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Il problema del razzismo in condominio

La miscela esplosiva di convivenza in condominio e razzismo può portare a delle sentenze penali di condanna, dall'ingiuria allo stalking, con l'aggravante del razzismo.
Pubblicato il

Convivenza e conflitti sociali in condominio


Condominio I conflitti sociali sono sempre arrivati in tribunale.

Diciamo che il tribunale esiste proprio perché le persone in società prima o poi litigano.

La convivenza è difficile, senza dubbio.
E di questi tempi di convivenza forzata tra etnìe e, al contempo, di grande solitudine dei singoli lo è in particolar modo.

Così, la convivenza tra condòmini, già spesso difficile, si inasprisce ancora di più grazie a quello che purtroppo in tanti casi è vero e proprio odio razziale.

Insomma, se già ci si può odiare in quanto condomini, lo si può ancora di più se si è condomini di razze diverse...

E allora, se si è a un passo dalla barbarie, interviene l'autorità pubblica.

Ci piace ricordare che lo stato di diritto ha questo nome grazie a una conquista e cioè, in parole semplici, che il diritto, anche in quanto garante dei diritti fondamentali, viene sopra ogni cosa.

Questo l'insegnamento dell'illuminismo e, oggi, della nostra Costituzione, la quale, per quanto ci riguarda in particolare, sancisce all'art. 3 la pari uguaglianza tra tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione etc...


Ingiuria e razzismo in condominio


Tra persone che si detestano le prime a volare sono le parole, si sa. Il reato di ingiuria è previsto dall'art. 594 c.p., per il quale Chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a cinquecentosedici euro.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di più persone.

E quando si aggiunge il razzismo, il reato di ingiuria può aggravarsi dell'elemento razziale.

Così, ad esempio, è stato deciso dal Tribunale di Varese con sentenza n. 67 del 2013 nell'ambito di una lite tra condomini dovuta a motivi di parcheggio.

Elemento scatenante a parte, tra le parti non correva buon sangue e in quell'occasione lo sfogo cadde sulle origini meridionali di uno dei due con espressioni del tipo solo dei terroni possono parcheggiare in quel modo… siete una categoria di m... il tutto davanti a ospiti delle persone offese.

In un altro caso di lite in condominio la stessa Cassazione ha emesso condanna penale per ingiuria decidendo su un caso in cui l'espressione incriminata era sempre terrone di m..., ma questa volta era rivolta a chi meridionale non era. Anche in tal caso il reato è stato ritenuto sussistere.

Si riporta un estratto della sentenza: È pur vero che la recente giurisprudenza di questa Sezione ha mostrato alcune aperture verso un linguaggio più diretto e disinvolto, ma è altrettanto vero che talune espressioni hanno un carattere obiettivamente insultante.

Ciò che conta è la valenza sociale delle parole, al di là e al di fuori della specifica intenzione di chi le adopera (e, bene inteso, sempre che chi le adopera ne sia consapevole).

Certamente (obiettivamente) ingiuriose sono quelle espressioni con le quali si disumanizza la vittima, assimilandola a cose, animali o concetti comunemente ritenuti ripugnanti, osceni, disgustosi. Di talchè, paragonare un uomo a un escremento (terrone di merda) è certamente locuzione che, per quanto possa essersi degradato il codice comunicativo, conserva intatta la sua valenza ingiuriosa.

L'espressione utilizzata nel caso in esame, contiene anche una connotazione odiosamente razzista (terrone) e non vale osservare che il C. non aveva origini meridionali, atteso che, con la medesima tecnica della assimilazione denigratoria, egli è stato paragonato, non solo a un rifiuto organico, ma anche a un individuo che, per la sua origine, è evidentemente ritenuto obiettivamente inferiore (si intende: dal G., che, in un sol colpo, ha offeso il C. e gli italiani del Sud).

In questo caso, però la condanna è senza aggravante.


Stalking e razzismo in condominio


RazzismoCon l'aria che tira di questi tempi dovevamo quindi aspettarci che prima o poi i Giudici di Cassazione avrebbero dovuto confrontarsi con un caso di atti persecutori condominali veri e propri conditi, diciamo così, dell'elemento razziale e così è accaduto, ad es., con la recentissima sentenza della Corte di Cassazione n. 25756/2015.

In tale provvedimento la Corte ha ravvisato nei comportamenti di una condomina l'integrazione della fattispecie di illecito penale di atti persecutori aggravati dall'elemento del razzismo.

Che in condominio ci possa essere lo stalking è una considerazione già acquisita dai giudici ed è a mano a mano oggetto di approfondimento. Molteplici sono ormai le sentenze che hanno deciso in tal senso.

Ricordiamo che il reato di atti persecutori, meglio noto come stalking, è previsto dall'art. 612-bis c.p. il quale, al comma 1, così recita:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

Peraltro, lo spirito dei tempi vuole che oggi i protagonisti di una storia di razzismo non siano più un settentrionale e un meridionale, ma un italiano, nella fattispecie meridionale (questa volta nel ruolo del colpevole) e uno straniero, di colore. I fatti su cui ha deciso la citata recente sentenza n. 25756/2015 della Corte di Cassazione vedevano infatti come protagoniste due donne, una italiana, l'altra straniera, di colore.

In particolare, gli atti definiti persecutori nella citata sentenza della Corte di Cassazione n. 25756/2015 consistevano per esempio nello spruzzare deodorante o insetticida quando la donna passava per le scale, sostenendo ad alta voce che puzzava; ... colpirla con secchiate d'acqua; ...rivolgersi a lei oppure ai figli con espressioni del tipo scimmie andate nella giungla, scimmia sulla bici, via di qui che puzzi, brutto negro; ...mettere in giro la falsa voce che batteva; ...chiamare la polizia accusando falsamente i figli di fare rumori molesti alle sei del mattino; ...sputarle in faccia; ...colpirla con un manico di scopa all'altezza delle scapole; ...parcheggiare la propria autovettura dietro quella della vittima, in modo da impedirle l'uso per recarsi al lavoro; ...tagliarle gli pneumatici dell'automobile; ...colpirla con un calcio; ...aggredirla con un bastone..

Nel pervenire alla condanna per stalking, la Corte rigetta la prospettazione della difesa dell'imputata, secondo cui non si sarebbe trattato di stalking, ma di un più blando conflitto tra condomini caratterizzato da episodi di dispetti, offese, insulti e leggeri scontri fisici, sicchè non era possibile qualificare detti episodi in termini di atti persecutori.

Cosa distingue dunque lo stalking da un semplice conflitto tra condomini?

La norma incriminatrice, già citata, prescrive che deve trattarsi di condotte reiterate di minaccia o molestia tali da causare in chi le subisce un perdurante e grave stato d'ansia o di paura o un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La presenza della o disgiuntiva chiarisce che gli elementi indicati dalla norma non devono coesistere, ma che sono alternativi.

Nel giudizio relativo alla sentenza citata vengono accertati numerosissimi episodi relativi a condotte ingiuriose, per di più di tenore razzista, minacciosa o molesta, che la sentenza impugnata emblematicamente definisce un repertorio davvero imponente di comportamenti offensivi e vessatori (Cass. n. 25756/2015).

Tali atti avevano causato una serie di conseguenze pesanti in capo alla donna, e cioè, sostanzialmente, un grave malessere psicofisico, dovuto allo stress, il timore per l'incolumità dei figli minori e un cambiamento delle abitudini di vita, compreso il cambio dei turni al lavoro per stare con i propri figli, fino alla richiesta del trasferimento in un altro alloggio popolare.

E secondo la sentenza di legittimità in esame bastano anche solo alcuni di detti elementi, evidenziando il perdurante stress e il cambio di abitudini di vita, a integrare il reato contestato, questa volta, con l'aggravante del razzismo.


L'aggravante del razzismo


Il D.L. n. 122 del 1993, art. 3, convertito con modificazioni in L. 25 giugno 1993, n. 205, prevede che per i reati punibili con pena diversa da quella dell'ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, la pena sia aumentata fino alla metà.

L'aggravante del razzismo non sussiste con espressioni meramente offensive, ma deve sottintendere un giudizio di disvalore sulla razza: esemplare in tal senso la sentenza n. 25170/2010 con cui la Corte di Cassazione ha ravvisato nell'espressione sporco negro l'aggravante del razzismo, mentre l'ha disconosciuta nell'espressione italiano combinata con espressioni di tipo offensivo.

Peraltro, molte sentenze hanno chiarito che l'aggravante sussiste quando la condotta si manifesti come consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile, nel contesto in cui è maturata, avuto anche riguardo al comune sentire, di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l'origine etnica o il colore (Cass., sez. 5, 11 luglio 2006, n. 37609): cioè di un sentimento immediatamente percepibile come connaturato alla esclusione di condizioni di parità.

In più sentenze infatti non è stato ritenuto necessario, perché sia riconosciuta l'aggravante, che gli episodi si manifestino davanti a terzi, nè che detta condotta debba necessariamente essere adottata in modo da ingenerare in altri riprovevole sentimento o emulazioni (v. Cass. n. 25870/2013).


La giustificazione della razza


Tra le argomentazioni della difesa vi era anche il riferimento alle origini meridionali dell'imputata.

In sostanza, avendo subito in prima persona trattamenti negativi legati alla propria provenienza certamente doveva escludersi un atteggiamento razzista da parte della donna.

Ma la Corte esclude ogni dubbio, avendo l'accertamento giudiziale dimostrato il palese odio razziale in tutte le condotte della condannata.

Dopotutto, verrebbe da dire, se la generalizzazione è alla base di ogni razzismo, se siamo tutti uguali e ogni razza può avere, per semplificare, buoni e cattivi, anche i meridionali, per quanto storicamente meno avvezzi di altri ad atteggiamenti razziali, possono averne.

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Condominio e razzismo
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