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L'amministratore di condominio è una figura obbligatoria in quelle compagini con più di quattro partecipanti (art. 1129 c.c.).
Nominarne uno in contesti di più piccole dimensioni, invece, è facoltativo.
In entrambi i casi, una volta incaricato, l'amministratore, salvo diverso accordo, ha diritto a vedersi retribuito per l'opera svolta.
Sul punto non vi sono mai stati grossi dubbi in dottrina, sebbene l'utilizzo della locuzione eventuale retribuzione nell'art. 1135 c.c. ha consentito di sollevare qualche interrogativo.
Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione, la quale sgombrando il campo da ogni dubbio ha affermato che i rapporti fra amministratore e condominio sono regolati dalle disposizioni sul mandato:
in particolare, per quanto riguarda la retribuzione, dall'art. 1709 cod. civ., secondo cui - contrariamente a quanto stabilito dal corrispondente art. 1753 del codice civile previgente e, per quanto riguarda espressamente l'amministratore del condominio, dall'art. 16 del r.d.l. 15 gennaio 1934, n. 56 - il mandato si presume oneroso. In tale contesto normativo, l'art. 1135, n. 1, cod. civ., che considera eventuale la retribuzione dell'amministratore, va inteso nel senso che l'assemblea può determinarsi espressamente per la gratuità (Cass. 16 aprile 1987 n. 3774).
Il compenso, non esistendo tariffari di riferimento vincolanti (al pari delle professioni regolamentate) è concordato liberamente tra le parti.
La situazione può essere così sintetizzata: l'assemblea di condominio sceglie e nomina un amministratore.
Questi ha il dovere di adempiere al proprio mandato con la diligenza del buon padre di famiglia ed ha diritto ad essere retribuito per l'opera prestata nella misura concordata con il proprio mandante (ossia il condominio).
Chiarito ciò è utile domandarsi: come dovrà essere ripartita la voce di spese inerente il compenso dell'amministratore di condominio?
Rispondere a questo interrogativo è di fondamentale importanza in quanto non è raro sentir affermare che l'onorario dell'amministratore deve essere ripartito tra i condomini in parti uguali.
Tale affermazione si basa sulla considerazione che tutti i condomini usufruiscono in egual misura dell'opera svolta dell'amministratore, sicché non v'è motivo di ritenere che la spesa non possa essere affrontata da tutti in egual misura.
L'affermazione, molto ricorrente nella prassi comune, è assolutamente sbagliata.
Una simile ripartizione delle spese potrà essere applicata solamente se il regolamento di condominio di origine contrattuale o una delibera, adottata con il consenso di tutti i condomini, dispongano in tal senso.
Una decisione del genere, adottata dalla sola maggioranza dei presenti o anche dall'unanimità degli intervenuti all'assemblea (ma non dei condomini), deve considerarsi nulla e come tale impugnabile in ogni tempo.
Stando così le cose è utile quindi comprendere quale criterio debba essere adottato per la ripartizione delle spese relative al compenso dell'amministratore.
La risposta è contenuta nel primo comma dell'art. 1123 c.c. a mente del quale le spese necessarie [""] per la prestazione dei servizi nell'interesse comune [""] sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno.
In sostanza il criterio è quello dei millesimi di proprietà.
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