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Quella delle infiltrazioni d'acqua, di qualunque genere esse siano, è sempre materia in grado di generare contenzioso in relazione al risarcimento a seguito di un fatto dannoso che è occorso.
La domanda è sempre la stessa: chi paga che cosa?
La risposta, ormai consolidata nell'insegnamento giurisprudenziale, è la seguente: il proprietario della cose da cui proviene il danno risponde in quanto custode del bene (art. 2051 c.c.) a titolo di responsabilità oggettiva con ciò volendosi dire che andrà esente dall'obbligo risarcitorio solamente se sarà in grado di provare che il danno è occorso per un caso fortuito non riconducibile nella sua sfera d'intervento.
In questo contesto è fondamentale anche comprendere chi debba provare che cosa.
In giurisprudenza, in ragione della natura oggettiva della responsabilità ex art. 2051 c.c. si dice che il danneggiato deve provare il danno ed il nesso di causalità tra cosa in custodia del convenuto e danno subito mentre È onere del custode convenuto in risarcimento, invece, dimostrare in ipotesi l'inidoneità in concreto della situazione a provocare l'incidente, o la colpa del danneggiato, od altri fatti idonei ad interrompere il nesso causale fra le condizioni del bene ed il danno (Cass. 18 dicembre 2009 n. 26751).
In parziale contrasto con quest'orientamento s'inserisce una recente pronuncia del Tribunale di Bari (la n. 3360 dell'11 novembre 2010) che riprende, in antitesi a quanto fin'ora detto a livello generale, il concetto di presunzione di colpa alla base della responsabilità per danni da cose in custodia: in tal senso si dice il custode della colonna montante di scarico delle acque luride è responsabile per i danni conseguenza degli sversamenti da essa provenienti se non riesce a dimostrare la verificazione di un caso fortuito del tutto estraneo ad i suoi poteri di signoria sulla cosa.
Il caso specifico ha riguardato un locale commerciale e le tubature di scarico di un edificio in condominio.
Il titolare dell'attività commerciale chiamava in causa la compagine condominiale per chiedere i danni causati dalle infiltrazioni di acque nere provenienti da una colonna di scarico di proprietà condominiale.
Il giudice adito gli dava ragione.
Secondo il magistrato barese, infatti, a fini della responsabilità per le cose in custodia, poi, è necessario e sufficiente che esse abbiano partecipato alla produzione del danno secondo i comuni criteri della causalità giuridica, caratterizzata dai requisiti della adeguatezza e della regolarità e, nel caso di specie, alla luce delle risultanze istruttorie, è incontestabile il legame tra l'efficienza causale del guasto dell'impianto fognante e la fuoriuscita di liquami nel locale di proprietà (…).
Il custode, per liberarsi dalla presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalla cosa, deve provare che esso si è verificato per caso fortuito tale da impedirgli di prevenire l'evento dannoso o di ridurne le conseguenze, dovendo altrimenti rispondere almeno per la parte di danni che avrebbe potuto evitare (Cass. N. 5007/96; Cass. n. 5539/97).
Pertanto a fronte della prospettazione dell'attrice e della regola di responsabilità che ne è alla base (art.2051 c.c.) il convenuto non ha provato fatti idonei a far venire meno la presunzione di responsabilità imposta dalla legge (Trib. Bari 11 novembre 2010 n. 3360).
A ben vedere sebbene il Tribunale chiosi parlando di presunzione di responsabilità il contenuto dell'intera sentenza porta a concludere che si tratta di un'infelice qualificazione giuridica poiché il contenuto effettivo dell'onere della prova e dell'assunzione di responsabilità per il caso di danni pare identico ai casi in cui la giurisprudenza ha parlato di responsabilità oggettiva.
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