Comunione legale tra coniugi e preliminare di vendita senza una firma

Se il preliminare di vendita menziona i coniugi in comunione, ma non è firmato da uno dei due, è nullo o è annullabile? Sul caso si è espressa la Cassazione.
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Vendita di un immobile in comunione tra i coniugi


Come sappiamo, uno dei regimi che regolano il patrimonio dei coniugi è quello della comunione legale.

In tale regime i beni ricadenti nella comunione sono soggetti a determinate regole, in particolare, per quanto qui interessa, riguardo agli atti di straordinaria amministrazione, tra i quali certamente rientra la vendita di un bene e dunque anche l'atto con cui le parti si impegnano a effettuare quella vendita, cioè il preliminare di vendita.

Cosa accade se queste regole non vengono rispettate?

Cosa accade, ci chiediamo qui in particolare, se l'atto non è firmato da entrambi i coniugi?

Esiste una norma che prevede l'annullabilità del contratto stipulato in comunione legale da uno solo dei due, ed è prevista dall'art. 184 c.c.
Ma, come stiamo per vedere, non sempre tale norma può trovare applicazione.
La materia presenta casi concreti diversi e per ogni caso molte e differenti soluzioni.
Ecco perché noi oggi ci occupiamo di un caso specifico e della risposta ad esso data dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 8525/2018.

Vendita senza consenso del coniuge
Il caso specifico riguarda il contratto preliminare per la vendita di un bene in comunione di entrambi i coniugi; in tale contratto, che verrà firmato solo da uno dei due, essendo l'altro assente, vengono menzionati entrambi i comproprietari.

Al contratto di vendita non si giunge e, tempo dopo, il promissario acquirente conviene in giudizio il marito - firmatario dell'atto - in proprio e quale tutore della moglie interdetta; si costituiva poi nel giudizio anche il protutore della signora per eccepire la nullità e, in subordine, chiedere la pronuncia dell'annullabilità del contratto, essendo questo stato firmato solo dal marito, in violazione degli artt. 184 e 377 c.c.; tesi appoggiata dal coniuge firmatario convenuto.

Il Tribunale accoglie la domanda attorea con la motivazione della tardività dell'azione di annullamento ex art. 184 c.c. - dal momento che la legge consente solo un anno per l'esperimento dell'azione di annullabilità – e l'inaplicabilità dell'art. 377 c.c. - che sanziona la mancata autorizzazione del tribunale alla firma da parte del tutore - non avendo il marito agito come tutore.

La situazione viene poi ribaltata in appello e, come vedremo, confermata in Cassazione.

Prima di conoscere la soluzione data dalla Corte di Cassazione con la sentenza citata, premettiamo come sempre alcuni cenni utili a comprendere meglio gli aspetti giuridici della vicenda.


Coniugi, comunione e vendita immobili


I beni ricadenti nella comunione legale (v. art. 177 e ss. c.c.) sono soggetti a una particolare disciplina.

Per quanto qui interessa, mentre gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti solo da un coniuge, al contrario, gli atti di straordinaria amministrazione devono essere compiuti congiuntamente (v. art. 180 c.c.); prevede in particolare su tale ultimo aspetto l'art. 180, co.2 c.c. che:

il compimento degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, nonché la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi art. 180, co.2 c.c.



Annullabilità del contratto di vendita di bene in comunione


L'art. 184 c.c. per gli atti per cui il consenso è necessario, il coniuge il cui consenso non sia stato espresso e che non ha convalidato l'atto, può entro l'anno, agire per far ottenerne l'annullamento (se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell'art. 2683 c.c.).

Annullabilità contratto di vendita
L'anno decorre dal momento in cui il coniuge è venuto a conoscenza dell'atto e, comunque, dalla trascrizione dell'atto medesimo presso i pubblici registri.

Se l'atto non viene trascritto e il coniuge non ne ha avuto conoscenza prima dello scioglimento della comunione, l'anno decorre dallo scioglimento stesso.


Preliminare ed esecuzione in forma specifica dell'obbligo


Un cenno infine all'azione per ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto, prevista dall'art. 2932 cc.

Si tratta in breve della possibilità riconosciuta dal nostro ordinamento a chi ad es. ha firmato un contratto preliminare, di ottenere tramite l'intervento del giudice l'attuazione di quell'impegno allora assunto.

Ricordiamo, infatti, che il contratto preliminare (v. art. 1351 c.c.) è il contratto conil quale le parti si impegnano a stipulare successivamente un contratto.

Testualmente, l'art. 2932 c.c. prevede:

I. Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l'obbligazione, l'altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.

II. Se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l'ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile. art. 2932 c.c.



Vendita immobile nulla se firma un coniuge ma sono menzionati entrambi


La previsione di cui all'art. 184 c.c. riguarda i casi di annullabilità e non di nullità; dunque, si tratta di casi meno gravi e per questo il rimedio è assoggettato dalla legge a un termine; l'azione per la nullità è invece imprescrittibile, dunque, non è soggetta a termine (v. art. 1422 c.c.), dal momento che essa riguarda un vizio del contratto ben più grave.

Ed è sostanzialmente per tale rilievo che la Corte confermerà la decisione dell'appello: ravvisando cioè un caso di nullità e non di annullabilità del contratto.

Bene immobile in comunione legale

La Corte ha infatti osservato che l'art. 184 c.c. non può trovare applicazione nel caso in esame, il quale si caratterizza non semplicemente per l'assenza del consenso di uno dei due; ma, anche, per la menzione di entrambi nell'atto.

La Corte d'appello aveva ritenuto che l'inapplicabilità dell'art. 184 c.c.

deriverebbe dal fatto che tale norma disciplina l'ipotesi in cui il coniuge disponga autonomamente del bene comune, e quindi troverebbe applicazione nei differenti casi in cui il coniuge non riveli la situazione di comunione, presentandosi come unico proprietario, ovvero dichiari di agire anche per conto dell'altro senza averne i poteri (Cass. n. 8525/2018).


La Corte di Cassazione sottolinea che la Corte d'Appello ha fatto riferimento al

principio di diritto (pronunciato rispetto ad identica fattispecie negoziale, e mai specificamente negato dalla successiva giurisprudenza di legittimità) in virtù del quale, in regime patrimoniale di comunione legale, il disposto di cui all'art. 184 cod. civ. (secondo cui "gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell'altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell'art. 2683") presuppone l'effettiva autonoma disposizione di un bene comune da parte di uno solo dei coniugi, pertanto non si applica nel caso in cui, come nella specie, tutti i contraenti siano a conoscenza della comunione dei beni tra i coniugi e questi ultimi figurino entrambi nel contratto come venditori, atteso che in tal caso il mancato consenso di uno dei due impedisce il sorgere di una valida obbligazione neanche a carico dell'altro" (Cass. n. 3647 del 2004) (Cass. n. 8525/2018).


Va dunque per la Corte di Cassazione giustamente esclusa l'applicazione dell'art. 184 c.c

il quale (nel predisporre la specifica tutela del coniuge dissenziente) presuppone l'avvenuta effettiva autonoma disposizione di un bene comune da parte di uno solo dei coniugi; situazione, questa, non certamente equiparabile a quella di specie, in cui la mancata prestazione del consenso da parte di uno dei coniugi, espressamente indicato nell'atto quale contraente, non ha mai consentito il sorgere di una valida obbligazione neppure a carico dell'altro, attesa la nullità del contratto per mancanza di tale requisito essenziale (artt. 1325 e ss. c.c.) (Cass. n. 8525/2018).


L'assenza di un requisito indicato come essenziale dall'art. 1325 c.c., cioè il consenso, è infatti una causa di nullità del contratto, di cui all'art. 1418 c.c.

La particolarità del caso in esame, osserva la Corte, è

- peraltro in assenza di alcun riferimento nell'atto sia al regime patrimoniale dei coniugi promittenti venditori, sia a poteri rappresentanza volontaria e/o legale (anche in ragione dello stato di interdizione della contraente signora M. ) in capo al coniuge firmatario (Cass. n. 8525/2018).

diversamente da altri casi frequenti in giurisprudenza, il fatto che qui abbiamo un caso in cui il coniuge sia

parte contraente a tutti gli effetti, il cui nome appaia nell'intestazione come nel contento dell'atto, senza che poi ne segua la sottoscrizione, così configurandosi una figura contrattuale rispetto alla quale è del tutto estranea la disciplina dei rimedi approntata dall'art. 184 c.c.; e ciò (come correttamente evidenziato dalla Corte d'appello) in mancanza di alcuna ragione di privilegiare l'affidamento del terzo contraente e sottoscrittore dell'atto, ben consapevole della incompletezza dell'accordo raggiunto e, quindi, dell'inefficacia dell'atto (Cass. n. 8525/2018).


La Corte respinge altresì ogni osservazione circa le preclusioni normative date dallo stato di interdizione della signora: proprio l'assenza di riferimenti, nell'atto, a tale stato e al contrario il riferimento del suo nome nell'intestazione avvalora l'interpretazione secondo cui fosse nelle intenzioni dei contraenti che tutti i comproprietari partecipassero alla stipula dell'atto e non uno solo, con o senza rappresentanza dell'altro.

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Vendita immobile: contenstata se manca una firma
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