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Quando si parla di videosorveglianza in condominio si tocca uno di quegli aspetti della gestione comune che necessita di particolare attenzione.
I motivi della particolarità della questione sono sostanzialmente due e vanno contemperati caso per caso. Il riferimento è alla opportunità di maggiore sicurezza data dalla presenza di un impianto di videosorveglianza (effetto deterrente rispetto al compimento di reati) e di contro alla necessità di salvaguardare la riservatezza dei condòmini e dei loro visitatori.
Come si vedrà da qui in avanti – ripercorrendo anche le fasi che hanno portato all'attuale situazione – l'assemblea ha un ruolo centrale nella decisione inerente alla installazione di un impianto di videosorveglianza.
Pur data per assodata e pacifica questa competenza, va sempre tenuto presente che la possibilità di deliberare in merito a questa materia soggiace – oltre che alle regole dettate in ambito condominiale – a quanto prescritto dal garante per la protezione dei dati personali in materia di impianti di videosorveglianza.
Ciò che diremo, vale tanto in relazione alla videosorveglianza di parti interne dell'edificio condominiale (es. scale, pianerottoli), tanto per le aree esterne (es. rampe di accesso ai box, spazio antistante il portone d'ingresso, aree cortilizie, ecc.).
Andiamo per ordine e iniziamo, come si suole dire, da un po' di storia.
Fino all'entrata in vigore della legge n. 220 del 2012, la cosiddetta riforma del condominio, la competenza a decidere in merito all'installazione di un impianto di videosorveglianza delle parti comuni di un edificio era incerta.
Della materia iniziava a occuparsi la giurisprudenza, mentre il Garante per la protezione dei dati personali auspicava un intervento legislativo che disciplinasse la materia.
Così, ad esempio, in un'ordinanza resa dal Tribunale di Varese si leggeva che quello sulla videosorveglianza di parti comuni di un edificio condominiale era un lampante caso di vuoto legislativo, nonostante si trattasse di materia coinvolgente diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, come quello alla riservatezza e alla vita privata.
In questo contesto il giudice lombardo arrivava a conclusioni che, vedremo tra breve, cozzano con la scelta poi effettuata dal legislatore. Nel provvedimento che stiamo valutando, si diceva in sostanza che la decisione in merito alla installazione di sistemi di videosorveglianza di parti comuni (indipendentemente se le stesse fossero interne o esterne all'edificio) potesse essere assunta solamente con il consenso di tutti i condòmini. Per il Tribunale di Varese era impensabile che l'assemblea potesse sottoporre un condomino alla rinuncia alla propria riservatezza anche nel transito sulle parti comuni per la sola ragione d'essere abitante in quell'edificio, non avendo la compagine condominiale alcun potere limitativo dei diritti inviolabili della persona (Trib. Varese ord. n. 1273/11).
Come si diceva in precedenza, la legge n. 220/2012 ha ribaltato la prospettiva che la giurisprudenza iniziava a proporre quale chiave di lettura della videosorveglianza di parti comuni di un edificio in condominio.
L'art. 1122-ter del codice civile, infatti, consente all'assemblea – con il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti alla riunione e almeno la metà del valore millesimale dell'edificio – di decidere l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse.
Quali sono le regole che debbono essere seguite quanto l'assemblea delibera la installazione di un impianto di videosorveglianza?
Al riguardo i riferimenti sono quelli dettati dal Garante per la privacy nel corso degli anni.
Il più importante, alla pubblicazione di questa approfondimento è il Provvedimento in materia di videosorveglianza reso dal Garante l'8 aprile 2010. Tale atto assume rilievo in quanto – come previsto dallo stesso codice in materia di protezione dei dati personali (art. 24 d.lgs n. 196/03) – individua i casi in cui la videosorveglianza è da considerarsi possibile.
Si badi: ciò vuol dire che la competenza dell'assemblea condominiale a decidere in merito all'installazione di impianti di videosorveglianza non sia assoluta e arbitraria; tale potestà può essere esercitata nel rispetto delle norme legislative e regolamentari, nonché dei successivi provvedimenti assunti dall'Autorità garante di riferimento.
Che cosa ci dice il Garante per la privacy in merito alla installazione di impianti di videosorveglianza di aree interne ed esterne di un edificio?
Al riguardo, nel provvedimento prima citato, l'Autorità ha affermato che tale installazione (e quindi questa forma di trattamento dei dati personali) è da ritenersi lecita in presenza di concrete situazioni che ne giustifichino l'installazione, per la protezione delle persone, della proprietà o del patrimonio aziendale.
Concrete situazioni: se una parte interna dell'edificio è presa di mira costantemente o saltuariamente da vandali, prima di arrivare alla decisione d'installare una videocamere l'assemblea dovrà valutare altri sistemi (es. cancelli, chiavi ecc.).
Differente il caso delle aree esterne (es. imbrattamento muri perimetrali); per questo la videosorveglianza rappresenta, per chi scrive, il sistema deterrente maggiormente efficace; d'altra parte come si può fare se non in questo modo a scoraggiare il danneggiamento dei muri?
È evidente, quindi, che la decisione di installare un impianto di videosorveglianza possa essere censurata dall'Autorità Giudiziaria quanto meno per eccesso di potere, ossia per avere l'assemblea esercitato impropriamente le sue prerogative (in questo caso potendo scegliere una modalità dissuasiva differente).
Data per assodata la liceità della installazione, ossia la possibilità di deliberarla, vediamo adesso – sempre sulla scorta di quanto a suo tempo specificato dal Garante per la protezione dei dati personali – come materialmente possa avvenire tale installazione.
L'Autorità ha specificato che nell'utilizzazione di apparecchiature finalizzate a riprendere, con o senza registrazione delle immagini, aree esterne a edifici e immobili (ad esempio aree perimetrali, spazi adibiti a parcheggi, accessi, uscite di emergenza, luoghi di transito, ecc.), bisogna far sì che il trattamento (ovvero la ripresa) sia effettuata in modo tale da limitare l'angolo visuale all'area effettivamente da proteggere, evitando per quanto possibile la ripresa di luoghi circostanti e di particolari che non risultino rilevanti (vie, edifici, esercizi commerciali, istituzioni ecc.).
In casi come questi, dove il consenso preventivo al trattamento dei dati non è possibile, tale consenso dev'essere sostituito da adeguata informativa (es. cartelli ben visibili).
Ciò chiarito, se l'installazione è operata dal singolo condòmino, è lecita?
La risposta dipende dall'oggetto della tutela, ossia se il singolo installa sulle parti comuni delle telecamere volte a riprendere (ed eventualmente registrare) spazi di sua esclusiva pertinenza, oppure spazi comuni.
Nel caso in cui le parti comuni (es. muri delle scale) siano utilizzati all'esclusivo fine di consentire la videosorveglianza di una parte di esclusiva pertinenza (es. l'uscio di casa) non vi sono dubbi sulla possibilità di installare autonomamente l'impianto di videosorveglianza.
Vietata, in quanto di esclusiva competenza assembleare, è l'installazione di impianti di videosorveglianza di parti comuni a opera del singolo condòmino.
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