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Secondo la Corte di Cassazione - i provvedimenti non sono numerosi per la verità - l'emissione di rumori tali da disturbare il vicinato è una forma di inadempimento che può portare alla risoluzione del contratto di locazione per inadempimento e al rilascio dell'immobile.
Il principio è stato ribadito di recente dalla Corte con l'ordinanza n. 22860 depositata il 20 ottobre 2020.
Vediamo dunque la questione un po' più nel dettaglio.
Prima però premettiamo alcuni cenni alle norme coinvolte nel discorso; quindi, a quelle sulle obbligazioni del conduttore dell'immobile (secondo le norme contenute nel codice civile agli artt. 1571 e ss.) e sulla risoluzione del contratto per inadempimento (secondo le norme di cui agli artt. 1453 e ss. c.c.).
Poi vedremo in sintesi come si è espressa sul punto la Corte di Cassazione nel provvedimento del 2020 ed in quello, precedente, del 1987.
Nel codice civile la locazione è definita come il contratto con cui:
una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo (art. 1571 c.c.).
L'obbligo di fondo del locatore è quindi di consentire al conduttore di servirsi del bene.
Infatti secondo l'art. 1575 c.c., dedicato alle obbligazioni principali del locatore, questi deve:
1) consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione; 2) mantenerla in istato da servire all'uso convenuto;
3) garantirne il pacifico godimento durante la locazione (art. 1575 c.c.).
Quali invece le obbligazioni principali del conduttore?
1) prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l'uso determinato nel contratto o per l'uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze; 2) dare il corrispettivo nei termini convenuti (art. 1587 c.c.).
Se le parti non adempiono alle proprie obbligazioni, lo dice la parola stessa, siamo davanti a un inadempimento.
A tal proposito, per quel che qui interessa, l'art. 1453 c.c. al comma 1 prevede che nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le proprie obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento oppure la risoluzione del contratto, restando salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.
I contratti con prestazioni corrispettive sono quelli dove in parole povere la prestazione di una parte è in funzione di quella dell'altra.
Inoltre, l'art. 1455 prevede che il contratto non può essere risolto qualora l'inadempimento di una delle parti abbia:
scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra (v. art. 1455 c.c.).
Infine menzioniamo anche l'art. 1456 comma 1, secondo cui:
I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite (v. art. 1456 co.1 c.c.).
Nell'ordinanza n. 22860 del 2020 i giudici hanno confermato la sentenza di appello, che a sua volta aveva confermato la sentenza di primo grado; tali sentenze avevano giudicato, per quel che qui interessa, i rumori causati nell'immobile locato come una forma di inadempimento grave, come tale atta a giustificare la dichiarazione di risoluzione del contratto e l'ordine di rilascio dell'immobile.
In particolare, si afferma che l'inadempimento riguarda non solo l'obbligazione prevista dall'art. 1587 c.c. consistente nell'utilizzo dell'immobile secondo la diligenza del buon padre di famiglia, ma anche la clausola del contratto stipulato, che vieta al conduttore di:
compiere atti e tenere comportamenti che possano recare molestia agli altri abitanti dello stabile (Cass. n. 22860/2020).
Mentre, già in primo grado il tribunale non ritiene valida la clausola risolutiva espressa del contratto, che prevede:
in modo generico la risoluzione di diritto per ogni violazione contrattuale (Cass. n. 22860/2020).
I giudici di Legittimità poi, sempre per quanto riguarda il nostro discorso, affermano che:
secondo la giurisprudenza di legittimità, le molestie ai vicini costituiscono abuso di bene locato in violazione quindi dell'art. 1587 c.c., e ciò è indiscutibile (Cass. n. 22860/2020).
Con tale affermazione la Corte respinge la critica sollevata dal ricorrente al richiamo nella sentenza impugnata al precedente del 1987 (su tale precedente e sulle critiche del ricorrente al richiamo v. il paragrafo successivo).
I giudici ricordano, inoltre, che la valutazione circa l'idoneità dei fatti concreti a integrare l'inadempimento è rimessa al giudice di merito, e che in tale senso può bastare anche un solo episodio, se grave.
Nella specie, il comportamento del conduttore censurato è consistito nella molestia ai vicini di casa, mediante insulti, imbrattamenti con vernice bianca della porta di una vicina, nonché dell'affissione di cartelli con ingiurie ai vicini.
Come detto, non si tratta della prima decisione che si è espressa in tal senso.
Più volte richiamata nel corso del giudizio è la sentenza n. 6741 dell'ormai lontano 1987, menzionata anche nel provvedimento del 2020.
In quella sentenza si affermò che il comportamento del conduttore che, personalmente oppure tramite le persone con lui conviventi, provoca molestie di fatto ai coinquilini, con rumori eccessivi, fastidi da parte dei figli, ecc., rappresenta un inadempimento contrattuale, per abuso della casa locata – si rimanda alla prescrizione di cui al su citato art. 1587 c.c. - verso il locatore, se tollerasse dette molestie, ne dovrebbe rispondere verso gli altri inquilini come di fatto proprio.
Nel provvedimento in esame, per il ricorrente, quel precedente è criticabile in quanto dà per sufficiente, ai fini della risoluzione del contratto, un criterio diverso rispetto a quello, già riconosciuto, della misurazione della perdita del valore dell'immobile.
Il nuovo criterio è cioè quello del caso in cui ipoteticamente il locatore potrebbe diventare responsabile nei confronti dei vicini per le molestie del conduttore.
La critica del ricorrente è nel fatto che detto criterio:
dovrebbe condurre a ritenere che non è necessaria la prova del danno ma è sufficiente che si possa ipotizzare che il locatore sia chiamato a risponderne (Cass. n. 22860/2020).
Questa tesi sarebbe in constrasto rispetto a quella già estensivamente interpretativa della giurisprudenza secondo cui il danno deve essere accertato e non potenziale, e deve riguardare l'immobile dato in locazione, e non il locatore.
Quindi per il ricorrente:
la sentenza d'appello si fonderebbe su una sentenza di legittimità "di cui si contesta l'applicabilità in quanto interpretativa della norma in misura tale da comportare una riformulazione non ammessa (Cass. n. 22860/2020).
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