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I proprietari di una villetta si rivolgevano al Tribunale perché si accertasse che l'immobile di loro proprietà non faceva parte del condominio, pur se riconoscevano sussistere una rampa di accesso in comune. Chiedevano inoltre la presentazione del conto di gestione del Condominio, con deposito della documentazione e delle scritture contabili, e la restituzione degli oneri condominiali indebitamente corrisposti.
Il Tribunale, dopo avere riunito al giudizio quello di opposizione a decreto ingiuntivo, riguardante il pagamento degli oneri condominiali, accoglieva la domanda degli attori dichiarando che l'immobile non faceva parte del condominio, revocava il decreto ingiuntivo e condannava il Condominio a restituire le somme percepite a titolo di oneri condominiali.
Il Condominio proponeva appello e la Corte d'appello, accogliendolo, rigettava sia la domanda di accertamento della estraneità dell'immobile al condominio, sia l'opposizione a decreto ingiuntivo.
Nel motivare la decisione, la Corte d'appello spiegava che era emerso, dagli accertamenti disposti a mezzo di CTU, che solo in minima parte la proprietà degli attori era servita da impianti locali, ma ciò non era sufficiente all'accoglimento della domanda, poiché il titolo d'acquisto dell'immobile, del 1 luglio 1991, indicava che gli attori avevano acquistato una casa facente parte del Complesso Immobiliare, con tutti i diritti e oneri proporzionali di condominio sulle parti comuni come per legge pari a 39/1000. Pertanto gli attori, se non a titolo di condominio, dovevano ritenersi proprietari prò quota delle parti comuni, con la conseguenza che se intendevano sciogliersi dalla comproprietà, dovevano proporre azione di scioglimento o di rinuncia alla comunione.
Era poi dichiarata infondata anche l'opposizione al decreto ingiuntivo per oneri condominiali dal momento che gli opponenti, in quanto comproprietari, erano tenuti al pagamento degli oneri della comunione.
L'accessorietà, funzionale e strutturale, delle parti comuni alla singola proprietà è considerato pacificamente il criterio per affermare o escludere la presenza di beni comuni e dunque l'applicazione della relativa normativa.
Infatti, la giurisprudenza da tempo individua il presupposto, perché si instauri un diritto di condominio su un bene comune, in quella relazione di accessorietà strumentale e funzionale che collega i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva, agli impianti o ai servizi di uso comune; e che fa sì che il godimento del bene comune sia strumentale al godimento del bene individuale, e non sia, quindi, suscettibile di autonoma utilità (così, tra tante, Cass. n. 4973/2007).
Se l'accessorietà esiste, la cosiddetta presunzione di condominialità deve dunque ritenersi superata, e comporterà l'applicazione della normativa in materia di condominio.
Ma cosa accade, invece, se le parti comuni risultano solo in minima parte o anche per niente collegate al bene del singolo proprietario, ma questi ha sottoscritto nell'atto di acquisto di acquistare l'abitazione facente parte del complesso immobiliare... con tutti i diritti ed oneri proporzionali di condominio, con l'indicazione anche della percentuale?
Cosa prevale: l'accertamento fattuale della non condominialità, o quanto sottoscritto in atto di compravendita?
Secondo la sentenza della Corte di Cassazione n. 20986/2014 depositata il 6 ottobre 2014, prevale quanto sottoscritto in atto di compravendita.
Peraltro, la consulenza tecnica disposta per l'accertamento della condominialità aveva riconosciuto, seppur in minima parte, la presenza di beni comuni al servizio dell'immobile. Ad ogni modo, la sentenza taglia la testa al toro affermando che l'accertamento della natura non condominiale di un bene per mancanza del presupposto della relazione di accessorietà strumentale e funzionale con le unità immobiliari comprese nel condominio [...] non esclude l'eventuale comunione su di esso instaurata per volontà delle parti, come ravvisato nella specie dalla Corte d'appello, sulla base del contenuto dell'atto di acquisto dell'immobile, nel quale si precisa che gli attori hanno acquistato la casa di civile abitazione facente parte del complesso immobiliare con tutti i diritti ed oneri proporzionali di condominio come per legge pari a 39/100.
Se non c'è condominio deve quindi ritenersi sussistere una comunione volontaria; volontaria perché instaurata pattiziamente nel titolo di acquisto.
D'altronde, il nostro codice mostra di preferire quanto risulta dal titolo rispetto alla disciplina codicistica, sia in fatto di costituzione del condominio (art. 1117 c.c.) che in fatto di costituzione della comunione (art. 1100 c.c.) che, ovviamente, in fatto di proprietà esclusiva; ad ogni modo è principio generale del nostro ordinamento quello della libera regolazione dei propri interessi, nel rispetto della legge; ma, come si sa, l'altra faccia della libertà è la responsabilità.
Di conseguenza, quanto costituito a contratto non può che estinguersi con gli appositi strumenti e cioè, o con un nuovo contratto o con un'azione giudiziale che elimini quanto costituito tra le parti.
Sul rilievo del titolo sull'attribuzione della proprietà si riporta un estratto di Cass. 6981/2008, nel quale si legge: la presunzione di comunione sugli spazi liberi, non legati strutturalmente e funzionalmente alle singole porzioni di proprietà, deve essere dedotta e dimostrata dal condomino che ne vanti la proprietà esclusiva, potendo, a tal fine, essere utilizzato il titolo sia per affermare il diritto esclusivo del singolo condomino sia, escludendo il primo, il diritto di condominio, laddove dal titolo si desumano elementi tali che consentano di affermare, ovvero di escludere, in maniera chiara ed inequivocabile, l'uno o l'altro.
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