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19 Gennaio 2018 ore 14:40 - NEWS Proprietà |
Il codice civile disciplina una serie determinata di diritti reali, vale a dire di diritti che si esercitano su di una cosa; tra questi v'è l'usufrutto.
La legge si limita a specificare le modalità di costituzione di tale diritto specificando, all'art. 978 c.c., che:
L' usufrutto è stabilito dalla legge o dalla volontà dell'uomo. Può anche acquistarsi per usucapione.
Con usufrutto stabilito dalla legge si fa riferimento, ad esempio, a quello dei genitori sui beni del figlio minore (cd. usufrutto legale).
Quello stabilito per volontà dell'uomo è il così detto usufrutto contrattuale o testamentario.
L'usufrutto per usucapione, infine, si costituisce a seguito dell'esercizio protratto nel tempo in modo pacifico ed indisturbato per almeno vent'anni (o dieci se v'è un titolo inidoneo ma l'usufruttuario è in buona fede).
Ciò che la legge non ci fornisce è la definizione di questo diritto reale.
A sopperire a questa lacuna ci hanno pensato la dottrina e la giurisprudenza.
Ad oggi, il riferimento è a quella che può dirsi la definizione comunemente accolta, si dice che l'usufrutto è il diritto reale minore che conferisce al titolare la possibilità di trarre ogni utilità possibile dal bene, fermo rimanendo il limite consistente nel rispetto della destinazione economica (D.Minussi, Proprietà – Possesso - Diritti Reali, Ed. Giuridiche Simone, 2009).
Il proprietario diviene nudo proprietario e così facendo si spoglia di molti dei suoi poteri e quindi diritti sul proprio bene a favore di un'altra persona che prende il nome di usufruttuario.
Mentre la proprietà non ha limiti di durata, la durata del diritto di usufrutto è ben circostanziata dalla legge.
In tal senso l'art. 979 c.c. recita:La durata dell'usufrutto non può eccedere la vita dell'usufruttuario.
L'usufrutto costituito a favore di una persona giuridica non può durare più di trenta anni.
È fondamentale quindi la distinzione tra persona fisica e giuridica.
La prima, è banale dirlo, vive una vita limitata al numero degli anni che resta vivo; se l'usufrutto è costituito a suo favore, quindi, la sua durata massima può coincidere con la vita della persona che ne beneficia.
Ciò naturalmente non toglie che le parti possano concordarlo per un numero minore di anni.
Per quanto riguarda le persone giuridiche (società di capitali, ecc.) la ratio della norma è chiara: posto che una società può vivere anche centinaia di anni, far coincidere la durata dell'usufrutto con la vita della società potrebbe voler dire svuotare d'ogni significato il diritto di proprietà sottostante.
L'art. 1014 c.c. specifica altre cause d'estinzione del diritto.
Per ora da quello che s'è detto pare che se Tizio vuole costituire un usufrutto possa farlo solamente verso un'altra persona.
Giusto?
Sbagliato!
Infatti, sebbene la legge ne parli solamente nell'ambito delle disposizioni riguardanti l'eredità, è ben possibile che Tizio conceda in usufrutto a più persone la sua proprietà.
È questo il caso dell'usufrutto congiuntivo che, se non determinato nella durata, ha una peculiarità: esso si estingue con il decesso dell'ultimo usufruttuario.
In tal senso, nel silenzio della legge, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che occorre premettere che anche per contratto può stabilirsi che le quote di usufrutto, inizialmente spettanti ai vari compratori, si accrescano man mano, in seguito alla morte dei loro titolari o ad altre cause di estinzione che li riguardino, alle quote dei contitolari superstiti fino a riunirsi, tutte, in capo al superstite ultimo.
Invero, sebbene la figura dell' usufrutto congiuntivo - caratterizzata, appunto, dal diritto di accrescimento tra i contitolari, tale da impedire la consolidazione di qualsiasi quota dell'usufrutto con la nuda proprietà finchè rimane in vita almeno uno dei contitolari originari - sia disciplinata in relazione al legato (art. 678 cod. civ.), nulla vieta (in tal senso dovendosi ritenere superato il remoto precedente contrario di questa Corte sez. 1, 5 maggio 1937, n. 1411) - dato che la figura non contrasta con il carattere essenziale, e di ordine pubblico, della temporaneità dell'usufrutto - che anche l'atto inter vivos a titolo oneroso possa costituire la fonte del diritto di accrescimento tra cousufruttuari, ossia del permanere del diritto di usufrutto sull'intera cosa fino al limite massimo della morte dell'ultimo usufruttuario e, entro questi limiti, della possibilità che il diritto in questione resti fermo, senza la corrispondente espansione della proprietà, pur quando nei confronti di uno o più titolari siano divenute operanti le cause di estinzione previste dalla legge (Cass. 17 novembre 2011 n. 24108).
La forma più ricorrente di usufrutto congiuntivo è quella che veda il diritto concesso a due coniugi con accrescimento della quota del deceduto a favore del superstite.
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