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Sulle spese propriamente dette, vale a dire sulle voci di costo a carico dei singoli condomini, la riforma del condominio (legge n. 220/2012) introduce ben poche novità.
Tra queste quella contenuta nel primo comma dell'art. 1130-bis c.c. a mente del quale:
L'assemblea condominiale può, in qualsiasi momento o per più annualità specificamente identificate, nominare un revisore che verifichi la contabilità del condominio. La deliberazione è assunta con la maggioranza prevista per la nomina dell'amministratore e la relativa spesa è ripartita fra tutti i condomini sulla base dei millesimi di proprietà.
Meno preciso ma comunque identico nella sostanza l'art. 71-ter disp. att. c.c. relativo al sito internet condominiale.
Nella sostanza, quindi, l'architrave del sistema di ripartizione delle spese resta l'art. 1123 c.c. secondo il quale:
Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
La riforma, quindi, rappresenta, per certi versi, un'occasione persa.
Alcuni esempi per spiegare meglio questo concetto.
Ad oggi ed anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 220/2012 dovrebbe valere quanto detto dalla giurisprudenza.
L'uso del condizionale è dovuto al fatto che la riforma introduce nell'art. 1117 c.c. un riferimento alla facciata; con questo termine s'individua la parte frontale di un edificio con riferimento tanto a quella così detta principale, insomma quella che si affaccia sulla pubblica via, quanto a quelle interne.
In buona sostanza è lecito domandarsi: nominando la facciata il legislatore ha inteso annoverare tra le parti comuni anche la parte frontale dei balconi?
Così non fosse continuerebbe a valere ciò che afferma la Cassazione vale a dire che è del tutto evidente che i balconi non sono necessari per l'esistenza o per l'uso, e non sono neppure destinati all'uso o al servizio dell'intero edificio: è evidente, cioè, che non sussiste una funzione comune dei balconi, i quali normalmente sono destinati al servizio soltanto dei piani o delle porzioni di piano, cui accedono.
D'altra parte, solo in determinate situazioni di fatto, determinate dalla peculiare conformazione architettonica del fabbricato, i balconi possono essere considerati alla stessa stregua dei solai, che peraltro appartengono in proprietà (superficiaria) ai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastante e le cui spese sono sostenute da ciascuno di essi in ragione della metà (art. 1125 cod. civ.).
Per la verità, è possibile applicare, mediante la interpretazione estensiva, la disciplina stabilita dalla citata norma di cui all'art. 1125 all'ipotesi non contemplata dei balconi soltanto quando esiste la stessa ratio.
Orbene, la ratio consiste nella funzione, vale a dire nel fatto che il balcone - come il soffitto, la volta ed il solaio - funga, contemporaneamente, da sostegno del piano superiore e da copertura del piano inferiore (Cass. 21 gennaio 2000 n. 637).
Ciò per quanto riguarda i balconi così detti incassati.
Quanto ai così detti balconi aggettanti si afferma, anche qui ormai da lungo tempo, che essi rappresentano un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa; soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole (v., da ultimo, Cass. 23 settembre 2003 n. 14076) (così Cass. 30 luglio 2004, n. 14576).
Insomma: una maggiore chiarezza sarebbe stata decisamente utile.
Sul punto la legge non dice nulla di specifico nè nel codice civile, né nella legge n. 392/78 che all'art. 9 individua gli oneri a carico del conduttore.
Secondo la giurisprudenza, ma spesso la prassi è contraria, le spese riguardanti il compenso dell'amministratore e quello dell'assicurazione dell'edificio devono essere sempre corrisposte dal proprietario in quanto aventi origine e fondamento nei diritti dominicali sulle parti comuni, per le prime, ed in quanto effettuate per garantire la conservazione delle situazioni dominicali per le seconde (così Trib. Roma 13 luglio 1992, sul punto si veda anche Cass. 11 novembre 1988 n. 6088).
La questione, a dirla tutta, riguarda solo latamente il condomino, posto che il conduttore non è soggetto obbligato nei confronti della compagine ma solamente verso il proprietario dell'unità immobiliare.
Secondo un primo orientamento la presunzione di comproprietà, prevista dall'art. 1117 c.c., n. 3, anche per l'impianto di scarico delle acque, opera con riferimento alla parte dell'impianto che raccoglie le acque provenienti dagli appartamenti, e, quindi, che presenta l'attitudine all'uso ed al godimento collettivo, con esclusione delle condutture (ivi compresi i raccordi di collegamento) che, diramandosi da detta colonna condominiale di scarico, servono un appartamento di proprietà esclusiva (Cass. n. 19045/10).
Più di recente sempre la Cassazione ha concluso nel senso opposto, affermando che ai sensi dell'art. 1117 comma 3 c.c., la proprietà dei tubi di scarico dei singoli condomini si estende fino al punto del loro raccordo con l'innesto nella colonna verticale, all'altezza di ciascun piano dell'edificio. Ne consegue che la parte della colonna di scarico che, all'altezza dei singoli piani dell'edificio condominiale, funge da raccordo tra tale colonna e lo scarico dei singoli appartamenti (braga) va qualificato come bene condominiale, proprio in relazione alla sua funzione e in quanto strutturalmente collegata al tratto verticale dello scarico, del quale costituisce parte essenziale (Cass. 19 gennaio 2012 n. 778).
In definitiva sul tema della ripartizione delle spese, la legge di riforma del condominio avrebbe potuto essere molto più incisiva.
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