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Le nostre campagne, e talvolta anche i centri storici di paesi e città, sono pieni di edifici abbandonati a loro stessi, spesso fatiscenti e pericolanti.
Di contro, si assiste a una massiccia cementificazione delle campagne, con effetti gravi e deleteri sulla tutela del paesaggio, la mitigazione del rischio idrogeologico e il consumo del territorio.
Un'ottima strategia per ridurre questo problema è incentivare il recupero edilizio, che presenta numerosi vantaggi:
Di contro esistono anche alcuni svantaggi perché gli edifici tradizionali sono generalmente meno efficienti dal punto di vista energetico, mentre il loro recupero ha un costo quasi pari (o talvolta persino superiore) a quello di una nuova costruzione.
Per gestire correttamente l'intervento occorre inoltre trovare un tecnico specializzato nel restauro architettonico e maestranze qualificate, con artigiani esperti in grado di applicare correttamente i materiali e i sistemi costruttivi tipici dell'edilizia pre-moderna.
In caso di riuso, recupero o ristrutturazione di questo tipo di edifici occorre infatti intervenire secondo i principi e i criteri propri del restauro architettonico, cioè compatibilità, reversibilità, riconoscibilità e minimo intervento: contrariamente, infatti, a quanto comunemente si pensa, i principi e i metodi operativi del restauro non riguardano solo gli edifici monumentali o vincolati come bene culturale ma l'intero edificato storico.
La ristrutturazione di un rudere deve quindi tendere al recupero integrale sia delle parti conservate come le murature perimetrali, i solai interpiano e la copertura, sia dei materiali ancora utilizzabili come coppi, tegole, mattoni, infissi e travi in legno.
Talvolta risulta inoltre possibile salvare una struttura apparentemente fatiscente con semplici interventi di consolidamento e manutenzione, tra cui ad esempio la sarcitura di lesioni con la tecnica dello scuci e cuci, la parziale sostituzione di membrature lignee marcescenti o il consolidamento delle fondazioni mediante sottomurazione.
La compatibilità riguarda la destinazione d'uso di progetto, la scelta dei materiali e dei sistemi costruttivi. Generalmente, il recupero di un edificio rurale abbandonato a fini abitativi o la riconversione di un vecchio fienile o di una stalla in abitazione pone relativamente pochi problemi tecnici e progettuali: il progetto deve però tenere conto della sua struttura e distribuzione planimetrica originaria per non stravolgerne la leggibilità.
Anche la compatibilità dei materiali e dei sistemi costruttivi si ottiene semplicemente adottando quelli tipici dell'edilizia premoderna: murature di pietrame o mattoni legati con malta di calce, copertura e solai in legno, infissi tradizionali in legno e intonaci, tinteggiature a base di calce.
Anche le finiture interne vanno se possibile tutelate e salvaguardate: un pavimento in pianelle di cotto risulta ad esempio decisamente più autentico e intonato al contesto rispetto alla sua imitazione di gres o klinker. Anche il gres a effetto legno o pietra in questi casi va impiegato con prudenza, privilegiando il corrispettivo materiale naturale.
Altri due criteri molto importanti sono quelli strettamente correlati di reversibilità e minimo intervento: un intervento reversibile è infatti molto spesso anche poco invasivo e viceversa.
Questi principi impongono di scegliere dunque il metodo operativo meno invasivo per l'edificio, compatibilmente con le ovvie esigenze di sicurezza statica, fattibilità tecnica e sostenibilità economica. Qualsiasi intervento dovrebbe inoltre essere almeno parzialmente reversibile, cioè smontabile e rimovibile senza alterazioni permantenti dell'edificio.
Un primo esempio concreto di applicazione di questi principi è il miglioramento sismico di una costruzione esistente mediante l'installazione di catene in acciaio con capochiave anzichè l'esecuzione di cordoli in breccia di cemento armato, per altro estremamente pericolosi anche dal punto di vista statico e fortemente sconsigliati dalla normativa.
Un altro esempio riguarda invece l'adozione dell'impianto elettrico esterno entro canaline o zoccolini per non danneggiare gli intonaci e le murature originarie con l'esecuzione delle tracce.
In generale, sono quindi reversibili e poco invasivi i sistemi costruttivi a secco, cioè che non richiedono opere murarie, e di tipo prefabbricato.
L'ultimo criterio da considerare è quello della riconoscibilità, secondo il quale gli elementi aggiunti devono risultare facilmente distinguibili da quelli originari: nel recupero di un edificio abbandonato, che spesso richiede una parziale opera di ricostruzione, si tratta di un principio importante che mette a dura prova l'esperienza e la bravura del progettista.
La riconoscibilità infatti dev'essere discreta, per evitare contrasti troppo netti ed evidenti di forme e materiali che potrebbero compromettere l'armonia estetica dell'edificio: si dovrebbero perciò evitare le ampie superfici con i vetri a specchi, i rivestimenti troppo estesi in acciaio corten, le cromature a specchio, la sostituzione delle travi in legno con profili in acciaio tipo Ipe o HE o la creazione di solai, travi e pilastri di cemento armato.
Una buona soluzione prevede invece integrazioni murarie in mattoni di recupero o sagomati a mano volutamente eseguite in leggero sottosquadro, la sostituzione di elementi lignei con travi in legno massiccio uso Fiume o Trieste, cioè di evidente fabbricazione industriale, o la scelta di finiture contemporanee (pavimenti, rivestimenti e terminali degli impianti) di colori neutri e design minimalista.
Tali accorgimenti, che non compromettono la leggibilità globale dell'edificio e non ne nascondono sia l'antichità che le stratificazioni, da vicino dimostrano infatti la loro inequivocabile modernità.
Resta ora da chiarire come incoraggiare il recupero degli edifici abbandonati e la loro trasformazione in abitazione.
Le soluzioni percorribili sono essenzialmente due:
- la loro vendita o concessione a prezzi simbolici
-l'autorecupero.
Il primo metodo è stato sperimentato da numerosi piccoli comuni per ripopolare i propri territori: i bandi, spesso destinati a giovani coppie o a persone che desiderano impiantare una propria attività commerciale, artigianale o ricettiva, prevedono generalmente la vendita a un prezzo del tutto simbolico (ad esempio un euro) degli edifici dismessi di proprietà pubblica, con l'impegno da parte degli acquirenti a restaurarli e abitarvi per un certo numero di anni.
L'autorecupero è invece una pratica affine all'autocostruzione: un certo numero di famiglie decide di unire le forze fondando una cooperativa per restaurare con le proprie mani e nel tempo libero un certo numero di edifici da destinare alle proprie abitazioni.
Generalmente, tale operazione richiede l'affiliazione del nuovo gruppo a un'associazione già esistente destinata a questo scopo, in grado di garantire formazione, aiuto e assistenza da parte di tecnici abilitati e artigiani esperti.
Si tratta di una pratica decisamente virtuosa, perché in questo modo si possono recuperare a basso costo terreni ed edifici destinati a un degrado inevitabile, formando allo stesso tempo comunità di vicinato molto unite e coese.
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