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La destinazione d'uso di un immobile indica la sua modalità e finalità di utilizzo. Siamo soliti, quindi, parlare di immobili ad uso residenziale, ad uso ufficio, commerciale, industriale e così via.
Eppure, non sono rari i casi in cui si possono far coincidere in un solo immobile più destinazioni d'uso.
È frequente, infatti, adibire una parte della propria abitazione ad uso ufficio per svolgervi la propria attività lavorativa, soprattutto nell'era del web, in cui molte attività si possono svolgere attraverso il telelavoro o smart working.
Un immobile adibito ad uso promiscuo può essere un'abitazione utilizzata in parte per un'attività lavorativa, o viceversa, un immobile ad uso ufficio o commerciale, usato in parte per abitarci.
Nel caso di locazione di un immobile che si voglia adibire ad uso promiscuo, quindi sia come abitazione che come sede della propria attività lavorativa, si pongono dei problemi sia di carattere giuridico che contrattuale.
Infatti in Italia esistono due leggi che disciplinano i diversi tipi di locazione: la legge n. 431 del 1998 per quelle di tipo residenziale; la legge n. 392 del 1978 che regola la locazione di immobili utilizzati per attività industriali, commerciali, artigianali, alberghiere.
L'art. 80 di quest'ultima legge, tuttavia, ammette che si possa utilizzare un immobile anche ad uso promiscuo.
Per capire però quale delle due leggi bisogna considerare per regolare il contratto, bisogna individuare quello che è l'uso prevalente dell'immobile.
Ciò inciderà, pertanto, anche sulla durata del contratto, che potrà essere di 4 + 4 anni se a prevalenza d'uso abitativo, o 6 + 6 se a prevalenza d'uso commerciale.
Non esiste una definizione precisa e genericamente riconosciuta di cosa si intenda per uso prevalente: la prassi comune è quella di adottare un criterio quantitativo, di valutare cioè per cosa è utilizzata la maggior parte della superficie dell'immobile.
Così, se ad esempio di un appartamento di 100 mq si utilizza l'80% per abitarci e il 20% come ufficio, la destinazione prevalente sarà quella abitativa.
Fermo restando, quindi, che l'uso promiscuo deve essere esplicitamente indicato nel contratto d'affitto, esso andrà stipulato seguendo le regole contrattuali previste per l'uso prevalente che se ne vuole fare.
L'articolo 54, comma 3, del Tuir, il Testo Unico delle Imposte sui Redditi, stabilisce che il professionista titolare di partita IVA che prenda in affitto un immobile ad uso promiscuo, ad esempio destinando a proprio ufficio una stanza della casa in cui abita, potrà portare in deduzione dal proprio reddito il 50% del canone di locazione pagato.
Lo stesso 50% potrà essere dedotto per altre spese relative all'utilizzo strumentale dell'immobile, come quelle per le utenze, o per spese di ristrutturazione, riparazione o ammodernamento, nonché per la rendita catastale, nel caso di immobile di proprietà.
La percentuale del 50%, quindi, è un parametro standard valido sempre che non dipende dall'effettiva percentuale della superficie utilizzata per svolgere l'attività, che potrebbe essere anche inferiore.
Si tratta pertanto di un elemento che si rivela favorevole per i professionisti, che possono in tal modo avere il vantaggio di poter dedurre il 50% delle spese affrontate, ad esempio, per ristrutturare la propria abitazione.
Il vantaggio offerto da questa possibilità nasce dall'esigenza di forfettizzare e rendere più semplice il calcolo del reddito, evitando l'insorgere di contenziosi per il calcolo della superficie effettivamente utilizzata per l'attività lavorativa.
Tuttavia questa regola è valida soltanto per la deducibilità dal reddito e non per la detraibilità dell'IVA, per la quale si deve invece risalire all'effettiva quota di costi da ripartire tra casa e lavoro.
Sarà necessario, quindi, individuare in proporzione la parte di immobile destinata ad attività professionale, perché non esiste una indicazione precisa su come effettuare il calcolo.
Naturalmente la regola del 50% si applica soltanto alle spese miste, cioè a quei costi che riguardano sia l'aspetto lavorativo che quello residenziale e non a quelle spese che riguardano esclusivamente la vita privata.
Ad esempio: le spese per il canone di una pay tv non possono essere né portate in deduzione, né essere detratta l'IVA.
Allo stesso modo, i costi relativi unicamente all'attività lavorativa sono interamente deducibili.
Inoltre se un professionista che utilizza la propria abitazione ad uso promiscuo, per esempio ricevendo dei clienti, ha anche, nello stesso Comune, un immobile destinato unicamente all'attività lavorativa, non potrà dedurre le spese relative all'immobile ad uso promiscuo.
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