Per la ripartizione delle spese condominiali, ai fini della validità della delibera, scegliere un criterio errato è cosa diversa dalla deroga a un criterio esistente.
Decisioni sulla ripartizione delle spese
Caso n. 1 L'amministratore del condominio Alfa, al termine dell'anno di gestione, presenta all'assemblea il rendiconto ed il relativo piano di riparto per la discussione e l'approvazione. Egli, secondo la propria interpretazione della legge e del regolamento, ha ripartito le spese per il suo compenso in base ai millesimi di proprietà. L'assemblea, preferendo un criterio nei fatti più equo, decide per la suddivisione del costo del suo compenso in parti uguali.
Caso n. 2 Caio, amministratore del condominio Beta, presenta all'assemblea il rendiconto consuntivo di gestione per l'anno appena trascorso. Nel corso dell'anno è stato necessario effettuare alcuni interventi manutentivi straordinari sull'impianto di ascensore. Per deciderli è necessario il consenso dell'assemblea. Caio l'ha convocata, ha fatto deliberare l'intervento e suggerito di ripartire le spese, come per legge, sulla base dell'art. 1124 c.c. L'assemblea all'approvazione finale della contabilità, ritenendo che l'amministratore fosse in errore, delibera che le spese di manutenzione debbano essere ripartite sulla base dei millesimi di proprietà.
Nei casi appena citati una deliberazione, più specificamente quella del caso n. 1 è nulla, mentre l'altra è da ritenersi annullabile.
Molto spesso questa distinzione, riguardando le decisioni assembleari sui criteri di ripartizione delle spese, non è semplice: eppure la Corte di Cassazione e appresso ad essa i giudici di merito (leggasi Giudici di Pace, Tribunali e Corti d'appello) sono anni che ripetono lo stesso adagio.
Insomma secondo gli ermellini è necessario distinguere tra:
a) delibere che modificano o stabiliscono criteri di ripartizione;
b) delibere che applicano in concreto (erroneamente) criteri già esistenti.
Quando viene chiamata a decidere su cause aventi a oggetto questo genere di controversie, ormai da diversi anni, la Cassazione afferma che secondo il proprio costante orientamento riguardante le delibere dell'assemblea di condominio che si occupano di ripartire le spese per la gestione e conservazione delle cose comuni, è necessario operare una distinzione tra decisioni con le quali sono stabiliti i criteri di ripartizione ai sensi dell'art. 1123 c.c., da quelle con le quali, nell'esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall'art. 1135 n. 2 e 3 c.c. ripartisce secondo i criteri di legge applicandoli erroneamente.
Nella prima ipotesi, dice la Cassazione, le delibere sono radicalmente nulle, perché la modificazione dei criteri legali o convenzionali può essere decisa solamente con il consenso di tutti i condòmini (art. 1123, secondo comma, c.c.), mentre nel secondo caso la deliberazione è solamente annullabile perché in tale circostanza, lungi dal porre in essere una nuova convenzione, l'assemblea si limita a ripartire in concreto le spese medesime (Cass. 21 maggio 2012, n. 8010).
Conseguenze per la scelta del criterio errato
Insomma un conto è deliberare: decidiamo che il compenso dell'amministratore sia ripartito in parti uguali (delibera nulla perché introduttiva di un criterio nuovo, se non presente nel regolamento condominiale), altro dire l'installazione ex novo di un ascensore dev'essere ripartito con la tabella scale e non con quella di proprietà (delibera annullabile).
Chiaramente anche in questa ultima ipotesi si potrà arrivare alla declaratoria di nullità della delibera, se dal verbale impugnato dovesse emergere che non si tratta di scelta del criterio sbagliato ai sensi dell'art. 1135 c.c. ma piuttosto di deroga ai criteri legali senza il consenso di tutti i condomini.
In buona sostanza: se l'assemblea sbaglia nello scegliere un criterio già esistente ed applicabile la deliberazione dev'essere considerata annullabile, mentre se sceglie volontariamente un diverso criterio esistente o ne crea uno ad hoc la deliberazione è nulla se non adottata con il consenso di tutti i condomini.
In questo contesto è utile ricordare che:
a) le deliberazioni nulle sono impugnabili in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse – ivi compresi i condomini favorevoli (vedi Cass. n. 6714/10) – fermi restando gli eventuali effetti della prescrizione rispetto alla restituzione dell'indebito e dell'usucapione;
b) le deliberazioni annullabili sono impugnabili dagli astenuti e dai contrari entro trenta giorni dalla loro adozione e dagli assenti entro il medesimo termine che decorre dalla comunicazione del verbale.
Tanto che si tratti di deliberazione nulla, tanto che si tratti di deliberazione annullabile, l'azione giudiziaria dev'essere preceduta dal così detto tentativo obbligatorio di mediazione previsto dal d.lgs n. 28/2010 e specificamente disciplinato per il condominio anche dall'art. 71-bis disp. att. c.c.