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Da quasi due anni, il Superbonus, introdotto dall'art. 119, decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. Decreto Rilancio) ha catalizzato l'attenzione, imponendosi come la detrazione, che se sapientemente utilizzata, consente di ottenere notevoli vantaggi in termini di risparmio di imposta, ancorché più articolata per la rigida e complessa procedura da seguire al fine di non vedersi disconoscere il beneficio fiscale anche a distanza di anni.
Seppur il periodo di detrazione sia stato dimezzato in anni cinque, anziché dieci anni, come previsto per la totalità delle detrazioni fiscali vigenti, relative al comparto casa, nel corso di tale quinquennio, si possono verificare situazioni in origine non previste, come, a esempio, la vendita dell'immobile infraquinquennale, prima di aver effettivamente usufruito del vantaggio fiscale.
In altri termini, cosa accade se si decide di vendere l'immobile oggetto di ristrutturazione con Superbonus 110%, prima della conclusione del quinquennio, previsto per portare in detrazione le spese sostenute?
Cosa succede in tali casi?
Si perde il beneficio fiscale?
Come si possono considerare fiscalmente le spese sostenute?
In caso di vendita dell'immobile, sul quale si è eseguito un intervento agevolabile al 110%, prima che sia decorso il c.d. periodo di detrazione, ovverosia il periodo di cinque anni previsto per portare in detrazione le spese sostenute, cosa succede?
Il cedente perde tale diritto?
A tale interrogativo ha risposto il Ministero dell'Economia e delle Finanze, con il Decreto Requisiti prot. 159844 del 6 agosto 2020, con il quale, all'art. 9, è stato chiarito chein caso di trasferimento per atto tra vivi dell'unità immobiliare residenziale sulla quale sono stati realizzati gli interventi che beneficiano del bonus 110%, le relative detrazioni non utilizzate in tutto o in parte dal cedente si trasferiscono, salvo diverso accordo tra le parti, per i rimanenti periodi d'imposta, all'acquirente persona fisica dell'unità immobiliare.
La locuzione, salvo patto contrario deve essere interpretata nel senso che il cedente non è obbligato a cedere anche il diritto di detrazione, relativo alle rate residue, all'acquirente.
In tale caso è opportuno specificare nel contratto di compravendita che, con riferimento alle quote residue non utilizzate, il diritto di portare in detrazione dalle imposte sui redditi permane in capo al cedente, che ha sostenuto le spese.
In caso di decesso dell'avente diritto, la fruizione del beneficio fiscale si trasmette, per intero, esclusivamente all'erede che conservi la detenzione materiale e diretta del bene.
In linea generale in diritto tributario, la cessionea titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti genera la c.d. plusvalenza.
La plusvalenza è essenzialmente la differenza fra il prezzo di acquisto si un immobile e il (superiore) prezzo di vendita.
Nel nostro ordinamento, la sola plusvalenza assoggettata a tassazione è la plusvalenza a scopo c.d. speculativo che si realizza allorquando l'immobile è ceduto entro cinque anni dall'acquisto.
Il soggetto che realizza tale plusvalenza è tenuto al pagamento di una imposta sostitutiva in sede di atto notarile di compravendita.
Le plusvalenze da cessione a titolo oneroso di beni immobili sono considerate redditi diversi, come previsto dall'art. 67, comma 1, lettera b), D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (anche TUIR) e, in quanto tali, imponibili, se si tratta di beni acquistati da non più di cinque anni da persona fisica.
Ai sensi dell'art. 68, TUIR statuisce che tali plusvalenze sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo.
Ciò precisato, è bene chiarire che ai sensi dell'art. 67, TUIR, così come modificato dall'art. 1, Legge 30 dicembre 2020 n. 178, non genera plusvalenza la vendita di immobile infraquinquennale che per la maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto o la costruzione e la cessione è stato adibito ad abitazione principale del cedente.
Con una recente risposta a un interpello, formulato da un condomino istante, proprietario di una unità immobiliare in vendita, prima che sia trascorso il quinquennio ex lege previsto e sulla quale sono stati deliberati lavori rientranti nel bonus 110%,l'Agenzia delle Entrate, con la risposta 24 marzo 2021, n. 204, ha chiarito un importante aspetto, afferente alla rilevanza da un punto di vista fiscale di tali spese e alla loro imputabilità ai fini del calcolo della plusvalenza tassabile.
L'Amministrazione finanziaria, dopo un lungo excursus della normativa vigente in tema di Superbonus, ha richiamato un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale, le spese incrementative sono da ritenersi quelle che determinano un aumento della consistenza economica del bene o che incidono sul suo valore, nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo (Cass., 22 giugno 2018, n. 16538).
Tali spese incrementative, secondo la Corte di Cassazione, rientrano nel concetto dicosto inerente, rilevante ai fini del calcolo della plusvalenza tassabile.
Fra tali spese incrementative vi rientrano certamente i costi sostenuti per interventi previsti dalla norma agevolativa del Superbonus, trattandosi di spese che non attengono alla normale gestione del bene e che ne hanno determinato un aumento di valore, perdurante al momento in cui viene realizzata l'operazione imponibile.
Alla luce dell'inquadramento degli oneri sopportati per le opere agevolabili al 110% nel novero delle spese incrementative rilevanti ai fini del calcolo della plusvalenza tassabile, l'Agenzia ha concluso stabilendo che tali spese, pertanto, possono essere considerate, ai fini del calcolo della plusvalenza della cessione infraquinquennale dell'immobile, ai sensi del citato art. 68, TUIR, tra i costi inerenti all'immobile medesimo.
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