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La cronaca nera ci racconta qualche volta (per fortuna non spesso) di danni provocati da attività di scavi alle proprietà limitrofe: dai danni alle strutture, rese ad esempio inagibili o fatte addirittura crollare, ai danni alle persone, finanche, purtroppo, alla morte.
Vediamo succintamente come la legge inquadra la responsabilità del proprietario, tenendo presente che è sempre necessario lo studio della fattispecie concreta e la considerazione di tutti gli elementi che la compongono.
Il diritto di effettuare escavazioni è espressamente previsto dal codice civile all'art. 840 c.c., il quale al co. 1 consente al proprietario qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino.
Tale facoltà rientra dunque nel diritto di proprietà, la quale non comprende solo il suolo, ma anche il sottosuolo e lo spazio sovrastante il suolo (con i limiti previsti dallo stesso articolo 840 c.c. che sono sostanzialmente dati dalle leggi sulle miniere, cave e torbiere, le leggi sulle antichità e belle arti, sulle acque, sulle opere idrauliche e altre leggi speciali (v. co.1).
Inoltre, il proprietario, a sua volta, non può opporsi alle attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle (co.2).
Naturalmente, con la stessa intensità è tutelata anche la proprietà confinante, per cui la facoltà di escavazione non deve arrecare danno ai vicini.
La responsabilità civile per i danni prodotti da attività di escavazione discende innanzitutto dalla previsione di cui all'art. 840, co.1 c.c.: è infatti principio consolidato in giurisprudenza quello per cui il proprietario risponde direttamente in quanto proprietario ai sensi dell'art. 840, co.1, c.c., anche se ha commissionato i relativi lavori in appalto (tra tante v. Cass. n. 5273/2008).
Infatti, si spiega, la responsabilità grava sul proprietario in quanto tale, non in quanto committente, e l'esistenza del rapporto di appalto potendo valere per consentirgli una eventuale rivalsa nei confronti dell'appaltatore inadempiente o in colpa, o se del caso a far sorgere una responsabilità dell'appaltatore verso il terzo danneggiato, che potrà aggiungersi a quella del proprietario, ma non sostituirla o eliminarla (Cass. n. 5809/1990, ma v. anche, tra tante, Cass. nn. 2988/1989 e 10131/2015).
A seconda dei casi i giudici imputano la responsabilità per i danni ricostruendo la fattispecie secondo i dettami della norma generale sulla responsabilità civile extracontrattuale, cioè l'art. 2043 c.c., oppure secondo disposizioni speciali, di cui in particolare, nel nostro caso, all'art. 2050 c.c..
Vediamo in sostanza quali differenti effetti comporta la scelta delle singole norme.
Secondo l'art. 2043 c.c. risponde del danno provocato ad altri chi commette un fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto.
Quindi, elementi che devono sussistere perché vi sia responsabilità sono: fatto commesso (che può essere anche un'omissione), danno ingiusto (cioè lesivo di interessi giuridicamente tutelati), nesso di causalità tra fatto e danno, volontà (dolo o colpa).
Il tutto deve essere provato da chi asserisce di avere subito il danno e chiede il risarcimento. Infatti ai sensi dell'art. 2697 c.c. chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento mentre chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.
Le altre norme, appunto speciali, derogano rispetto alla norma generale: costituiscono cioè delle eccezioni e sono più severe nei confronti dell'agente: rendono cioè più difficile la sua posizione nel caso di danno, alleggerendo invece quella del danneggiato.
Perché esistono tali norme? Sostanzialmente per una scelta politica del Legislatore, il quale ha effettuato una valutazione degli interessi in gioco e per motivi via via variabili ha scelto in certi casi di aggravare la posizione dell'agente.
Nel caso della responsabilità per attività pericolose l'art. 2050 c.c. prevede che chi causa danni ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
La giurisprudenza ha in più casi stabilito che per attività pericolose dobbiamo intendere non solo quelle dichiarate tali dalla legge, ma anche quelle altre che comportano la rilevante possibilità del verificarsi di un danno, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi usati (Cass. n. 10131/2015).
Chi è chiamato a rispondere per il danno derivante a terzi dall'esercizio di tale attività, per liberarsi deve lui (e non il danneggiato) fornire una prova: la prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno. (Mentre il danneggiato dovrà fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra l'attività pericolosa e il danno subito).
I giudici hanno spesso qualificato l'attività di escavazione come attività pericolosa, così affermando: di regola, l'attività edilizia, massimamente quando comporti rilevanti opere di trasformazione o di rivolgimento o spostamento di masse terrose e scavi profondi ed interessanti vaste aree, non può non essere considerata attività pericolosa ai fini indicati dalla detta norma (Cass., 10 febbraio 2003, n. 1954) (Cass. n. 10131/2015).
La recente sentenza n. 10131/2015 del Giudice di Legittimità ha statuito la responsabilità del proprietario per danni prodotti da attività di escavazione alla luce della norma di cui all'art. 2050 c.c.: l'escavazione, effettuata sino alla profondità di 5,5 metri sotto il piano di calpestio, aveva reso pericolante un edificio limitrofo.
In altra sentenza, la n. 1954 del 2003, la Corte condannò i proprietari di un fondo al risarcimento del danno, sempre ex art. 2050 c.c., per il crollo di un'abitazione avvenuto in conseguenza dei lavori di scavo, qualificando come pericolosa l'attività di escavazione da cui era stato prodotto il danno.
È impotante rilevare che molte sentenze citate ricollegano la responsabilità del danno per attività pericolose sia all'azione che all'omissione di cautele che in concreto sarebbe stato necessario adottare in relazione alla natura dell'attività esercitata alla stregua delle norme di comune diligenza e prudenza (ad es. Cass. n. 10131/2015 e n. 1954/2003).
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