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Caduta di vasi da balconi, incendi, infiltrazioni di acqua, caduta di alberi, caduta di cornicioni, fughe di gas, crolli... la casistica è piena di esempi di danni provocati da edifici.
E, ahimè, non pare destinata a diminuire nel breve periodo, visto lo stato di vetustà e abbandono di molti edifici italiani.
La popolazione italiana, invecchiata ed impoverita, evita spesso di mettere mano al portafoglio per affrontare la spesa... lo sanno bene gli amministratori di condominio (che vedono spesso le assemblee disertate o devono rincorrere i condomini morosi). Al di là dell'aspetto estetico, le responsabilità, penali e civili, per i danni che possono essere causati dagli edifici, sono pesanti.
Si badi, ovviamente, i danni non sono del tutto evitabili con la semplice cura: non sono certamente tutti prevedibili e perlomeno da un punto di vista civile, stando alla lettera della norma di riferimento, l'art. 2053 c.c., si può rispondere anche se non si ha colpa, potendo evitare la responsabilità solo se si riesce a dimostrare che il danno sia stato causato dai fattori esterni derivanti da difetto di manutenzione o vizio di costruzione (la responsabilità derivante da vizio di costruzione è regolata dall'art. 1669 c.c.).
La responsabilità per rovina di edificio rientra in quei casi di reponsabilità presunta, perché è onere del proprietario dimostrare di non essere responsabile e non di chi l'accusa, come sarebbe normalmente ai sensi dell'art. 2697 c.c.; la giurisprudenza ha spesso escluso la responsabilità anche in altre ipotesi, oltre a quella del difetto di manutenzione o di vizio di costruzione; ipotesi nelle quali imputare la responsabilità al proprietario avrebbe fatto configurare una responsabilità, non più presunta, ma oggettiva, ricollegata al solo verificarsi del danno.
Ad esempio, con la sentenza n. 6938 del 1988 la Corte di Cassazione ha escluso la responsabilità di una donna che non era a conoscenza dei lavori che il marito stava svolgendo in una grotta di proprietà, riconoscendo che la responsabilità possa essere esclusa anche ove si accerti il caso fortuito o la forza maggiore, il fatto del terzo, o dello stesso danneggiato (ma v. anche Cass. n. 3460/1972).
Altra sentenza, pur riconoscendo la responsabilità del proprietario che non aveva provato il difetto di manutenzione e il vizio di costruzione, nondimeno contemperava tale responsabilità con quella del terzo danneggiato, ai sensi dell'art. 1227 c.c. (per concorso nel fatto colposo), con conseguente riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate (Cass. n. 1002/2010).
Si è ammessa dunque la prova liberatoria del caso fortuito, del fatto del terzo e del danneggiato e della forza maggiore, sebbene la norma non le menzioni (si veda anche Cass. n. 2481/2009); fino a considerare l'incidenza della causa esterna di per sè autonoma e sufficiente a cagionare il danno, escludendo del tuttto l'imputazone al proprietario (Cass. n. 5127/2004).
Al di là delle ipotesi più estreme, però, la norma di cui all'art. 2053 dovrebbe servire a spingere i proprietari a mantenere gli immobili nello stato idoneo a evitare danni a cose e persone. Così come la previsione del concorso del danneggiato dovrebbe indurre tutti ad adottare comportamenti accorti e prudenti....
La questione si complica se oltre al proprietario esiste un conduttore, cioè un soggetto che ha con la cosa un rapporto di custodia diretto. A chi andrà la responsabilità? I casi sono innumerevoli: quello che si ricava dalla numerosa giurisprudenza è che in buona parte dei casi la responsabilità è assegnata a chi ha l'effettiva custodia sulla cosa, rimandendo certamente l'imputazione al proprietario per i danni derivanti dalla struttura, su cui sicuramente il conduttore non può intervenire (ad es., v. Cass. n. 243737/2007 o Cass. n. 13881/2010).
Non viene poi esclusa una imputazione di responsabilità oggettiva (ad es. per Cass. n. 23682/2008), così come le ipotesi di rivalsa nei rapporti interni tra conduttore e locatore (Cass. n. 23682/2008, Cass. n. 4737/2001 etc).
Da ultimo consideriamo che in caso di condominio, per la rovina delle parti comuni risponde il condominio. In questo caso i problemi maggiori sono spesso dati dalla definizione di parte comune, non sempre scontata; dal fatto che spesso i condomini disertano le assemblee, impedendo l'approvazione dei lavori, o pur avendo approvato i lavori, poi non li pagano, o, infine, dal fatto che spesso l'amministratore non adotta le decisioni che gli sono demandate dall'assemblea, dal regolamento o dalla legge.
In merito a quest'ultima ricordiamo che il nuovo (cioè post-riforma) art. 1130, co. 1, n. 4, gli impone ora di compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio. Il tenore letterale della norma è ben diverso da quello precedente, per il quale l'amministratore doveva compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio.
Ora, se a una lettura distratta la differenza tra testo vecchio e testo nuovo non fosse chiara, la lettura del testo alla luce dell'argomento in esame la rende evidente: l'amministatore deve ora compiere tutti gli atti conservativi sia dei diritti, sia dei beni stessi.
Insomma, conviene a tutti impegnarsi perché l'immobile produca meno danni possibile.
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