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Appena la scorsa settimana è stato approvato il decreto legge n. 133 recante Disposizioni urgenti concernenti l'IMU, l'alienazione di immobili pubblici e la Banca d'Italia, che ha sancito la definitiva abolizione della seconda rata Imu per la prima casa.
Ma in questi ultimi giorni c'è un gran caos nel mondo dell'informazione riguardo al fatto che, in realtà, alcune abitazioni, pur avendo le caratteristiche di prima casa, potrebbero pagare un residuo d'imposta.
In base al decreto saranno escluse dal pagamento dell'Imu le prime case, le unità immobiliari delle cooperative edilizie utilizzate dai soci assegnatari come abitazione principale e quelle appartenenti ai programmi di edilizia economica e popolare.
Altri immobili esenti dall'imposta saranno:
- la casa coniugale assegnata ad uno dei coniugi dopo il provvedimento di separazione;
- gli immobili di proprietà del personale delle forze armate;
- i terreni agricoli coltivati;
- gli edifici rurali strumentali all'attività agricola.
Inoltre alcuni Comuni hanno deliberato particolari esenzioni per immobili che non hanno i requisiti prima casa, ma possono ad essa essere equiparati, come ad esempio:
- gli immobili dati in comodato d'uso gratuito ai figli;
- le case di proprietà di anziani residenti in casa di cura.
Per tutti gli altri immobili, invece, seconde case e case accatastate come A1 (abitazioni signorili) A8 (ville) e A9 (castelli) anche se utilizzate come prima abitazione, dovrà invece essere versata la seconda rata entro il 16 dicembre 2013.
Ricordiamo che coloro che hanno acquistato o venduto un immobile quest'anno sono comunque tenuti a versare il conguaglio entro dicembre.
Leggendo tra le righe del testo del decreto (articolo 1, comma 5) è emerso che, nel caso in cui i Comuni abbiano nel 2013 elevato l'aliquota rispetto a quella di base del 4 per mille prevista per il 2012, i contribuenti dovranno versare il 40% della differenza tra queste due aliquote entro il 16 gennaio 2014.
Infatti lo Stato si farà carico solo del 60% di questo extragetito.
Allo stato attuale, quindi, non si sa ancora quanti contribuenti dovranno pagare questa differenza, visto che i comuni hanno tempo fino al 9 dicembre 2013 per elevare le aliquote.
Per cui, per quelli che lo hanno già fatto, è sicuro che dovrà essere versata questa differenza. Ma per i cittadini dei comuni che non hanno ancora deliberato, la situazione è incerta.
Sono al vaglio due possibili soluzioni allo stato di caos creato da questo passaggio del decreto.
La prima e più lineare soluzione potrebbe arrivare con il passaggio alla Camera della Legge di Stabilità. In alternativa potrebbe essere varata una soluzione più macchinosa, che prevedrebbe il pagamento comunque da parte dei contribuenti, che poi dovrebbero ricevere un rimborso con un meccanismo ancora da studiare.
I Centri di Assistenza Fiscale hanno pertanto lanciato un allarme sulla questione in quanto innanzitutto il pagamento di questa differenza si andrà ad accavallare con la prima rata della IUC, la nuova Imposta Unica Comunale che scatterà dal prossimo anno; in secondo luogo i tempi ristretti per effettuare i calcoli degli importi potrebbero ingenerare errori; infine, potrebbero sorgere numerosi contenziosi tra i contribuenti e le amministrazioni.
Unimpresa, l'associazione a cui aderiscono circa 900 centri fiscali di tutta Italia, ha infatti dichiarato che l'annuncio di quella che è stata subito ribattezzata mini – Imu, pur essendo slittata di un mese la scadenza rispetto a quella prevista per la seconda rata, è arrivato comunque troppo a ridosso dei termini fissati.
Va detto che l'importo dell'integrazione Imu non dovrebbe essere una cifra elevata, tuttavia per i contribuenti si dovrà mettere in conto il costo di una consulenza professionale, soprattutto se i comuni non predisporranno in tempo i bollettini precompilati.
Per chi voglia sapere come si può effettuare il calcolo della mini Imu senza rivolgersi al Caf o allo studio del commercialista di fiducia, riportiamo qui i passaggi da seguire.
Per prima cosa si calcola l'Imu con l'aliquota standard del 4 per mille: per farlo si moltiplica il valore catastale per 4 e si divide per mille.
Dal risultato ottenuto si sottrae la detrazione standard di 200 euro, e quella di 50 euro per ogni figlio convivente di età inferiore a 26 anni.
Si ripete il calcolo applicando l'aliquota aumentata dal comune. Della differenza ottenuta si calcola il 40%: sarà la quota a carico del contribuente.
Ad ulteriore chiarimento facciamo un esempio numerico, considerando il caso di un'abitazione avente valore catastale di 100.000 euro, di una famiglia con due figli minori e in un comune che ha portato l'aliquota al 6 per mille:
100.000 x 4 / 1000 = 400 euro
Detrazioni: 400 – 200 – (50x2) = 100 euro
100.000 x 6 / 1000 = 600 euro
Detrazioni: 600 – 200 – (50x2) = 300 euro
Differenza: 300 – 100 = 200 euro
Importo dovuto: 40% di 200 euro pari a 80 euro.
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