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Androne condominiale: quasi tutti gli edifici, anzi tutti gli edifici ne hanno uno.
La sua conformazione consente le più svariate utilizzazioni, a parte quella sua propria e quindi sovente necessita di interventi che ne disciplinino i modi d'uso.
Qui di seguito ci occuperemo dell'uso dell'androne condominiale, da parte dei singoli, di propria iniziativa, ovvero ad opera dell'assemblea, in ragione del suo potere di disciplina delle cose comuni.
Per farlo è utile porsi una serie di quesiti utili a introdurre l'argomento e quindi poterlo meglio affrontare.
Che cos'è l'androne condominiale?
Di chi è l'androne condominiale?
In che modo può essere utilizzato ed entro quali limiti?
Partiamo dalla definizione di androne che è quel luogo di passaggio che si trova tra il portone che dà accesso dell'edificio e le scale condominiali.
La funzione dell'androne è quella di consentire il passaggio dalla pubblica via alle scale condominiali, ai locali della portineria ed in generale alle altre parti dell'edificio e viceversa, chiaramente.
L'androne non è espressamente menzionato tra le parti comuni dell'edificio, ma datane la funzione appena sommariamente descritta, non sorgono dubbi in merito alla sua condominialità (Cass. 5 ottobre 2017 n. 23300).
Solamente il primo atto di cessione di un'unità immobiliare nell'edificio, quello che ha dato vita al condominio può disporre diversamente, in via diretta ovvero tramite il regolamento ad essa allegato.
Esiste una norma, l'art.1102 c.c. – dedicata alla comunione, ma applicabile al condominio in ragione del rimando contenuto dell'art. 1139 c.c. – a mente del cui primo comma tutti i condòmini hanno diritto di far uso della cosa comune nel modo che ritengono per loro migliore, purché ciò non ne alteri la destinazione, non diminuisca la possibilità dell'altrui pari diritto (il riferimento e agli altri condòmini) e, come chiarito dalla giurisprudenza, non sia lesivo di sicurezza, stabilità e decoro dell'edificio.
In tal senso, ad esempio, è stato affermato che “la destinazione dell'androne a sosta veicolare temporanea e occasionale, nei limiti idonei a salvaguardare la funzione di passaggio anche veicolare per l'accesso alle proprietà individuali può essere considerata accessoria all'utilizzazione dello stesso per il transito” (Cass. 7 maggio 2008 n. 11204).
In buona sostanza se gli spazi lo consentono, il modo d'uso indicato nella sentenza citata può essere considerato esplicitazione concreta del diritto d'uso sancito dall'art. 1102 c.c.
La destinazione sopra indicata può essere certamente impressa dall'assemblea che ai sensi dell'art. 1138 c.c. ha il potere di disciplinare l'uso delle cose comuni.
Potere che si estrinseca nell'inserimento delle modalità d'uso in clausole del regolamento condominiale, ovvero che può essere esercitato mediante apposita delibera. In entrambi i casi la decisione assembleare deve essere assunta col voto favorevole della maggioranza dei partecipanti all'assemblea che rappresentino almeno la metà del valore millesimale dell'edificio.
Qui si è fatto riferimento all'esempio del transito auto, ma per gli androni chiusi, evidentemente, il riferimento agli usi ex art. 1102 c.c., ovvero a quello deciso dall'assemblea sarà consono a quelli possibili. Si pensi, per dire i più ricorrenti, al deposito del passeggino, allo stazionamento di biciclette, ecc. Anche l'amministratore, che ai sensi dell'art. 1130 n. 2 c.c. ha il potere di disciplinare l'uso dei beni comuni può impartire degli ordini volti al miglior godimento dell'androne.
Che un bene comune possa essere utilizzato da tutti non vuol dire che tutti possano farne ciò che vogliono. È chiaro sul punto l'art. 1102 c.c.
Che l'assemblea possa decidere in che modo disciplinare l'uso di un bene comune, nella specie l'androne condominiale, non sta a significare che possa stabilire o vietare ciò che ritiene la maggioranza. Usi e divieti non possono mai comprimere i diritti dei singoli sui beni comuni.
Nella prima ipotesi, i singoli condòmini sempre ai sensi dell'art. 1102 c.c. ovvero ai sensi dell'art. 1117-quater c.c. possono promuovere tutta una serie di azioni stragiudiziali (diffide, tentativi di mediazione) o giudiziali (cause ordinarie, richiesta provvedimenti cautelari) per inibire ed accertare l'illegittimità di determinate utilizzazioni.
Nel caso di decisioni assembleari, o provvedimenti dell'amministratore i singoli condòmini avranno facoltà di far valere i propri diritti in sede giudiziale e nel caso di provvedimenti del mandatario anche in sede assembleare, cioè chiedendo la convocazione di un'assemblea per la discussione sulla decisione assunta dal mandatario.
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