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È passato meno di un anno dall'approvazione del decreto Destinazione Italia, poco più di uno dall'entrata in vigore della riforma del condominio e appena meno di due dalla sua approvazione ed alla fine il decreto del Ministero della Ggiustizia contenente disposizioni sulla formazione iniziale e periodica degli amministratori condominiali è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (d.m. n. 140/2013 pubblicato in G.U. n. 222 del 24 settembre 2013).
Al di là dell'ordine cronologico, la situazione di fatto è stata pressappoco la seguente: al momento dell'approvazione della legge n. 220/2012, l'art. 71-bis disp. att. c.c. specificava che possono assumere incarico di amministratore coloro i quali hanno frequentato un corso di formazione iniziale e che frequentano quelli di formazione periodica; delle eccezioni sono state previste per i così detti amministratori interni e per quelli che potremmo definire di lungo corso.
La legge, però, rispetto a questi corsi, non disciplinava alcuni aspetti fondamentali:
a) qual è la durata minima dei corsi di formazione iniziale e periodica?
b) chi può tenere questi corsi?
Nelle more dell'entrata in vigore della legge n. 220 (vale a dire fino al 18 giugno ma anche oltre) s'è scatenata una vera e propria gara all'organizzazione di corsi. Ce n'erano per tutti i gusti: corsi on line, corsi full immersion, corsi di poche ore, corsi di qualche mese, ecc.
Il Legislatore, quindi, ha deciso d'intervenire per porre una regolamentazione minima.
Così all'art.1, nono comma lett. a) , d.l. n. 145/2013, si è stabilito che:
a) con Regolamento del Ministro della giustizia, emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono determinati i requisiti necessari per esercitare l'attività di formazione degli amministratori di condominio nonché i criteri, i contenuti e le modalità di svolgimento dei corsi della formazione iniziale e periodica prevista dall'articolo 71-bis, primo comma, lettera g), delle disposizioni per l'attuazione del Codice civile, per come modificato dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220.
A meno di un anno dall'entrata in vigore del decreto legge, il Ministero della Giustizia ha adottato il decreto (regolamento) per la formazione degli amministratori condominiali.
Dopo che per qualche mese gli operatori del settore si sono dovuti accontentare delle indiscrezioni giornalistiche provenienti dal ministero ed in particolare dal sottosegretario Ferri che s'è interessato di questo regolamento, adesso si può ragionare e programmare l'attività sulla base di un atto normativo certo.
Certo, o forse sarebbe bene dire solamente sulla base di un atto normativo; motivo? Di certezza la norma non ne dà tantissima, o meglio se l'intenzione era quella di regolamentare in modo chiaro e preciso, la sua realizzazione non è stata all'altezza. Vediamo perché.
Partiamo dai dati certi, ossia dalla durata dei corsi di formazione iniziale e periodica.
I primi devono durare almeno 72 ore (poche se si pensa alla vastità delle competenze, quanto meno di quelle basilari, che un amministratore deve possedere) e devono essere seguiti da un esame finale.
Stesso epilogo per i corsi di formazione periodica che gli amministratori dovranno seguire annualmente e che devono durare come minimo 15 ore.
Le materie (i moduli dice il d.m. n. 140/2014) sulle quali devono vertere questi corsi sono varie; si va delle nozioni di carattere giuridico, fiscale-contabile e tecnico riguardanti la gestione di un condominio a nozioni informatiche e tecniche di risoluzione dei conflitti.
È utile evidenziare, come fa l'art. 5 del d.m. n. 140, che nei corsi di formazioni iniziale almeno un terzo del monte ore complessivo dev'essere essere dedicato a argomenti In materia di amministrazione condominiale, in relazione all'evoluzione normativa, giurisprudenziale e alla risoluzione di casi teorico-pratici (art. 5 d.m. n. 140/2014).
Chi può insegnare e chi può certificare che è abilitato a farlo?
Molta dell'attenzione degli addetti ai lavori era incentrata sulla figura del responsabile scientifico e dei formatori abilitati a tenere corsi di formazione iniziale e periodica per gli amministratori condominiali.
Nei mesi scorsi sulla stampa s'era parlato di requisiti molto stringenti che avrebbero privilegiato le conoscenze accademiche piuttosto che quelle maturate sul campo.
Il testo del decreto non ha rispettato del tutto questo attese: è vero, alla fine il possesso di titoli di studio sarà quasi sempre un requisito importante, ma l'assenza di dati certi e la mancanza di un sistema preventivo di controllo rischiano di rendere la norma estremamente flessibile.
Partiamo dai formatori.
Potranno assumere questo incarico coloro che con apposita documentazione dimostreranno al responsabile scientifico del corso:
1) di avere una serie di requisiti di onorabilità (es. assenza di condanne penali, ecc.);
2) di avere specifica competenza in materia condominiale e di possedere uno di questi requisiti:
a) una laurea anche triennale;
b) abilitazione all'esercizio della libera professione. Si tratta di una definizione vaga, da ricondurre ad avviso di chi scrive, alle professioni intellettuali di cui all'art. 2229 c.c. e quindi ad avvocati, ingegneri, architetti, geometri, ragionieri. E tutte le altre professioni regolate in albi e ordini). Motivo? Si parla di abilitazione e quindi si dovrebbe fare riferimento ad un esame di stato abilitante, com'è necessario per queste categorie;
c) essere professori in materie giuridiche, tecniche ed economiche presso università, istituti e scuole pubbliche o private riconosciute.
Per i docenti il requisito della specifica competenza in materia condominiale potrà essere by-passato da due pubblicazioni in materia di diritto condominiale e/o sicurezza degli edifici.
Possono altresì assumere l'incarico di formatore, coloro i quali (dal testo del decreto si lascia intendere anche non laureati) abbiano già svolto attività di formazione in materia di diritto condominiale o di sicurezza degli edifici in corsi della durata di almeno 40 ore ciascuno, per almeno sei anni consecutivi prima della data di entrata in vigore del presente regolamento (art. 3 lett. e d.m. n. 140/2014).
L'intento di questa norma è chiaro: consentire di far continuare l'attività di formatore a chi l'ha fatta nel corso degli ultimi anni, non disperdendo il patrimonio di conoscenze acquisito – nel migliore dei casi – o evitando qualche chiusura di bottega, se si vuol essere malpensanti.
Quanto ai responsabili scientifici – fermi restando i requisiti di onorabilità – il requisito delle pubblicazioni (che indiscrezioni di stampa davano per obbligatorio), varrà solamente per i docenti e sempre quale alternativa alla comprovata specifica competenza in materia condominiale.
Per il resto, l'art. 5 specifica che la funzione di responsabile scientifico può essere svolta da un docente in materie giuridiche, tecniche o economiche (ricercatore universitario a tempo determinato o a tempo indeterminato, professore di prima o di seconda fascia, docente di scuole secondarie di secondo grado), un avvocato o un magistrato, un professionista dell'area tecnica.
Come dire: Sei un avvocato o geometra o un ingegnere esperto in condominio? Puoi essere responsabile d'un corso di formazione iniziale o di aggiornamento per amministratori.
Il vero punctum dolens della regolamentazione sta nell'assenza di controlli effettivamente stringenti: i responsabili scientifici devono accertare che i formatori siano in possesso dei requisiti previsti dal regolamento.
Ma chi controlla i responsabili scientifici? La norma non dice nulla ma il controllo, si presume, dovrebbe essere posto in capo all'ente organizzatore.
Il quarto comma dell'art. 5 del d.m. 140 specifica che l'inizio di ciascun corso, le modalità di svolgimento, i nominativi dei formatori e dei responsabili scientifici sono comunicati al Ministero della giustizia non oltre la data di inizio del corso, tramite posta certificata, all'indirizzo di posta elettronica che verrà tempestivamente indicato sul sito del Ministero della Giustizia.
Il regolamento non ha previsto sistemi preventivi di controllo. Spetterà all'assemblea verificare il regolare possesso dei titoli da parte dell'amministratore e ai tutti gli interessati segnalare alle Autorità competenti (leggasi Ministero della Giustizia, ma anche Antitrust per eventuali pratiche scorrette) l'eventuale organizzazione di corsi non rispondenti ai requisiti richiesti dal decreto ministeriale.
L'impressione è che se le cose non andranno nella direzione di una rigida autoregolamentazione da parte degli operatori di settore, nulla cambierà rispetto al recente passato se non per il monte ore.
In buona sostanza il rischio è che anche in questa materia in molti vedano nella formazione un business da sfruttare al massimo a danno di quello che dovrebbe essere, ossia una reale opportunità di crescita per chi ne usufruisce.
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