizzazioni normative aventi carattere generale.
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