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Cosa fare se un bel giorno gli abitanti di un quartiere si svegliano con il suono della scavatrice nelle orecchie e affacciandosi alla finestra scoprono che qualcun altro si è alzato prima di loro e ha raso al suolo la distesa di verde che da decenni ammiravano nelle loro passeggiate?
Oppure, cosa fare se al posto di quella distesa di verde sorgerà o sorge già un supermercato, o una fabbrica?
Gli esempi sono molteplici.
È possibile impugnare gli atti amministrativi che hanno permesso la costruzione?
Sulla base di quali presupposti? Bisogna rivolgersi ad associazioni già esistenti o costituirsi in comitati?
Si può agire di persona?
Le tre strade sono tutte percorribili. Vediamo qui quali requisiti è necessario avere per ricorrere davanti al giudice di persona, cioè senza il tramite di associazioni o comitati.
Detti requisiti devono soddisfare la necessità della cosiddetta legittimazione ad agire e dell'interesse a ricorrere, requisiti base per rivolgersi al giudice.
In materia ambientale e generalmente di uso del territorio, se il ricorso al Tar è effettuato da singoli cittadini, i criteri per riconoscere la presenza dei due requisiti della legittimazione e dell'interesse saranno: la cosiddetta vicinitas e in certi casi la presenza di un pregiudizio concreto.
La vicinitas è data dallo stabile collegamento con il terreno interessato dall'intervento edilizio (v. C.d.S. n. 6082/2013) o anche come il fatto che i ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione; non può essere sufficiente la presenza ad esempio di un diritto reale in zona: non basta quindi la dimostrazione di essere proprietari di un terreno, se di tale terreno non si fa alcun uso.
E secondo alcune decisioni non basta nemmeno dimostrare il domicilio o lo studio: molto meglio la dichiarazione di residenza.
Secondo alcune sentenze basta la vicinitas a dimostrare sia la legittimazione che l'interesse a ricorrere: in particolare, è riconosciuta sufficiente la dimostrazione della vicinitas nei casi di contestazione di titoli immediatamente abilitativi a costruire (come il permesso di costruire), mentre non lo è in caso di contestazione di atti di pianificazione (come il Piano Regolatore) (v. C.d.S. n. 6082/2013), a meno che in quest'ultimo caso non vi sia una lesione diretta del diritto (cioè il terreno di cui si è proprietari non sia direttamente leso dalla decisione etc.).
Ove richiesta la prova della lesione, non è accettato il generico riferimento a mutamenti ambientali e/o urbanistici; ad esempio, i giudici affermano nella citata sentenza C.d.S. n. 6082/2013 che il danno lamentato che si risolve sostanzialmente nel disagio derivante dalla prospettata futura apertura di cantieri e dal maggior carico urbanistico che si assume deriverà nella zona dall'attuazione della variante, appare non solo non attuale, ma anche inidonea a configurare quello specifico e concreto pregiudizio, non dissimile da quello che quisque de populo potrebbe lamentare, che solo vale a fondare l'interesse all'impugnazione.
L'espressione quisque de populo si potrebbe tradurre con la parola chiunque cioè un soggetto non dotato di una posizione qualificata.
A proposito degli atti di pianificazione, si prosegue in sentenza che a parte che detti atti possono pur sempre essere impugnati se e quando, costituendo il presupposto fondante uno specifico titolo ad aedificandum, comportano il materializzarsi di una lesione effettiva per i proprietari limitrofi, va evidenziato che in ogni caso gli interessati hanno la possibilità di dedurre eventuali profili di criticità durante l'iter formativo del piano o della variante, per il quale la vigente legislazione predispone strumenti di consultazione e partecipazione idonei a garantire l'intervento di una platea certamente più ampia di quella circoscritta ai soli soggetti che potrebbero ricavare un pregiudizio materiale dall'attuazione delle scelte pianificatorie in itinere.
Inoltre, il pregiudizio potrà essere considerato implicito, quindi non bisognevole di prova, quanto più la costruzione sarà impattante. E così il criterio della vicinitas è stato considerato un criterio elastico: sarà sufficiente di per sè, oppure no, a seconda delle dimensioni della questione concreta (v. C.d.S. n. 6554/2013).
Diverso sarà se si va a costruire ad esempio una fabbrica rispetto a un supermercato o a una abitazione; diverso, ancora, sarà se si tratterà di attività produttive o no.
Dunque, la vicinitas viene riconosciuta quale elemento sufficiente e in senso ampio ad esempio nel caso di impugnazione degli atti relativi alla realizzazione di impianti industriali in senso proprio, notoriamente suscettibili di ingenerare un impatto considerevole sul territorio e di indurre rischi anche gravi sulla salute degli abitanti di ampie zone dello stesso.
In tali casi, non sarà richiesta la prova dell'effettività del danno che si potrebbe subire, tanto più che si tratterebbe di danno alla salute, subordinando l'azione al verificarsi della quale, si vanificherebbe il diritto di difesa di cui all'art. 24, Cost. (v. C.d.S. n. 5819/2010) e si potrebbe aggiungere il diritto alla salute, di cui all'art. 32, Cost.
In assenza degli elementi della vicinitas e del danno effettivo, si afferma in alcune sentenze, avremmo un'azione popolare, che il nostro ordinamento non prevede (v. C.d.s. n. 6082/2013).
All'orientamento delineato si allinea una delle più recenti sentenze emesse nella materia, la n. 426/2015 del Tar Lombardia, il quale ha ritenuto inammissibile un ricorso proposto da alcuni cittadini contro la trasformazione di una zona agricola in zona industriale e il successivo insediamento di una ditta per la produzione e la commercializzazione di prodotti chimici per l'idraulica, il riscaldamento e il condizionamento.
In questo caso l'attività produttiva risulta limitata alla miscelazione di materie prime e semilavorati acquistati altrove, per cui in sentenza ne viene escluso il carattere particolarmente impattante. In tal caso i cittadini non hanno dimostrato la sussistenza di uno specifico pregiudizio e l'attività non è stata ritenuta tale da arrecare un danno, per cui il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
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