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Un condomino fa causa alla compagine; oppure il condominio fa causa al singolo comproprietario.
Quante volte abbiamo letto articoli o sentenze che avevano questo incipit?
Accade poi, alle volte, che le parti, per svariati motivi, decidano di porre fine alla lite in corso con una transazione.
Se per la persona che agisce in giudizio individualmente l'iter decisionale è intuitivo (egli decide per se stesso), per il condominio non sempre è semplice comprendere chi e come possa decidere.
L'amministratore, i condomini all'unisono o l'assemblea?
E in quest'ultimo caso con quali maggioranze?
La risposta non è unica e varia al variare della materia oggetto della controversia.
Ce ne ha dato conferma la Corte di Cassazione quando è stata chiamata a pronunciarsi sull'argomento.
Prendiamo ad esempio la sentenza n. 25608 del 30 novembre 2011. Nel caso soggetto al giudizio degli ermellini, la transazione aveva a oggetto una sentenza divenuta definitiva riguardante dei diritti di servitù.
Anzichè eseguire la pronuncia le parti (un condominio e un suo partecipante) si erano accordate in via transattiva. Per fare ciò l'assemblea della compagine aveva deliberato su quell'accordo a maggioranza. Uno dei comproprietari impugnava quella deliberazione chiedendo che venisse dichiarata l'invalidità della medesima in quanto verteva su una materia che necessitava del consenso di tutti i condomini. La deliberazione veniva invalidata nel corso del giudizio d'appello. Da qui il ricorso per Cassazione da parte del condominio; il ricorso è stato ritenuto infondato.
Secondo gli ermellini, infatti, la delibera oggetto dell'impugnazione non aveva ad oggetto una semplice transazione, ma una transazione per effetto della quale il condominio rinunciava a servitù reciproche o acconsentiva alla modifica delle stesse, il che richiedeva il consenso unanime dei condomini (Cass. 30 novembre 2011 n. 25608).
In sostanza è possibile affermare che è invalida la deliberazione che, decidendo sulla transazione di una lite, dispone su questioni che non sono di competenza dell'assemblea. In questo caso, per maggiore precisione, è bene specificare che la decisione dell'assise è da ritenersi nulla (cfr. Cass. SS.UU. n. 4806/05). Per ulteriore precisione è possibile, quindi, concludere nel seguente modo: è nulla, perché riguardante materia estranea alla competenza dell'assemblea, la deliberazione con la quale il condominio decide su diritti reali di godimento, come la servitù, che devono essere considerati specificamente riferibili ai partecipanti e non alla compagine.
Più recentemente, correva l'anno 2014, sempre la Suprema Corte è tornata a occuparsi della possibilità, per il condominio, di chiudere una lite con un contratto di transazione, con un esito differente, stante anche la diversità dell'oggetto della transazione.
Nel caso risolto dai giudici di legittimità con la sentenza n. 821 del 16 gennaio 2014, le parti, il condominio e un'impresa edile, litigavano in merito alla corretta esecuzione di un intervento manutentivo.
Per evitare la lite giudiziale l'assemblea del condominio decideva, a maggioranza, di accettare la proposta transattiva avanzata dalla ditta edile; uno dei condòmini non ci stava e impugnava quella deliberazione assembleare.
Al termine di un giudizio, che è arrivato fino alle aule della Corte di Cassazione, la sentenza è stata favorevole alla compagine.
I giudici di piazza Cavour hanno ricordato che in quanto è notorio che l'assemblea condominiale abbia il potere di deliberare sulle spese di comune interesse e quindi di concludere i contratti da cui queste discendono, è evidente che sarebbe irragionevole negarle la competenza di decidere sulla firma di un contratto finalizzato alla chiusura o a evitare l'insorgenza di eventuali controversie, qual è il contratto di transazione (Cass. 16 gennaio 2014, n. 821).
D'altra parte che senso avrebbe riconoscere all'assemblea il potere di acconsentire alla conclusione di un contratto e poi non riconoscerle la facoltà di decidere in merito a eventuali contrasti che possano discendere da quello stesso accordo?
Da qui il principio di diritto a mente del quale l'assemblea dei condomini secondo i principi generali espressi dall'art. 1135 c.c. ha il potere di deliberare su tutto ciò che riguardi le spese d'interesse comune e quindi anche eventuali atti di transazione che a dette spese afferiscono (Cass. 16 gennaio 2014, n. 821).
Al fine della transazione di una lite di competenza dell'assemblea, infine, vale la pena ricordare che sono sufficienti le medesime maggioranze previste per attivare o resistere a una lite, vale a dire, sia in prima, sia in seconda convocazione, la maggioranza dei partecipanti alla riunione che rappresentino almeno 500 millesimi (art. 1136, quarto comma, c.c.).
Conseguenza di un'eventuale deliberazione assunta con maggioranze inferiori a quelle previste dalla legge la deliberazione dovrebbe essere considerata annullabile e come tale impugnabile:
a) dai presenti, astenuti e dissenzienti, entro trenta giorni dalla data di deliberazione;
c) dagli assenti entro trenta giorni dalla data di comunicazione del verbale (cfr. art. 1137 c.c.).
La deliberazione che decide in merito alla transazione, come qualunque altra decisione dell'assemblea (non sospesa e/o annullata dall'Autorità Giudiziaria) è obbligatoria per tutti i condòmini (art. 1137, primo comma, c.c.).
In buona sostanza dalla deliberazione di transazione di una lite con conseguente ripartizione della spesa tra tutti i condòmini può discendere la richiesta di un decreto ingiuntivo in caso di morosità.
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