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La destinazione d'uso è essenzialmente la finalità e/o la funzione impressa a un bene, da un punto di vista urbanistico.
In linea generale, un immobile è caratterizzato da una specifica destinazione d'uso.
Per conoscere l'uso a cui è destinata una unità immobiliare occorre essere in possesso o richiedere un certificato di agibilità-abitabilità dell'immobile o ancora rivolgersi all'Ufficio archivio edilizio.
Sovente può tuttavia accadere che in un medesimo immobile siano attribuite diverse destinazioni d'uso.
Tale situazione ha avuto un progressivo aumento soprattutto negli ultimi anni, con l'incremento di attività lavorative che possono svolgersi a distanza o da remoto con un notevole risparmio in termini di costi anche di imposta.
In ambito immobiliare, le destinazioni d'uso sono indicate dall'art. 23, Testo Unico sull'Edilizia che, salvo diversa e più specifica qualificazione a livello locale, in particolare da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, prevede cinque categorie funzionali:
Molto spesso si tende a confondere o a considerare quali sinonimi la categoria catastale e la categoria funzionale.
In realtà si tratta di concetti distinti che assolvono a diverse funzioni.
La categoria catastale è il valore del bene ai fini fiscali e, in alcuni casi, rappresenta la capacità dell'immobile di costituire fonte di reddito e, in altri, consente il calcolo di imposte locali quali, ad esempio, l'IMU.
Attualmente, sono previste sette diverse categorie catastali (categoria A – Abitazioni e uffici; categoria B – Immobili destinati a servizi; categoria C – Immobili commerciali; categoria D – Immobili a destinazione speciale; categoria E – Immobili a destinazione particolare; categoria – Entità urbane; categoria – Terreni), ognuna delle quali risulta divisa in classi, ordinate sulla base di parametri reddituali.
La categoria funzionale o in base alla destinazione d'uso rappresenta, come rilevato, la finalità e l'utilizzo dell'immobile da un punto di vista urbanistico.
Ciò significa che per modificare una destinazione d'uso non è sufficiente il cambio della destinazione catastale, poiché si tratta di pratiche completamente distinte.
La destinazione d'uso dell'immobile è anche (e spesso) indicata chiaramente anche nel contratto di locazione, per concorrenti motivi a tutela di entrambe le parti del rapporto.
La disciplina della locazione presenta aspetti ben diversi a seconda della specifica destinazione uso attribuita all'immobile.
Diversa può essere infatti la durata della locazione, diverse possono essere le norme che regolano come gestire e ripartire i costi e le responsabilità nei casi di usura.
Inoltre, i regolamenti condominiali possono anche vietare o limitare l'esercizio di specifiche attività nell'edificio.
Alla luce di tali circostanze è necessario, al momento della stipulazione di un contratto di affitto, indicare, con la massima trasparenza, al fine di evitare di trovarsi nella situazione di utilizzare l'immobile per uno scopo diverso rispetto alla destinazione in origine pattuita con la conseguenza di vedersi formulare la richiesta di risoluzione del contratto con danno o colpa grave.
La risoluzione del contratto, in tali ipotesi, è espressamente prevista dall'art. 80, L. n. 392/1978 a norma del quale il conduttore che adibisce l'immobile a un uso diverso rispetto all'utilizzo in origine pattuito, il proprietario può chiedere la risoluzione del contratto entro tre mesi dal momento in cui è venuto a conoscenza del diverso utilizzo o, in ogni caso, entro un anno dal mutamento della destinazione.
Diversa ipotesi si verifica nel caso in cui il contratto di affitto abbia a oggetto un immobile destinato sin dal principio a usi diversi.
Il c.d. uso promiscuo di una immobile è assolutamente previsto dall'ordinamento anche se non normato espressamente.
In questo caso, si pone il problema di stabilire quale sia la disciplina in concreto applicabile al rapporto di locazione, posto che, in linea di principio, non è possibile applicare diverse disposizioni normative relative al medesimo affitto di una medesima unità immobiliare, salvo stipulazione di più rapporti giuridici.
Scelta questa più complessa da gestire anche a livello pratico.
Al fine di evitare possibili contestazioni anche da parte dell'Amministrazione finanziaria, potrebbe essere utile prevenire (ed evitare) possibili problemi, provando a blindare il contratto di affitto, attraverso la previsione di una clausola specifica in cui si chiarisce che l'immobile è locato ad uso abitazione, restando in ogni caso consentito svolgere nell'immobile attività del tutto secondaria e accessoria.
Come anticipato, scegliere di dedicare un medesimo immobile all'attività lavorativa e alla propria vita privata, può rappresentare una scelta vincente in termini di costi.
Si tratta di immobili c.d. a uso promiscuo.
Tale situazione riguarda chiaramente professionisti o comunque soggetti che svolgono una attività di lavoro autonomo.
Basti pensare alle spese di mantenimento o servizi (spese condominiali, costi di riscaldamento) che possono essere dedotte nel limite del 50% del loro importo (art. 54, D.P.R. n. 917/1986, c.d. TUIR).
Al riguardo è importante specificare che le spese deducibili dal reddito imponibile devono essere costi strumentali all'attività esercitata, indipendentemente dal loro effettivo utilizzo.
Non rilevano ai fini della determinazione delle imposte dovute a esempio spese che non riguardano o che non sono sostenute per l'attività lavorativa ma che hanno rilevanza esclusivamente privata.
Altro importante tema riguarda la fruibilità delle agevolazioni fiscali, c.d. bonus, in caso di interventi realizzati su immobili a uso promiscuo.
In linea generale, molti benefici fiscali attualmente in vigore quali a titolo esemplificativo il Superbonus sono ridotti nel caso in cui gli interventi agevolabili siano eseguiti su unità immobiliari residenziali adibite a uso promiscuo.
Nel caso del bonus 110% la riduzione del 50% della quota di spese che è possibile portare in detrazione, nel caso di immobili a uso promiscuo è stata affermata in più occasioni dalla stessa Agenzia delle Entrate (circolare, 8 luglio 2020, n. 20, n. 19; risposta istanza interpello 9 dicembre 2020, n. 570; risposta istanza interpello 28 gennaio 2021, n. 65), la quale ha confermato il dato letterale del Decreto Rilancio, istitutivo dell'agevolazione.
Ad analoghe conclusioni si giunge con riferimento a detrazioni c.d. a regime, quali l'agevolazione prevista per interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 16 bis D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 che, espressamente prevede che allorquando le opere sia realizzate su unità immobiliari residenziali adibite promiscuamente all'esercizio di arti o professioni, la detrazione spettante è ridotta al 50%.
Nelle ipotesi in cui tale indicazione non sia stata inserita nel contratto, occorre fare riferimento al criterio della destinazione d'uso c.d. prevalente.
Nello specifico, al fine di valutare se applicare la normativa della relativa alla locazione di immobili di tipo residenziale (legge n. 431/1998) o la legge che regola gli affitti per gli immobili utilizzati per attività industriali, commerciali, artigianali, alberghiere (legge n. 392/1978)occorre valutare, in concreto, quale sia l'utilizzo che caratterizza in via principale o quantomeno prevalente l'unità immobiliare locata.
Il parametro della destinazione d'uso prevalente, introdotto dal decreto Sblocca Italia (d.l. n. 133/2014), è ancorato a un dato oggettivo, ovverosia alla superficie utile calpestabile, calcolabile in metri quadrati.
Per mutamento della destinazione d'uso si intende ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale (art. 23-ter, comma 1 D.P.R. 380/2001).
Al fine comprendere quale sia la categoria originaria di appartenenza, ai sensi dell'art.23, Testo Unico sull'Edilizia, occorre fare riferimento alla documentazione di cui all'art. 9-bis, comma 1-bis D.P.R. 380/2001, ovverosia alla documentazione relativa allo stato legittimo degli immobili.
Di recente è anche intervenuta la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 13941/2021, ha chiarito che costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie.
Da un punto di vista pratico il cambio di destinazione costituisce una procedura di non sempre immediata e facile completamento che solitamente richiede l'intervento di tecnici iscritti ad appositi albi professionali per il numero e la diversità di pratiche e documenti di carattere amministrativo.
È necessario infatti individuare la pratica edilizia corretta da avviare, previo attento studio e analisi del singolo caso concreto nonché normativa locale.
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