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La canna fumaria è un accessorio di un impianto che consente l'incanalamento e, conseguentemente, l'ordinata evacuazione dei fumi.
Tali fumi possono essere i prodotti della combustione (è il caso delle canne fumarie posta a servizio degli impianti di riscaldamento) oppure semplicemente dei vapori della cucina.
In ogni caso la canna fumaria non può essere considerata una costruzione ai fini del rispetto della normativa nazionale (codice civile) e locale (regolamenti edilizi) dettate in relazione alle distanze tra le costruzioni.
In conseguenza di ciò la canna fumaria parte di un impianto posto a servizio di un'unità immobiliare ubicata in condominio, salvo diversa indicazione del regolamento condominiale, può essere posata sulle parti comuni senza rispettare tali distanze e con l'unico limite del rispetto dell'uso delle cose comuni ai sensi dell'art. 1102 c.c.
Ciò, in sintesi, è quanto detto dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4936 resa il 3 marzo 2014.
L'art. 1102, primo comma, c.c. specifica che:
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.
La norma è dettata in materia di comunione ma è applicabile al condominio in virtù di quanto stabilito dall'art. 1139 c.c.
Individuare il limite del diritto d'uso non è cosa semplice.
La Corte di Cassazione, che si è espressa innumerevoli volte sull'argomento, ha specificato che il pari uso della cosa comune non postula necessariamente il contemporaneo uso della cosa da parte di tutti i partecipanti alla comunione, che resta affidata alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza; che la nozione di pari uso del bene comune non è da intendersi nel senso di uso necessariamente identico e contemporaneo, fruito cioè da tutti i condomini nell'unità di tempo e di spazio, perché se si richiedesse il concorso simultaneo di tali circostanze si avrebbe la conseguenza della impossibilità per ogni condomino di usare la cosa comune tutte le volte che questa fosse insufficiente a tal fine (Cass. 16 giugno 2005 n. 12873).
L'esempio classico è quello del parcheggio nel cortile: possibile a condizione che ciò non vieti di farne altrettanto uso agli altri o comunque di utilizzare diversamente quello spazio: da qui la legittimità della regolamentazione dell'uso turnario.
Lo stesso discorso, quindi, può farsi anche per le canne fumarie?
La risposta è positiva, insomma diritto del condomino d'appoggiarle ai muri comuni (ciò non altera la destinazione di tale parte dell'edificio) con il limite rappresentato dal rispetto del diritto dei suoi vicini di fare altrettanto o comunque di non impedire altri usi (leciti) di quella parte dell'edificio.
Si tratta, chiaramente, di un principio la cui applicazione pratica va valutata caso per caso.
Nel caso risolto dalla sentenza n. 4936, si litigava in relazione all'apposizione di una canna fumaria su un muro condominiale e sul mancato rispetto della normativa sulle distanze.
La Corte di Cassazione, come s'è anticipato in principio e in modo conforme al proprio orientamento in materia, ha escluso che la canna fumaria possa essere considerata una costruzione ai fini del rispetto della normativa sulle distanze e comunque ha escluso l'automatica applicazione di tale disciplina in relazione al condominio negli edifici.
Si legge in sentenza che in tema di condominio le norme sulle distanze, rivolte fondamentalmente a regolare con carattere di reciprocità i rapporti fra proprietà individuali, contigue e separate, sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, a condizione, però, che siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni; propriamente, in ipotesi di contrasto, la norma speciale in materia di condominio prevale e determina l'inapplicabilità della disciplina generale sulla proprietà, allorché i diritti o le facoltà da tal ultima disciplina previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal condomino secondo i parametri previsti dall'art. 1102 c.c. (applicabile al condominio per il richiamo di cui all'art. 1139 c.c.); in tal guisa non sembra ragionevole individuare, nell'utilizzazione delle parti comuni, limiti o condizioni estranei alla regolamentazione e al contemperamento degli interessi in tema di comunione (cfr. Cass. 14.4.2004, n. 7044; Cass. 18.3.2010, n. 6546) (Cass. 3 marzo 2014 n. 4936).
In questo contesto, specifica la Corte rifacendosi ad un proprio precedente pronunciamento del 2012, qualora il proprietario di un'unità immobiliare del piano attico agisca in giudizio per ottenere l'ordine di rimozione di una canna fumaria posta in aderenza al muro condominiale e a ridosso del suo terrazzo, la liceità dell'opera, realizzata da altro condomino, deve essere valutata dal giudice alla stregua di quanto prevede l'art. 1102 c.c., secondo cui ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non rilevando, viceversa, la disciplina dettata dall'art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, atteso che la canna fumaria (nella specie, trattavasi di un tubo in metallo) non è una costruzione, ma un semplice accessorio di un impianto (nella specie, trattavasi del forno di una pizzeria) (Cass. 3 marzo 2014 n. 4936).
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