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Come si scioglie la comunione di un immobile?
Quando un bene è in comproprietà può accadere che qualcuno dei proprietari voglia chiederne la divisione. Il bene da dividere può essere stato acquistato mediante atto tra vivi (ad esempio tramite una compravendita) oppure può essere stato acquisito per successione ereditaria.
In entrambi i casi ci troviamo di fronte a un'operazione piuttosto complessa.
Per dividere il bene in comune si può procedere in via consensuale oppure fare ricorso all'autorità giudiziaria. Vediamo cosa dice la legge in materia.
In primo luogo chiariamo cosa si intenda per comproprietà e cosa essa comporti.
Si parla di comproprietà su un bene, quando su di esso coesistono più diritti di proprietà.
La comunione indica uno stato di contitolarità in cui si trova un diritto reale.
Precisiamo che la comunione del bene può riguardare oltre alla proprietà anche altri diritti reali, come ad esempio usufrutto, superficie, ecc.
I partecipanti alla comunione sono titolari di quote ideali che, in mancanza di disposizioni specifiche, si presumono uguali. Ciascun comproprietario, potrà godere del bene consentendo identico uso agli altri proprietari.
A causa delle difficoltà che si possono incontrare nell'amministrazione e fruizione di un bene in comune, i proprietari talvolta ritengono opportuno dividere le quote di appartenenza.
Ogni decisione infatti (come vendita, affitto etc, del bene) deve essere presa in modo collettivo e anche il godimento del bene deve tener conto dei pari diritti degli altri partecipanti.
Ecco che la divisione può rivelarsi l'unica soluzione per eliminare gravosi problemi.
Può accadere che tutti i proprietari siano d'accordo, avendo gli stessi interessi e proponendosi gli stessi obiettivi. In questo caso si avrà una divisione consensuale. Qualora invece, per molteplici ragioni che vedremo più avanti, non si possa addivenire a tale accordo, si dovrà ricorrere alla divisione giudiziale.
In base a quanto stabilito dall'articolo 1111 del Codice civile in materia, ciascuno dei partecipanti alla comunione può sempre domandare lo scioglimento della stessa.
Con la divisione si ottiene la titolarità esclusiva su una porzione del bene in comune.
Se l'immediato scioglimento può pregiudicare l'interesse degli altri, si potrà ricorrere, in mancanza di accordo, all'autorità giudiziaria, affinché fissi un termine di dilazione. Detto termine non potrà essere superiore a 5 anni.
Un eventuale patto concluso tra i comproprietari di rimanere in comunione per un tempo prefissato non può essere superiore a 10 anni per essere valido. Esso ha effetto anche per gli aventi causa dei partecipanti. Se è stato stipulato per un termine superiore a 10 anni, verrà ridotto a 10.
Si può parlare di divisione consensuale quando tutti i partecipanti sono d'accordo nel voler sciogliere la comunione del bene. Le parti concordano sulle quote ideali e sulle porzioni da assegnare a ciascuno dei proprietari. Per trovare un punto di incontro le parti possono servirsi delle prestazioni di un professionista competente, come un avvocato o un tecnico specializzato in materia.
Requisito fondamentale per poter procedere a una divisione in natura del bene in comunione è che esso sia divisibile. Se ad esempio siamo in presenza di un appartamento, esso deve essere frazionabile in più unità abitative. In base a quanto statuito nell'articolo 1112, lo scioglimento della comunione non può essere chiesto quando si tratta di cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso cui sono destinate.
Ogni comproprietario ha diritto a chiedere lo scioglimento; si tratta di un diritto imprescrittibile che pertanto può essere esercitato in qualunque tempo, a prescindere dalla quota di partecipazione di ognuno. Un partecipante alla comunione non può essere vincolato per sempre alla comunione.
Nel caso in cui si addivenga all'accordo sulla divisione si dovrà stipulare un vero e proprio contratto che dovrà essere sottoscritto da tutti i comproprietari e, nel caso abbia a oggetto un bene immobile, dovrà essere redatto davanti al notaio con atto pubblico, a pena di nullità.
Esso dovrà altresì essere trascritto. In mancanza di trascrizione l'accordo sarà valido unicamente tra le parti ma non potrà essere opposto a terzi.
Con l'atto di divisione il bene verrà diviso in lotti sulla base delle quote di appartenenza di ciascun comproprietario. Una volta effettuata la formazione dei lotti si procederà alla loro assegnazione.
Con il contratto di divisione le parti possono decidere di assegnare ai comproprietari una porzione diversa a quella corrispondente alla quota ideale. Tuttavia bisogna fare attenzione.
Se la parte assegnata ad un partecipante risulta di un quarto inferiore a quanto a lui spettante in astratto, il contratto potrà essere rescisso in base a quanto statuito dall'articolo 763 codice civile.
Qualora il bene in comunione non sia suscettibile di essere diviso in natura oppure nel caso in cui la divisione risulti troppo gravosa oppure nel caso in cui non tutti i proprietari abbiano interesse a dividere il bene, o ancora non si trovi un accordo in ordine alla divisione, al fine di sciogliere la comunione le parti dovranno rivolgersi al giudice per richiedere la divisione in via giudiziale.
Abbiamo detto che un'ipotesi in cui si debba certamente fare ricorso all'autorità giudiziaria è il caso in cui si voglia dividere un immobile non comodamente divisibile.
Secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza è tale il bene il cui frazionamento non è oggettivamente possibile oppure comporterebbe un notevole deprezzamento, dal punto di vista economico, delle varie porzioni.
Lo stesso dicasi nel caso in cui, tenuto conto della destinazione d'uso del bene, non sia possibile formare delle porzioni suscettibili di un libero e autonomo godimento.
Si pensi a un piccolo appartamento che non può essere frazionato per mancanza di due ingressi o due bagni.
Alla stessa conclusione si deve giungere in presenza di un terreno edificabile che, nel caso di divisione, perderebbe la possibilità di essere edificato.
La legge prevede che se un bene non sia comodamente divisibile, si debba innanzitutto proporre l'assegnazione dell'intera comunione in proprietà esclusiva, al comproprietario che disponga della quota maggioritaria. Qualora la proposta sia di suo interesse, egli dovrà offrire una somma di denaro pari al valore della quota degli altri partecipanti, come stabilito all'articolo 720 codice civile.
Nel caso in cui il comproprietario maggioritario non intenda farsi assegnare l'intera comunione immobiliare, il diritto di assegnazione viene ceduto agli altri comproprietari.
Qualora nessuno dei comproprietari si proponga per l‘assegnazione del bene, non resterà che procedere con la vendita dell'immobile.
In questi casi, il giudice stabilirà la vendita forzosa dello stesso all'incanto con gara a offerte in aumento. Con la vendita esso verrà trasformato in denaro, un bene che con facilità potrà essere ripartito tra le parti.
Nulla vieta ai comproprietari, in caso di accordo, di procedere autonomamente alla vendita dell'immobile, soluzione questa più auspicabile poiché consentirebbe con probabilità la vendita a un prezzo più elevato.
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