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Nella cause che impongono la risoluzione di problemi tecnici il giudice può avvalersi del così detto C.T.U., ossia del consulente tecnico d'ufficio.
Sebbene in molti ritengano che la C.T.U. (consulenza tecnica d'ufficio) sia un modo per allegerirsi dell'onere probatorio, la situazione non sta propriamente in questi termini.
Di più: non si può demandare al consulente nominato dal giudice il compito di verificare chi abbia ragione e chi torto.
Forse sarebbe meglio dire, non sempre si può.
Vediamo perché e quindi, cerchiamo di comprendere quale sia la funzione della consulenza tecnica d'ufficio.
Ai sensi dell'articolo 61 del codice di procedura civile (anche c.p.c. o codice di rito), rubricato Consulente tecnico:
Quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica.
La scelta dei consulenti tecnici deve essere normalmente fatta tra le persone iscritte in albi speciali formati a norma delle disposizioni di attuazione al presente codice.
Il consulente, come dice la parola stessa, è un ausiliario del giudice.
La valutazione della necessità della consulenza è rimessa alla discrezionalità del magistrato.
Presa la decisione sulla convenienza di nominare un C.T.U., il giudice provvede di conseguenza.
La nomina è regolata dall'art. 191 c.p.c.:
Nei casi previsti dagli articoli 61 e seguenti il giudice istruttore, con ordinanza ai sensi dell'articolo 183, settimo comma, o con altra successiva ordinanza, nomina un consulente, formula i quesiti e fissa l'udienza nella quale il consulente deve comparire.
Possono essere nominati più consulenti soltanto in caso di grave necessità o quando la legge espressamente lo dispone.
Il consulente ha il compito di chiarire al giudice la situazione in merito a particolari aspetti che, per la loro tecnicità, possono non rientrare nella competenza di chi lo ha nominato.
Scopo della C.T.U. è quello di rispondere ai quesiti posti dal giudice.
L'art. 194 del codice di rito, rubricato per l'appunto Attività del consulente, specifica che:
Il consulente tecnico assiste alle udienze alle quali è invitato dal giudice istruttore; compie, anche fuori della circoscrizione giudiziaria, le indagini di cui all'articolo 62, da sé solo o insieme col giudice secondo che questi dispone. Può essere autorizzato a domandare chiarimenti alle parti, ad assumere informazioni da terzi e a eseguire piante, calchi e rilievi.
Anche quando il giudice dispone che il consulente compia indagini da sé solo, le parti possono intervenire alle operazioni in persona e a mezzo dei propri consulenti tecnici e dei difensori, e possono presentare al consulente, per iscritto o a voce, osservazioni e istanze.
Insomma il consulente tecnico d'ufficio è chiamato a far chiarezza su una materia che, per dirla fuori dal legalese, presenta dei lati oscuri.
Siccome il processo civile si svolge in contraddittorio tra le parti, anche in sede di svolgimento della consulenza esse hanno la possibilità di parteciparvi.
La legge riconosce all'attore, al convenuto ed in genere a tutte le parti processuali di nominare un consulente tecnico di parte il così detto C.T.P.
Ai sensi dell'articolo 201 c.p.c.
Il giudice istruttore, con l'ordinanza di nomina del consulente, assegna alle parti un termine entro il quale possono nominare, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un loro consulente tecnico.
Il consulente della parte, oltre ad assistere a norma dell'articolo 194 alle operazioni del consulente del giudice, partecipa all'udienza e alla camera di consiglio ogni volta che vi interviene il consulente del giudice, per chiarire e svolgere, con l'autorizzazione del presidente, le sue osservazioni sui risultati delle indagini tecniche.
Il termine richiamato dal primo comma, solitamente, coincide con quello dell'inizio delle operazioni peritali.
Per quanto, si diceva all'inizio, la sensazione, spesso, sia quella che spetti al C.T.U. provare i fatti di causa, la situazione non è questa.
Non sempre almeno.
In una recente sentenza la Cassazione, conformemente a quanto detto in altre occasioni, ha ribadito che la consulenza tecnica d'ufficio, anche se non costituisce, in linea di massima, mezzo di prova, ma strumento per la valutazione della prova acquisita, tuttavia rappresenta una fonte oggettiva di prova quando si risolve nell'accertamento di fatti rilevabili unicamente con l'ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche (Cass. n. 6585/2001, in motivazione: 15630/2000; 10916/2000: v. anche Cass. n. 1020/2006 e n. 1149/2011) (Cass. 5 febbraio 2013, n. 2663).
Che vuol dire ciò?
Un esempio, al solito, aiuterà a tradurre in pratica le affermazioni di principio dei giudici.
S'ipotizzi che l'abitazione di Tizio sia stata danneggiata da infiltrazioni provenienti dall'appartamento di Caio.
Promuovendo la causa per il risarcimento, Tizio non potrà limitarsi a esporre questo fatto e chiedere la nomina di un C.T.U. per verificarlo ma dovrà portare elementi a sostegno delle proprie affermazioni (es. allegando all'atto di citazione una relazione tecnica di un consulente di sua fiducia).
Tuttavia, dice la Cassazione, in casi simili può accadere che il C.T.U. finisca per fornire, egli stesso, una prova e non limitarsi a valutare quelle fornite dalle parti.
Il C.T.U. restando all'esempio di cui sopra potrebbe concludere che il danno proviene da casa di Caio ma da un elemento diverso da quello indicato da Tizio.
In tal caso, dicono gli ermellini, quanto detto dal C.T.U. varrà come prova a tutti gli effetti poiché solamente per il suo tramite si è potuti giungere a quella conclusione.
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