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Il codice di procedura civile fornisce dei criteri per l'individuazione, prima del giudizio, del giudice territorialmente competente.
Tali norme (insieme ad altre) rispondono all'esigenza primaria, oggetto anche di tutela costituzionale (art. 25 Cost.), che per ogni giudizio vi sia un giudice naturale prederminato dalla legge, da cui nessuno possa essere distolto; l'esigenza, cioè, che vi siano dei criteri oggettivi ed uguali per tutti per l'individuazione del giudice competente.
Il codice di procedura fornisce così un foro generale (art. 21 c.p.c.), ed alcuni fori speciali.
Come la giurisprudenza maggioritaria ritiene, la ratio di tali previsioni risiede, quanto al foro generale, nell'opportunità che le persone fisiche e giuridiche siano chiamate a comparire innanzi al giudice del luogo nel quale è per loro meno oneroso convenire; quanto invece ai fori speciali, nell'opportunità di prescindere dalla regola generale in funzione del maggior vantaggio che entrambe le parti possano conseguire nel radicare la lite innanzi al giudice del luogo in cui è collocato l'oggetto dei contrapposti interessi, oppure delle particolari esigenze di determinati procedimenti in relazione agli oggetti od ai soggetti (Cass. SS.UU n. 20076/2006).
Quanto ai fori speciali, si è detto che la specialità comporta la esclusività ed esclude ogni altra possibilità(Cass. n. 6310/2003); cioè che la loro stessa ragione d'essere, l'esigenza di deroga alla norma generale, fa sì che non vi sia possibilità di scelta e che dunque nei casi in cui sono previsti, i fori speciali siano prevalenti rispetto al foro generale (peraltro, si dice, ove il Legislatore ha voluto dare una possibilità di scelta, lo ha previsto espressamente cioè con il foro alternativo per le cause relative a diritti di obbligazione, art. 20 c.p.c.) (v. meglio Cass. n. 20076/2006 e Cass. n. 6319/2003).
Ai sensi dell'art. 23 c.p.c., per le cause tra condomini, ovvero tra condomini e condominio, è competente il giudice del luogo dove si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi.
È stato deciso dunque che la statuizione del foro speciale esclude sia il foro generale sia quello alternativo (Cass. n. 6319/2003, ma v. anche Cass. n. 20076/2006).
Il foro per le cause tra i condomini di cui all'art. 23 c.p.c. ha certamente carattere speciale e, come tale, prevale rispetto al foro generale; le parti possono concordare un altro luogo, in quanto non si tratta di un foro definito inderogabile dalla legge (v. art. 28, c.p.c.); è però un foro esclusivo, in quanto non concorre con gli altri criteri territoriali di collegamento rimessi all'attore (Cass. n. 6319/2003).
Conseguentemente, le cause tra i condomini vanno proposte davanti al giudice del luogo in cui si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi.
Se, dunque, per l'individuazione del foro competente dobbiamo fare riferimento ai criteri forniti dagli artt. 21 e 20 c.p.c. o, invece, dall'art. 23 c.p.c., per capire a quale delle norme fare riferimento, è necessario capire cosa comprende l'espressione liti tra condomini.
Per quanto attiene alla individuazione delle cause tra i condomini, secondo la giurisprudenza maggioritaria vi dobbiamo includere tutti i casi di comunione ex art. 1100 c.c., e non solo quella dei condominii divisi per piano o porzioni di piano (tra tante, v. Cass. n. 20076/2006 e Cass. n. 6319/2003). Inoltre, sia l'attore sia il convenuto devono avere la qualità di condomini (tra tante, v. Cass. n. 20076/2006 e Cass. n. 6319/2003).
È consolidato l'orientamento della giurisprudenza di Legittimità secondo cui le controversie relative alla riscossione degli oneri condominiali vanno incardinate secono il criterio di cui all'art. 23, c.p.c, nel foro dove si trovano i beni immobili, poiché l'amministratore di condominio nell'attività di riscossione dei contributi dovuti da ciascun condomino per l'utilizzazione delle cose comuni agisce in rappresentanza degli altri condomini, dunque, le controversie che insorgono in ordine a tale riscossione costituiscono una lite tra condomini (Cass. n. 13640/2005, ma anche Cass. n. 6319/2003 e Cass. n. 20076/2006).
È stato dunque deciso che qualunque controversia possa insorgere nell'ambito condominiale per ragioni afferenti al condominio, quand'anche veda contrapposto un singolo partecipante a tutti gli altri, ciascuno dei quali è singolarmente rappresentato dall'amministratore, è perciò sempre una controversia tra condomini la cui cognizione ratione loci spetta esclusivamente e senza alternative, in forza del citato art. 23 c.p.c., al giudice del luogo dove si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi. Ed è stata ritenuta dunque arbitraria l'idea di ridurre l'ambito di applicazione dell' art. 23 c.p.c. alle liti tra singoli condomini attinenti ai rapporti giuridici derivanti dalla proprietà delle parti comuni dell'edificio o dall'uso e godimento delle stesse, con esclusione di quelle attinenti ai diritti di obbligazione e, in particolare, alla riscossione dei contributi condominiali necessari alla gestione (v. Cass. n. 20076/2006).
Peraltro, si osserva che ove per cause tra condomini, ex art. 23 c.p.c., dovessero intendersi solo quelle suindicate, non si comprenderebbe il motivo di uno specifico riferimento al condominio con l'art. 23, visto che l'art. 21 c.p.c. già prevede, quale foro speciale per le cause relative a diritti reali immobiliari, quello del luogo dove è posto l'immobile (v. Cass. n. 20076/2006).
Di recente la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della questione relativa all'applicabilità della norma di cui all'art. 23 c.p.c. con la sentenza n. 180/2015 con la quale, decidendo su una lite tra condomini per risarcimento dei danni derivanti da infilitrazioni tra due beni di proprietà - in cui peraltro una delle due parti processuali intendeva riversare sul condominio la responsabilità - ha stabilito che anche in questo caso si applica il criterio di cui all'art. 23, c.p.c.
Nel precedente grado di giudizio il Tribunale aveva diversamente deciso, escludendo l'applicabilità dell'art. 23 con la motivazione che il giudizio riguardava un caso di responsabilità extracontrattuale e non si verteva invece in materia di diritti dei singoli partecipanti alla gestione condominiale nè di uso, più o meno intenso, della cosa comune nè, tanto meno, della tutela delle parti comuni del fabbricato.
Stabilisce invece la sentenza della Cassazione n. 180 del 2015 che, considerato che qualunque lite possa insorgere nell'ambito condominiale per ragioni riguardanti il condominio è una controversia tra condomini, per la quale la competenza territoriale spetta ai sensi dell'art. 23 c.p.c., esclusivamente e senza alternative al giudice del luogo dove si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi (Cass. Sez. Un., 18 settembre 2006, n. 20076); e premesso che la sfera di applicazione dell'art. 23 cod. proc. civ. non è limitata alle liti tra singoli condomini attinenti ai rapporti giuridici derivanti dalla proprietà delle parti comuni dell'edificio o dall'uso e godimento delle stesse, con esclusione di quelle attinenti ai diritti di obbligazione: una siffatta limitazione (ha precisato Sez. Un. n. 20076 del 2006, cit.) urta contro il decisivo rilievo che, ove per cause tra condomini, ex art. 23 cod. proc. civ., dovessero intendersi solo quelle a carattere reale, non si comprenderebbe la necessità della norma in parola con riferimento al condominio, visto che già l'art. 21 cod. proc. civ. prevede, quale foro speciale per le cause relative a diritti reali immobiliari, quello del luogo dove è posto l'immobile (Cass. n. 180/2015).
Premesso ciò, dunque, la sentenza conclude nel decidere che rientra nel campo di applicazione dell'art. 23 cod. proc. civ. la causa promossa da un condomino per ottenere la condanna di altro condomino al risarcimento del danno da infiltrazioni idriche provenienti dall'appartamento sovrastante, come pure la domanda con cui il convenuto, sul presupposto della provenienza dei lamentati danni da parti comuni dell'edificio, tenda a riversare sul condominio ogni responsabilità.
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