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L'art. 1117 del codice civile, nell'elencazione dei beni, impianti e servizi che devono considerarsi in proprietà comune – salvo diverse disposizioni dei titoli – non menziona i giardini.
Come è noto (tra le tante, Cass. 13 marzo 2009, n. 6175), la norma appena citata contiene una elencazione meramente esemplificativa e non tassativa dei beni comuni.
Ciò vuol dire che il novero dei beni condominiali può allargarsi, ma anche restringersi, in relazione a ogni specifico caso.
In che modo?
In primis è necessario guardare al contenuto dei titoli – meglio del primo titolo di cessione della prima unità immobiliare da parte dell'originario unico proprietario, ovvero del regolamento condominiale allegato agli atti d'acquisto – che possono contenere specificazioni su cosa è da ritenersi condominiale e cosa no.
Ciò vuol dire che un titolo può escludere la condominialità di un bene elencato nell'art. 1117 c.c. ovvero conferire tale qualità a una cosa ivi non indicata: un caso può essere proprio quello dei giardini.
La condominialità, nel silenzio degli atti, è determinata dalla funzione svolta dai beni rispetto ai quali ci s'interroga sulla proprietà.
Quando può dirsi che una cosa ha una funzione comune? Ciò avviene allorquando l'oggetto della valutazione assuma una connotazione di strumentalità e/o funzionalità rispetto al godimento delle unità immobiliari di proprietà esclusiva.
Le scale sono strumentali al godimento delle abitazioni in quanto ne consentono l'accesso, ovvero consentono di accadere ad altri beni comuni (es. il lastrico solare).
In relazione ai giardini siè detto in varie occasioni (es. Trib. Como 29 giugno 2007) che gli stessi possono essere assimilati ai cortili e quindi – salvo differenti disposizioni dei titoli – essere considerati condominiali, se aventi – come i suddetti cortili – la funzione di dare aria e luce alle unità immobiliari, ponendo al loro interno, ovvero frapponendosi tra l'edificio e la pubblica via.
Ai giardini condominiali vanno equiparate le aiuole e più in generale le piccole aree verdi ornamentali. Ove le stesse sia un comune tra più edifici si dovrà parlare di giardino in proprietà supercondominiale.
Qual è la funzione del giardino condominiale lo abbiamo appena ricordato: esso ha prevalentemente una funzione ornamentale.
Il giardino, con la vegetazione che viene predisposta, serve per l'appunto a rendere maggiormente gradevole una parte dell'edificio, ad esempio la facciata principale, ovvero una laterale o interna.
Laddove possibile in relazione agli spazi esistenti, il giardino può assumere anche una destinazione ludico-ricreativa. Non mancano esempi di giardini condominiali nei quali sono presenti panchine, giochi per bambini e nei casi di spazi particolarmente ampi anche piccoli percorsi per brevi passeggiate.
Tutti questi elementi, senza ombra di dubbio, connotano in modo chiaro e preciso la destinazione del giardino quale luogo di svago e riposo. Tale destinazione, seppur non espressamente impressa negli atti d'acquisto, ovvero nelle risultanze catastali, ha sicuramente valore in quanto esistente nei fatti.
La destinazione fattuale di un bene comune è considerata rilevante dal codice all'art. 1122-bis c.c. riguardate l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.
Non c''è motivo per dubitare che la stessa non debba non esser presa in considerazione allorquando si decida di valutare una possibile modificazione dell'utilizzazione in essere.
È sempre più ricorrente nella prassi quotidiana il caso relativo all'uso del giardino condominiale alla stregua di un orto.
Tale utilizzazione è lecita?
Come per il caso dei parcheggi, anche qui la risposta varia a in ragione del contesto. Vediamo in che senso.
Qualora, ad esempio, dallo stato dei luoghi (o dal regolamento di origine contrattuale) è possibile desumere che il giardino condominiale abbia come unica destinazione quella di decorare l'edificio condominiale, è evidente che usarlo, anche solo in parte, per coltivarlo altera la sua destinazione e quindi integra un uso vietato del bene.
Allorquando, invece, nulla è stabilito e nulla si può desumere (si pensi ad una zona di terra completamente in disuso) quell'uso potrà essere considerato lecito purché non sia lesivo del diritto d'uso degli altri condomini, così come indicato dall'art. 1102 c.c.
Le valutazioni fin qui espresse sono adesso utili per considerare quali elementi è necessario tenere in considerazione nell'ipotesi in cui si dovesse decidere la modificazione della destinazione d'uso del giardino condominiale.
Partiamo dal caso più ricorrente e forse anche per questo oggetto di approfondimento giurisprudenziale: il riferimento è alla trasformazione del giardino condominiale in parcheggio a servizio dei condòmini.
Tale modificazione va considerata come un'innovazione vietata?
Ricordiamo che l'istituto delle innovazioni – in ambito condominiale – è applicabile a quelle modifiche o installazioni il cui risultato di mutare la destinazione d'uso di un bene comune e che tali cambiamenti sono vietati ove rechino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza del fabbricato, al decoro architettonico, ovvero rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
Al riguardo la risposta non è netta, bensì dipende dalle dimensioni della modificazione.
La Corte di Cassazione, chiamata a stabilire – in relazione a un caso – se la modificazione di parte giardino in parcheggio condominiale dovesse essere considerata alla stregua di una innovazione vietata l'ha escluso.
I giudici di legittimità hanno avuto modo di spiegare che nel caso di specie non si poteva considerare quella modificazione come innovazione vietata in quanto a essere interessata dall'intervento era solo una piccola parte di alberi di alto fusto presenti nel giardino, nonché una superficie di ridotta estensione a quella complessiva.
Stando così le cose, dissero i giudici aditi, l'intervento non dà luogo a una innovazione vietata dall'art. 1120 c.c., poiché il parziale mutamente di destinazione del giardino condominiale non comporta alcun effettiva alterazione del decoro architettonico, né alcuna rilevante minorazione del godimento e dell'uso del bene comune e anzi da essa derivando una valorizzazione economica di ciascuna unità abitativa e una maggiore utilità per i condomini (Cass. 12 luglio 2011 n. 15319).
La modificazione della destinazione d'uso del giardino condominiale in parcheggio a servizio delle unità immobiliari va tratta alla stregua d'una innovazione e quindi è soggetta alle regole deliberative dall'art. 1120 c.c..
Una differenza modificazione della destinazione d'uso del giardino condominiale – comunque non riconducibile alle ipotesi di cui all'art. 1120 c.c. – è, invece, soggetta alla ben più gravosa disciplina dettata dall'art. 1117-ter c.c. Gravosa tanto in termini di convocazione, quanto in relazione ai quorum deliberativi.
Chiariti gli aspetti fondamentali concernenti proprietà e destinazione d'uso del giardino condominiale, vediamo adesso chi può decidere sulla manutenzione di questa parte comune edin che modo debbono essere ripartite le spese.
La competenza primaria è posta in capo all'assemblea che, come noto, è l'organismo collegiale deputato alle decisioni in merito alla manutenzione ordinaria delle parti comuni.
Manutenzione ordinaria che, ad esempio, può sostanziarsi nell'affidamento dell'incarico di cura del verde condominiale ad un giardiniere. Uno spazio di competenza sulla manutenzione ordinaria è comunque rimesso all'amministratore, salva rendicontazione del proprio operato alla fine dell'anno in corso.
La manutenzione straordinaria del verde comune è invece competenza dell'assemblea, eccezion fatta per i casi di urgenza, rispetto ai quali l'amministratore ha potere di disposizione (art. 1135, secondo comma, c.c.).
Quanto alla ripartizione delle spese tra i condòmini, infine, è bene rammentare che queste, salvo differente accordi tra tutti gli interessati, debbono essere ripartite in base ai millesimi di proprietà.
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