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Uso della cosa comune, innovazioni e delibere

Che differenza corre tra uso della cosa comune, uso delle parti individuali e innovazioni? La risposta della Corte d'appello d'Ancona.
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Uso della cosa comuneIn materia di condominio, è notorio che ogni condomino ha diritto ad usare le parti comuni dell'edificio purché:
a) da ciò non derivi una loro modificazione;
b) resti inalterato il pari diritto degli altri condomini di fare lo stesso.

La norma di riferimento è l'art. 1102, primo comma, c.c.; si tratta di una disposizione dettata in materia di comunione applicabile al condominio in virtù del richiamo contenuto nell'art. 1139 c.c.

Sovente si fa confusione tra innovazioni ex art. 1120 e utilizzazione della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 c.c.

La differenza fondamentale sta nel soggetto dell'azione: l'assemblea nel primo caso, il singolo condomino nel secondo.

Resta ferma il fatto che anche l'uso individuale delle parti comuni può essere a carattere innovativo delle medesime.

Spesso, nei casi di uso individuale della cosa comune, si assiste ad una preventiva deliberazione assembleare di autorizzazione o diniego del comportamento del condomino.


Alle volte è il regolamento a prescrivere l'autorizzazione; in altri casi l'amministratore o lo stesso condomino a sottoporre, volontariamente, la questione all'assise.

Se la risposta di quest'ultima è negativa, al condomino spetta il diritto d'impugnare la delibera contestandone la legittimità in relazione alle modalità d'uso delle parti comuni.

Una sentenza resa dalla Corte di Appello di Ancona fa il punto della situazione sulla differenza tra innovazioni ex art. 1120 c.c., uso della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 c.c. e specifica un fatto: per l'affermazione del diritto all'uso individuale negato dall'assemblea non è necessaria l'impugnazione della delibera.

Vale la pena leggere il tratto della pronuncia che si è soffermato su tali argomenti. [...] la ratio della disposizione in esame è quella di assicurare una qualificata maggioranza per l'approvazione di quelle innovazioni che necessariamente - per la impossibilità di utilizzazione separata, come previsto dall'art. 1121 c.c., - devono gravare sulla totalità dei condomini, anche se dissenzienti mentre, nella diversa ipotesi in cui sia un singolo condomino a voler realizzare l'innovazione, non può che trovare applicazione l'art. 1102 c.c., in forza del quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, e a tal fine - purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto - può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa stessa.

È di tutta evidenza che le modificazioni apportabili alla cosa comune in forza dell'art. 1102 c.c., possono costituire anche una innovazione - nell'accezione tecnico - giuridica usata nella richiamata norma dell'art. 1120 c.c., - ed in tal caso sono consentite anche al singolo condomino, che se ne assuma l'onere, se non alterano la destinazione e non impediscono il pari uso della cosa comune agli altri partecipanti al condominio.

Uso della cosa comuneLa applicabilità della disposizione dell'art. 1102 c.c., consente di escludere la necessità di una delibera assembleare di autorizzazione, giacché la realizzazione della innovazione costituisce esplicazione di un diritto del singolo condomino, il quale ben può richiedere direttamente al giudice di accertare che l'opera non travalichi i limiti normativi predetti.

Corollario di tali principi (per i quali cfr Cass. 27 dicembre 2004 n. 24006), è quello per cui il diritto del singolo condomino ad eseguire gli interventi previsti dall'art. 1102 c.c., può essere fatto valere in contraddittorio con gli altri condomini, senza necessità di impugnare autonomamente la deliberazione che abbia negato l'autorizzazione [...] (App. Ancona 2 marzo 2012 n. 170).


In sostanza secondo la Corte marchigiana la deliberazione di diniego, valida ed obbligatoria per tutti i condomini fino ad un provvedimento d'invalidazione del giudice (art. 1137 c.c.), potrebbe essere de facto considerata inefficace se all'esito di un giudizio sull'uso individuale di una parte comune se ne afferma la legittimità pur senza averla impugnata; ciò perché il diritto all'uso delle parti comuni contemplato dall'art. 1102 c.c. è diritto soggettivo del condomino.

Una presa di posizione che non passa esente da critiche, posto che se è vero che il diritto del condomino sulle parti comuni è riconosciuto dal più volte citato art. 1102 c.c. è altrettanto vero che l'assemblea ha diritto di disciplinare l'uso delle cose comune (art. 1138 c.c.) in modo che ogni comproprietario ne tragga il maggior beneficio.

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