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A questa e ad altre domande che ci porremo nel prosieguo non è sempre possibile rispondere in modo chiaro e preciso; da questo punto di vista se qualcuno si aspettava che la riforma del condominio fornisse i chiarimenti necessari, è rimasto deluso.
Vediamo perché.
Partendo da questo quesito e rifacendoci a quella definizione comunemente accettata dagli addetti ai lavori, è possibile affermare che il condominio è un edificio nel quale coesistono parti di proprietà esclusiva a fianco a parti di proprietà comune.
Ai sensi dell'art. 1117-bis c.c., le norme sul condominio si applicano In quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117.
Insomma la legge n. 220/2012 (la riforma) ha ufficializzato l'applicazione delle norme sul condominio anche ai condomini orizzontali, ai supercondomini, ai condomini minimi, ecc.
Requisito fondamentale è che le parti di proprietà esclusiva (le unità immobiliari) siano di proprietà di diverse persone.
Un esempio ci aiuterà a capire meglio il concetto: un edificio di 9 unità immobiliari, di proprietà di un unico soggetto, non costituisce condominio anche se le unità immobiliari sono tutte affittate. In quello stesso edificio, invece, se ogni abitante ha anche la proprietà dell'appartamento che occupa allora si potrà parlare di condominio.
Tecnicamente, quindi, il condominio è un edificio in cui gli appartamenti sono di proprietà di più persone, le quali assumono la qualità di condomino.
Per la costituzione di un condominio non esistono particolari formalità; basta la vendita del primo appartamento da parte dell'originario, ed unico proprietario (cfr. tra le tante Cass. 4 ottobre 2004, n. 19829).
Sostanzialmente, tornando a quanto detto sopra, è sufficiente che, con la vendita di una unità immobiliare, alcune parti dell'edificio diventino di proprietà o quanto meno di uso comune (es. scale, ingresso, pianerottoli, ascensore, ecc.).
La grandezza del complesso condominiale incide solamente sull'obbligatorietà di alcune regole. In sostanza nei condomini, in cui si contano fino a otto partecipanti, non sarà obbligatorio nominare l'amministratore di condominio, cosa invece imposta dalla legge (art. 1129 c.c.) per quei complessi con nove o più condomini; ed ancora il regolamento di condominio sarà obbligatorio solo per quegli edifici condominiali con più di dieci partecipanti (art. 1138 c.c.).
La grandezza del condominio e la sua strutturazione, inoltre, incidono sulla denominazione che comunemente si dà al complesso condominiale.
Così, ad esempio, i condomini con meno di otto partecipanti sono solitamente detti piccoli condomini, all'interno di questa categoria quelli con solo due partecipanti sono denominati condomini minimi; ed ancora i condomini con più scale, cortili e servizi destinati a servire una sola parte dell'edificio sono detti condomini parziali.
Chiude l'elenco il così detto supercondominio, il quale altro non è che un insieme di edifici che già di per sé costituiscono autonomi condomini che hanno in comune opere o servizi comuni come, ad esempio, gli spazi a parcheggio, i giardini l'impianto idrico.
La certezza è che non ci sono dati precisi. Tanto emerge dall'ultima rilevazione ufficiale, risalente al marzo 2006, ossia il rapporto redatto dal centro studi CENSIS e dall'associazione di amministratori condominiali ANACI.
Sulla scorta di queste premesse è stato possibile affermare che, in Italia, non esiste nessuna fonte ufficiale che sia in grado ad oggi di fornire dati ufficiali aggiornati e certificati (rapporto Censis – ANACI 2006) in materia di condominio. Il rapporto succitato stima che in Italia ci siano all'incirca 11 milioni di edifici. Di questi, si ipotizza che 930.000 siano edifici in condominio. Un settore che interessa indicativamente 9.400.000 famiglie, vale a dire circa 23 milioni di persone, che rappresentano grosso modo il 40% della popolazione italiana e che vale più o meno l'1% del PIL. Un vero e proprio fenomeno sociale che non a caso è stato soprannominato pianeta condominio.
Un paragone ci sarà d'aiuto per rispondere alla domanda. Se due o più cittadini intendono promuovere una determinata attività, o difendere determinati interessi, possono decidere la forma giuridica cui sottoporre la propria iniziativa. È il caso delle associazioni a tutela del paesaggio, di promozione del territorio, o dei comitati di difesa dei diritti, ecc. Forme di associazionismo spontaneo definite e regolate dal codice civile, che in un certo qual modo differenzia l'associazione in sé e per sé considerata dagli associati; si parla in questi casi di soggettività giuridica distinta da quella dei partecipanti per dire che l'insieme (comitato, associazione, ecc.) si differenzia nell'ambito dell'ordinamento giuridico dalle singole persone che lo compongono.
Non è così per il condominio. Nella legislazione vigente, così come nelle pronunce della Corte di Cassazione, non è dato rintracciare nessuna norma, o pronuncia, che riconosca al condominio una soggettività giuridica distinta dai suoi partecipanti.
Una evidente lacuna se si fa riferimento ai dati sopra esposti che, invece, individuano nel condominio un fenomeno con un grosso impatto sociale. Com'è stato giustamente osservato appare quanto meno bizzarro che debba riconoscersi soggettività di diritto al Circolo della caccia con tre soci, sito in un paesino di pochi abitanti, ma non al megacondominio con cinquecento condomini e un volume d'affari di migliaia di euro l'anno (così MARCO ROSSETTI, Il condominio? È un ente di gestione. Ma con limitata personalità giuridica, in D&G2005, 12, 46).
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