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Il condominio, quale custode, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino danno alla proprietà esclusiva del singolo condomino?
A questa domanda, così formulata, è stata chiamata a rispondere la Corte di Cassazione.
La soluzione al quesito è stata fornita dagli ermellini con la sentenza n. 25239 depositata in cancelleria martedì scorso, il 29 novembre.
In linea generale, il condominio è responsabile per i danni provenienti dalle parti comuni.
Si è chiarito che quella imputabile alla compagine è la cosìddetta responsabilità per danni da cose in custodia (art. 2051 c.c.).
Questa rappresenta una forma di responsabilità oggettiva; ciò vuol dire che per liberarsene è necessario dimostrare che il fatto dannoso è accaduto a causa di un evento imprevisto ed imprevedibile, che può essere rappresentato anche da un fatto posto in essere dallo stesso danneggiato.
Il caso affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza dello scorso 29 novembre ha a che fare con una fattispecie riguardante il caso fortuito.
Vediamo perché nello specifico.
Un condomino citava in giudizio la compagine pretendendo il risarcimento del danno causato al suo locale seminterrato dall'umidità di risalita proveniente dal sottosuolo.
Il comproprietario usciva vittorioso dal giudizio di primo grado ma vedeva rigettata la propria richiesta in appello.
Da qui il ricorso per Cassazione che, seppur per ragioni giuridiche diverse da quelle espresse dalla Corte d'appello, ha confermato che il condomino non aveva diritto ad alcun risarcimento.Il perché, dice la Cassazione, sta nel fatto che le infiltrazioni provenienti da parti comuni dell'edificio, da cui scaturiva l'umidità del locale di proprietà esclusiva, erano riconducibili alle tecniche in uso all'epoca della costruzione dell'edificio, tecniche idonee rispetto alla destinazione dello stesso a magazzino, e alla mancanza di aereazione; con la mancata aereazione del locale, conseguente al mutamento della destinazione di uso da magazzino a locale commerciale, le infiltrazioni si erano aggravate (Cass. 29 novembre 2011 n. 25239).
In sostanza, spiegano gli ermellini, seppur esistenti le infiltrazioni dovevano considerarsi normali in relazione alle tecniche costruttive dell'epoca di edificazione dello stabile, che erano sufficienti a garantire il normale utilizzo di quel locale seminterrato nella sua originaria destinazione d'uso.
In questo contesto, prosegue la Corte, il fatto del danneggiato, costituito dal mutamento di destinazione d'uso - impedendo la normale aereazione del locale seminterrato, le cui caratteristiche costruttive erano compatibili con tale aereazione - ha avuto efficacia causale tale da interrompere il nesso tra la cosa e l'evento dannoso, integrando il caso fortuito richiesto dalla legge perché il proprietario custode sia esente da responsabilità (Cass. ult. cit.).
In pratica è stato il condomino, con il suo comportamento, a peggiorare una situazione di fatto già esistente rendendola dannosa rispetto all'attuale destinazione d'uso dell'unità immobiliare.
Per passare dal particolare al generale, quindi, è possibile affermare che costituisce caso fortuito ai sensi dell'art. 2051 c.c. il comportamento del condomino sopra descritto.
C'è responsabilità nel momento in cui il condominio, mutando la destinazione d'uso della propria unità immobiliare, senza predisporre i dovuti accorgimenti che quella nuova richiederebbe, aggrava la situazione presente nella sua unità immobiliare, rendendo dannose infiltrazioni già esistenti ma considerabili naturali rispetto alle condizioni e al periodo costruttivo dell'edificio.
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