La disciplina codicistica in materia di luci e vedute definisce questi concetti e delinea come e quando il proprietario di un fondo possa aprirle su quello del vicino.
Codice civile, luci e vedute
Due gli interessi contrapposti da tutelare:
a) da un lato il diritto del proprietario di un immobile a goderne nel modo migliore possibile;
b) dall'altro il diritto del confinante alla riservatezza ed alla sicurezza.
Il risultato è un insieme di norme (artt. 900-907 c.c.) volte a disciplinare tali aspetti.
Innanzitutto è utile comprendere i profili definitori; a mente dell'art. 900 c.c. le finestre o altre aperture sul fondo del vicino sono di due specie: luci, quando danno passaggio alla luce e all'aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino; vedute o prospetti quando permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente.
In sostanza le luci, al contrario delle vedute e dei prospetti, non danno la possibilità di affacciarsi sul fondo del vicino.
A livello materiale questa differenza è espressa chiaramente nel principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione.
Secondo i giudici di legittimità, affinché sussista una veduta a norma dell'art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio anche quello della prospectio nel fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale (Cass. SS.UU. 28 novembre 1996 n. 10615).
Le caratteristiche fisionomiche delle luci sono individuate all'art. 901 c.c., che recita:
Le luci che si aprono sul fondo del vicino devono:
1) essere munite di un'inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino e di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati;
2) avere il lato inferiore a un'altezza non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce e aria, se esse sono al piano terreno, e non minore di due metri, se sono ai piani superiori;
3) avere il lato inferiore a un'altezza non minore di due metri e mezzo dal suolo del fondo vicino, a meno che si tratti di locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa.
Rispettati questi requisiti, è lecito attendersi che l'apertura sia considerata come una luce.
Nel caso di mancanza di questi requisiti il proprietario del fondo vicino può chiederne il rispetto (art. 902 c.c.).
L'apertura di luci, nel rispetto delle condizioni anzidette, non necessita di alcun permesso del titolare del fondo attiguo se viene praticata nel muro contiguo di proprietà esclusiva (art. 903, primo comma, c.c.).
Se, invece, il muro è comune nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso dell'altro; ma chi ha sopraelevato il muro comune può aprirle nella maggiore altezza a cui il vicino non abbia voluto contribuire (art. 903, secondo comma, c.c.).
Secondo il Tribunale di Firenze, se la luce è praticata in difformità a quanto previsto in relazione alle distanze, essa non può essere acquisita per usucapione; in una sentenza in materia s'è affermato che la servitù di luce non essendo apparente è insuscettibile di acquisto per usucapione (Trib. Firenze 20 maggio 2014).
Si tratta di un'affermazione quanto meno criticabile in quanto proprio l'apertura sul muro dovrebbe rappresentare l'opera visibile in grado di poter far parlare si servitù apparente (cfr. art. 1061 c.c.).
Vedute
Quanto alle vedute la disciplina codicistica si sofferma, vista la maggiore invasività dell'apertura, anche sulle distanze.
A norma dell‘art. 905 c.c., infatti, non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi e la distanza di un metro e mezzo.
Non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere.
Il divieto cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica.
Il legislatore, infine, ha inteso disciplinare anche il caso inverso, ossia quello in cui si è acquisito il diritto di veduta (si è soliti parlare in tal senso di servitù di veduta) e solo successivamente si decida di costruire nel fondo vicino.
In tal caso, l'art. 907 c.c. precisa che quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell'art. 905.
Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita.
Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia.
Come per le luci, anche per le vedute se queste debbono considerarsi illegittime, è possibile agire in giudizio per ottenerne l'eliminazione.
In questo contesto, è utile specificare che l'apertura di una porta il cui unico fine è quello di consentire l'accesso ad un volume tecnico nel quale sono ubicati gli impianti tecnologici non può essere considerata alla stregua dell'apertura di una veduta e come tale non è soggetta alle norme sulle distanze previste per questa particolare fattispecie (cfr. Trib. Firenze 20 maggio 2014).