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La legge non fornisce la nozione di comunione: essa dev'essere considerata come la compartecipazione del diritto di proprietà di più persone su un medesimo bene (cfr. Torrente-Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè, 1985).
Si pensi alla comunione di un appartamento tra marito e moglie o alla comunione di un'unità immobiliare a seguito di eredità, ecc.
Questo cespite, al pari di qualunque altro bene, necessità di decisioni finalizzate alla sua gestione, decisioni che, salvo casi particolari, debbono essere assunte in ambito collegiale, ossia con il concorso di tutti i comproprietari sia pur a maggioranza.
Insomma la comunione dev'essere gestita secondo regole ben precise, che sono dettate dal codice civile (cfr. artt. 1100-1116 c.c.); ciò non sempre è tenuto in considerazione sicché quando si pensa della gestione di un bene immobile comune a più persone s'è soliti farlo guardando al condominio negli edifici.
Recita l'art. 1105, primo comma, c.c.:
Tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere nell'amministrazione della cosa comune.
Si tratta della norma che sancisce il diritto di tutti i comunisti (ossia i comproprietari del bene) a prendere parte alle decisioni afferenti il bene oggetto del loro diritto.
Nell'ambito della comunione, così come per il condominio (che altro non è che una particolare forma di comunione), la gestione ordinaria è decisa a maggioranza.
In tal senso è chiarissimo il secondo comma dell'art. 1105 c.c. a mente del quale
Per gli atti di ordinaria amministrazione le deliberazioni della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle loro quote, sono obbligatorie per la minoranza dissenziente.
Sia pur con maggioranze differenti e salvo alcune eccezioni (es. locazione ultranovennale), anche gli atti di gestione straordinaria sono assunti a maggioranza (cfr. art. 1108 c.c.).
Il luogo, in senso figurato, di assunzione di queste decisioni è l'assemblea.
È questo il senso del primo comma dell'art. 1105 c.c. che, s'è visto sopra, riconosce a tutti il diritto di partecipare alla gestione della cosa comune.
La partecipazione, salvo il caso di trascuranza da parte degli altri comunisti che consente atti di gestione diretti, è esercitata attraverso il concorso all'assunzione delle decisioni utili alle gestione e conservazione del bene oggetto della comunione.
Tali decisioni vengono prese in assemblea e, come si diceva, con il metodo maggioritario.
Affinché le deliberazioni dell'assemblea siano valide è necessario che tutti i comunisti siano stati preventivamente avvisati dello svolgimento dell'assemblea e degli argomenti oggetti della discussione (cfr. art. 1105, terzo comma, c.c.).
In buona sostanza i comunisti devono poter partecipare alla riunione conoscendo l'ordine del giorno.
Chi ed in che modo può convocare l'assemblea?
Al riguardo la giurisprudenza (di merito e di legittimità), quando è stata chiamata a pronunciarsi sull'argomento, ha specificato che l'assemblea dei partecipanti alla comunione ordinaria, diversamente da quanto stabilito per il condominio degli edifici, è validamente costituita mediante qualsiasi forma di convocazione purché idonea allo scopo, in quanto gli artt. 1105 e 1108 cod. civ. non prevedono l'assolvimento di particolari formalità, menzionando semplicemente la preventiva conoscenza dell'ordine del giorno e la decisione a maggioranza dei partecipanti. (Cass. civ., Sez. II, 03/11/2008, n. 26408) (Trib. Milano 10 ottobre 2013 n. 12627).
Insomma l'assemblea può essere convocata anche oralmente e senza alcun termine minimo di preavviso (della serie convocata ad horas) purché tutti gli aventi diritto a partecipare siano stati informati dell'ordine del giorno.
Ciò rappresenta sicuramente una forte differenza rispetto alla convocazione dell'assemblea condominiale, che, invece, è soggetta ad una serie di adempimenti formali il cui mancato rispetto può portare ad una richiesta d'invalidazione del deliberato.
È utile ricordare, infine, che Se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere alla autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore (art. 1105, quarto comma, c.c.).
In buona sostanza i comunisti, singolarmente o in gruppo, possono rivolgersi al giudice quando gli altri comproprietari non partecipano alle assemblee o quando pur partecipando non riescono ad assumersi le decisioni necessarie alla gestione del bene in comunione.
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