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Cosa fare con una casa acquistata durante il matrimonio in regime di comunione legale quando detta comunione si scioglie con la separazione o il divorzio?
Il problema è sicuramente molto diffuso e sentito tra le persone reduci da un matrimonio in regime di comune legale.
Prima di lasciarsi spesso la coppia media ha fatto in tempo ad acquistare casa.
Oltre alla complessità della situazione giuridica, si aggiunge la complessità di un rapporto che, anche se ormai da tempo si è sciolto, spesso conserva i toni dell'astio; in questo caso risolvere un proprio problema può voler dire tenere conto anche dell'altro, ancora una volta, e di certo non è semplice!
E la casa, che dovrebbe essere vissuta come una fortuna, in tutti i sensi, si tramuta in un vero e proprio problema.
Vediamo allora innanzitutto in quali condizioni la casa rientra nel regime di comunione legale tra i coniugi.
Come noto, se i coniugi non preferiscono espressamente altre soluzioni, ovvero la separazione dei beni o la regolazione dei rapporti patrimoniali tramite le convenzioni matrimoniali, si applica il regime della comunione legale; così dispone infatti l'art. 159 c.c.
L'art. 177 c.c. indica poi quali sono i beni che rientrano nella comunione legale; in particolare, e sempre per quanto qui interessa, al co.1, lett.a), prevede gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali.
L'art. 179 c.c. poi indica quali beni personali: a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;
b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;
c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;
d) i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un'azienda facente parte della comunione;
e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto.
L'ultimo comma dello stesso art. 179, sempre per quanto ci interessa, aggiunge che i beni immobili acquistati dopo il matrimonio non rientrano nella comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall'atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l'altro coniuge.
Nella comunione rientra dunque la casa, se comprata da uno dei due o da entrambi durante il matrimonio, a meno che non si versi nelle ipotesi che riguardano i beni personali, di cui all'art. 179 c.c.
L'art. 191 c.c., prevede al co. 1 i casi in cui la comunione legale tra coniugi si scioglie, ovvero:
- la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi;
- l'annullamento;
- lo scioglimento;
- a cessazione degli effetti civili del matrimonio;
- la separazione personale;
- la separazione giudiziale dei beni;
- il mutamento convenzionale del regime patrimoniale;
- il fallimento di uno dei coniugi.
Lo stesso art. 191 c.c. prevede poi - da meno di un anno, cioè in seguito alla emanazione della Legge n.55/2015 - al co. 2 che nei casi di separazione personale lo scioglimento si ha al momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato.
Lo stesso comma prevede poi che L'ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all'ufficiale dello stato civile ai fini dell'annotazione dello scioglimento della comunione.
A noi oggi interessano in particolare i casi relativi alla separazione e al divorzio.
Cosa accade con lo scioglimento della comunione?
La legge non lo specifica; come si può immaginare, gli interpreti si sono affannati a trovare delle risposte, con risultati non uniformi, anche se l'orientamento prevalente è nel senso che si spiega brevemente qui di seguito.
Innanzitutto, sembra pacifico un dato: scioglimento in questo caso non vuol dire divisione automatica dei beni.
Inoltre, l'orientamento maggioritario si attesta nell'affermare che: la proprietà comune, prima indivisibile, diviene divisibile, cioè ognuno dei due può chiedere lo scioglimento materiale della comunione; detta divisione sarà dunque successiva e potrà avvenire in via consensuale oppure in via giudiziale; la divisione dei beni sarà regolata dalle speciali norme previste per divisione della comunione legale (v. artt. 194 e ss. c.c.).
Secondo alcuni lo scioglimento della comunione legale non pregiudicherebbe i diritti dei terzi che hanno contratto rapporti con la coppia quando vigeva la comunione legale, perché rimarrebbe invariato il sistema di garanzie della comunione legale verso obbligazioni sorte prima dello scioglimento. In soldoni, la disciplina della comunione legale rimarrebbe in vita quanto ai rapporti con terzi sorti prima dello scioglimento.
La divisione dei beni è dunque un atto eventuale e successivo.
Dallo scioglimento della comunione legale sino alla divisione, almeno questa è l'opinione prevalente in dottrina e in giurisprudenza, la situazione sarà regolata dalle norme sulla comunione ordinaria di cui ai citati artt. 1100 e ss. c.c., salvo, appunto le norme speciali sulla divisione della comunione legale.
Ad ogni modo, i beni della comunione legale vanno divisi secondo le norme speciali indicate dal codice, le quali dispongono che la divisione deve essere effettuata ripartendo in parti uguali l'attivo e il passivo (v. art. 194 c.c.), dopo avere effettuato i rimborsi e le restituzioni (v. art.192 c.c.), prelevato i beni mobili personali (v. art. 195 c.c.) o i loro valore in denaro (v. art. 196 c.c.), potendo però opporre ai terzi detta titolarità personale solo se risulti da atto con data certa (v. art. 197 c.c.).
I beni acquistati dopo lo scioglimento della comunione ovviamente non appartengono alla comunione, mentre quelli acquistati prima vanno divisi secondo le speciali norme indicate.
La questione un po' più complessa è a quali condizioni si può disporre dei beni prima appartenenti alla comunione legale.
Come detto, secondo l'orientamento prevalente valgono le norme sulla comunione ordinaria (mentre secono altri, in minoranza, valgono ad esempio le norme della comunione legale).
Una delle conseguenze di maggior rilievo dell'applicazione di tali norme è la seguente.
Secondo le norme della comunione ordinaria, per quanto ci interessa, ogni comunista può disporre della propria quota (in realtà, del diritto sulla quota) e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota, senza bisogno del consenso dell'altro (v. art. 1103 c.c.); le regole dell'amministrazione del tutto rimandano poi a criteri di maggioranza e unanimità a seconda dei casi ( per i dettagli v. artt. 1105 e ss. c.c.).
Cosa non possibile per la comunione legale, per la quale non è disciplinata la disposizione autonoma della singola quota: se è amministrazione ordinaria spetta a entrambi anche disgiuntamente; se è straordinaria o comprende la firma di contratti con cui si concendono o acquistano diritti personali di godimento, spetta a entrambi congiuntamente (per i dettagli v. artt. 180 e ss.c.c.).
Dunque, una delle principali conseguenze dell'applicazione della disciplina della comunione ordinaria in luogo di quella della comunione legale è che per gli atti di disposizione della quota non è necessaria la partecipazione di entrambi.
Se la cosa è possibile in astratto, almento secondo i più, non è però di facile applicazione.
Va da sè infatti che è molto più conveniente una gestione condivisa del bene.
Ad esempio, se una delle sue parti dona la sua quota, sarà più difficile un domani vendere l'intero bene, date le complicanze connesse con la fattispecie della donazione.
Va da sè che sono molto più convenienti degli atti condivisi dalle due parti, cioè scelti insieme.
Essi possono essere, ad esempio, la vendita congiunta dell'intero bene; oppure, sempre a titolo esemplificativo si può frazionare e dividere materialmente il bene intestandolo alle due parti.
Si tratta di scelte che presuppongono la valutazione e la conoscenza dell'intera situazione di fatto e giuridica. Tali soluzioni sicuramente sono la cosa migliore in termini di risparmio di tempo, soldi e serenità. Certo, postulano la comunicazione con l'altra parte.
Ma, anche valutando gli interessi dei figli, nati dal matrimonio finito o anche dopo, è opportuno ragionare freddamente e riuscire a mediare tra tutti i contrapposti impulsi emotivi e interessi.
Infatti, lasciare le cose come stanno vorrebbe dire addossare ai figli le incognite legate a un bene in comunione.
Una donazione a un figlio o ad altri potrebbe un domani essere causa di controversie con gli altri eredi.
Al di là delle opposte conclusioni dottrinarie e giurisprudenziali, è dunque sicuramente consigliabile procedere ad atti concordati, quando le condizioni giuridiche e di fatto lo consentano.
Viceversa, può succedere, come nel caso deciso dalla sentenza del Tribunale di Tivoli il 14 marzo 2007, dove si è proceduto allo scioglimento della comunione relativa a un immobile tra gli eredi dei due ex congiunti, oramai deceduti; eredi che erano in parte comuni ai due, cioè i figli nati dal loro matrimonio, e in parte nati invece da successive unioni.
Peraltro, il trascorrere del tempo non fa che complicare le cose: sempre nella citata sentenza del Tribunale di Tivoli non erano solo le quote della proprietà della casa da computare nella ripartizione, ma anche il valore dei canoni della locazione di parte della casa percepiti negli anni da uno solo degli eredi.
In mancanza di accordo si procederà allla divisione giudiziale per la quale è obbligatorio esperire il procedimento di mediazione (art. 5, D.Lgs. n. 28/2010.
Data la complessità della materia, si raccomanda di avvalersi di professionisti esperti del settore.
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