|
Alzi la mano chi non hai mai avuto problemi con i propri vicini di casa per lo scolo delle acque nella propria abitazione dalla loro.
A livello giuridico, per giungere ad un inquadramento preciso degli scoli variamente nominati è necessario operare una distinzione tra scolo delle acque naturale e scolo derivato dall'opera dell'uomo, detto anche stillicidio.
Nel primo caso la norma di riferimento è l'art. 913 c.c., rubricato Scolo delle acque, a mente del quale:
Il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che dal fondo più elevato scolano naturalmente, senza che sia intervenuta l'opera dell'uomo.
Il proprietario del fondo inferiore non può impedire questo scolo, né il proprietario del fondo superiore può renderlo più gravoso.
Se per opere di sistemazione agraria dell'uno o dell'altro fondo si rende necessaria una modificazione del deflusso naturale delle acque, è dovuta un'indennità al proprietario del fondo a cui la modificazione stessa ha recato pregiudizio.
La norma riguarda per lo più luoghi nei quali l'opera dell'uomo non ha interessato il deflusso delle acque; a queste condizioni lo scolo è doveroso così com'è altrettanto doveroso il divieto di aggravare lo scolo medesimo.
Diverso il caso del deflusso delle acque piovane.
C'è una norma, l'art. 908 del codice civile, la quale disciplina lo scolo delle acque piovane e recita:
Il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino nel suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino.
Se esistono pubblici colatoi, deve provvedere affinché le acque piovane vi siano immesse con gronde o canali. Si osservano in ogni caso i regolamenti locali e le leggi sulla polizia idraulica.
In buona sostanza, giuridicamente parlando, quando si fa riferimento allo stillicidio, altro non si fa se non vietare lo scolo delle acque piovane nel fondo del vicino.
Questo divieto, come ha ricordato la giurisprudenza, non riguarda solamente i tetti ma, più generalmente, tutte le costruzioni.
In tal senso, correva l'anno 2006, il Tribunale di Messina ebbe modo di affermare che le acque che cadono dai tetti, ovvero quelle provenienti da acquai e balconi non rientrano nella prescrizione dell'art. 913 c.c., trattandosi di scoli che non intervengono naturalmente, ma per opera dell'uomo. Pertanto, è applicabile la disciplina relativa alle servitù di scolo, ovvero la regolamentazione di cui all'art. 908 c.c. relativa allo scarico delle acque piovane (Trib. Messina 1 dicembre 2006, In iure praesentia 2007, 1, 80).
Di servitù di scolo il codice civile non parla espressamente; in buona sostanza essa si configura allorquando il proprietario di un fondo (anche fondo urbano, ergo unità immobiliare) abbia il diritto di far scolare le acque sul fondo del vicino.
Questa servitù, la cui utilitas si sostanzia nel deflusso delle acque e quindi in un beneficio di natura fondiaria, può essere costituita per contratto, ma anche acquisita per usucapione o destinazione del padre di famiglia.
È classico l'esempio degli sgocciolatoi dei balconi che aggettano nel vuoto piuttosto che essere collegati ad un pluviale di scarico. In tal caso se le cose stanno in quel modo fin dalla costruzione dell'edificio potrà parlarsi di costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia. Se il proprietario di un balcone ne appone uno e nessuno contesta, allora si potrà parlare eventualmente di acquisto per usucapione della servitù di scolo.
Del pari problematica è la questione dello sgocciolamento dei panni in condominio. Essa può essere equiparata in tutto e per tutto allo stillicidio, con conseguente applicazione analogica delle norme ad esso dedicate e dei principi giurisprudenziali elaborati rispetto allo stesso.
In tal senso quando è stata chiamata a pronunciarsi sull'argomento, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che il fondo inferiore (leggasi anche l'unità immobiliare ubicata ad un piano inferiore) non può essere assoggettato, salvo diverse ed espresse previsioni convenzionali, allo scolo di acque di qualsiasi genere, diverse da quelle defluenti secondo il naturale assetto dei luoghi, provenienti da quello superiore. Tale principio comporta che lo stillicidio, sia delle acque piovane, sia, ed a maggior ragione, di quelle provenienti (peraltro con maggiore frequenza) dall'esercizio di attività umana, quali quelle derivanti dallo sciorinio di panni mediante sporti protesi sul fondo alieno (pratiche comportanti anche limitazioni di aria e luce a carico dell'immobile sottostante), per essere legittimamente esercitato, debba necessariamente trovare rispondenza specifica in un titolo costitutivo di servitù ad hoc o, comunque, ove connesso alla realizzazione di un balcone aggettante sull'area di proprietà del vicino, essere esplicitamente previsto tra le facoltà del costituito diritto reale (Cass. 28 marzo 2007 n. 7576).
Detta più semplicemente: chi non ha titolo per stendere panni fuori dal balcone farebbe bene ad organizzarsi dentro casa propria.
|
||