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La legge che disciplina l'eliminazione delle barriere architettoniche in condominio non ha come necessario presupposto la presenza di soggetti disabili nella compagine che delibera gli interventi.
Il concetto, espresso più volte dalla giurisprudenza, è stato recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 18334 dello scorso 25 ottobre.
In sostanza, quindi, per l'installazione di ascensori e simili, in quanto evidentemente finalizzati, tra le altre cose, a rendere fruibili gli edifici a soggetti disabili o con lievi problematiche motorie, l'assemblea può decidere con le maggioranze indicate dalla legge n. 13/89, ossia con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea e almeno 500 millesimi, in prima convocazione, oppure con il voto favorevole di un terzo degli intervenuti e almeno un terzo del millesimi, in seconda convocazione.
Ciò, naturalmente, non toglie che le innovazioni debbano comunque non essere vietate ai sensi degli artt. 1120 c.c.
Si tratta di un'agevolazione utilissima e che semplifica e non di poco determinate decisioni assembleari.
Delineato il quadro generale in cui s'inserisce la sentenza citata all'inizio dell'articolo, vale la pena leggere il passaggio della sentenza che spiega perché l'installazione di un ascensore in condominio debba essere considerata intervento atto all'eliminazione delle barriere architettoniche indipendentemente dalla presenza nella compagine di persone disabili.
Le disposizioni della legge di cui si tratta (la legge n. 13/89 n.d.A.) sono volte a consentire ai disabili di accedere senza difficoltà in tutti gli edifici, e non solo presso la propria abitazione.
In proposito, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 167 del 1999 - con la quale fu dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 1052, secondo comma, cod.civ. nella parte in cui non prevedeva che il passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso potesse essere concesso dall'autorità giudiziaria quando questa riconoscesse la rispondenza della relativa domanda alle esigenze di accessibilità degli edifici destinati ad uso abitativo, osservò che la legislazione in tema di eliminazione delle barriere architettoniche aveva configurato la possibilità di agevole accesso agli immobili anche da parte di persone con ridotta capacità motoria, come requisito oggettivo quanto essenziale degli edifici privati di nuova costruzione a prescindere dalla concreta appartenenza degli stessi a soggetti portatori di handicap.
E, nel solco di tale orientamento, più di recente questa Corte, con la sent. n. 14786 del 2009, ha chiarito che l'art. 2, comma 1, della legge n. 13 del 1989 prevede un abbassamento del quorum richiesto per l'innovazione, indipendentemente dalla presenza di disabili, in relazione ai quali è invece dettata la disposizione del comma 2, che consente loro, in caso di rifiuto del condominio di assumere le deliberazioni aventi ad oggetto le innovazioni atte ad eliminare negli edifici privati le barriere architettoniche, di installare a proprie spese servo scala o strutture mobili e modificare l'ampiezza delle porte d'accesso al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages (Cass. 25 ottobre 2012, n. 18334).
Ogni tanto una buona notizia.
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