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È possibile rinunciare alla proprietà di un bene immobile?
Il problema della rinuncia alla proprietà immobiliare (casa o terreno) è sicuramente una questione di grande attualità. In un contesto di crisi economica, essere titolari di un diritto di proprietà su un immobile può essere alquanto oneroso. Liberarsi di un terreno o di un edificio può essere una scelta opportuna per evitare il pagamento di tasse o spese di manutenzione e gestione.
Per esempio, se si possiede un terreno non edificabile e non coltivabile, mantenere la proprietà non costituirebbe altro che un costo.
Anche le spese di ristrutturazione possono essere considerevoli, soprattutto se l'immobile non viene abitato o dato in affitto. Per non parlare del rischio di dover risarcire chi, magari, a seguito delle condizioni fatiscenti del bene, rischia di esserne danneggiato a causa della mancata manutenzione.
La volontà di rinunciare alla proprietà o ad altri diritti reali su un bene può dipendere, oltre che da motivi fiscali, anche dall'assenza di interesse e dallo scarso valore assunto dal bene nel corso del tempo. Magari non si riesce a venderlo né vi è qualcuno a cui affittarlo o donarlo.
Unica soluzione resta l'atto di rinuncia alla proprietà. Quando una casa è solo fonte di spese o di responsabilità, spesso la soluzione migliore sembra proprio quella di disfarsene.
Che fine fa l'immobile del quale si è persa la proprietà?
In caso di rinuncia alla proprietà immobiliare, il bene viene ceduto allo Stato.
Come si deve procedere, quando è consentito un atto di rinuncia?
A queste domande cercheremo di dare una risposta per fare chiarezza sull'argomento tenendo conto che la questione è oggetto di dibattito tra giurisprudenza e dottrina.
Rinunciare alla proprietà ha il vantaggio di vedersi sgravare del pagamento delle imposte e di eventuali costi di manutenzione, con l'effetto che spese e carico fiscale vengano scaricate sullo Stato o sugli Enti pubblici.
Ecco perché l'atto di rinuncia è ammissibile ma può essere compiuto con le dovute cautele.
Riportiamo di seguito le osservazioni che scaturiscono da uno studio effettuato dal Consiglio nazionale dei Notai. Premettiamo che due sono le situazioni in cui ci si può trovare: la rinuncia della comproprietà di un bene e la rinuncia di un immobile di cui si è proprietario unico.
Le fattispecie sono diverse e devono essere trattate distintamente. Diverse, a seconda dei casi sono modalità ed effetti della rinuncia.
Nel caso in cui si voglia rinunciare a un bene che appartiene a più soggetti e si voglia dunque rinunciare alla propria quota, alla rinuncia non segue l'acquisto della quota da parte dello Stato.
L'effetto di tale rinuncia sarà l'incremento delle quote degli altri contitolari del bene.
I comproprietari che acquisiranno la quota non potranno opporsi all'accrescimento della parte di loro spettanza. L'espansione si avrà anche senza il consenso degli altri titolari.
Qualora non abbiano interesse a tale acquisizione non potranno fare altro che a loro volta rinunciare all'intera quota accresciuta. Se il bene dovesse rimane in capo ad uno soltanto dei proprietari questi potrà rinunciare in favore dello Stato.
Quali sono i costi per poter rinunciare alla proprietà di un immobile in comunione? Occorre recarsi dal notaio per stipulare un atto di donazione. Si dovrà versare l'imposta di donazione che cambia in base al rapporto di parentela che intercorre tra il soggetto che rinuncia e gli altri comproprietari, tenuto conto anche del diverso valore della franchigia.
La rinuncia può essere abdicativa o liberatoria.
Non ci si può liberare della proprietà di un bene condominiale. L'articolo 1118 del codice civile, infatti, afferma che è vietata la rinuncia alla comproprietà sulle parti comuni dello stabile condominiale.
In caso di proprietario unico la rinuncia alla proprietà di un bene immobile comporta il passaggio di proprietà in favore dello Stato. La legge non prevede espressamente che il proprietario di un immobile o un terreno possa rinunciare alla sua proprietà. Si deduce in base a quanto disposto dall'articolo 827 del codice civile ai sensi del quale i beni immobili che non sono di proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato che diviene dunque proprietario dei beni vacanti, in quanto tali e non in forza di occupazione.
In caso di rinuncia ci si dovrà recare davanti a un notaio e redigere un atto di donazione (più propriamente di abdicazione della proprietà) che sarà unilaterale e non richiede l'accettazione.
L'atto notarile di rinuncia alla proprietà dovrà essere trascritto nei registri immobiliari.
Si dovrà inoltre versare un'imposta di registro pari all'8%.
Se in linea di principio la rinunzia alla proprietà immobiliare è ritenuta ammissibile, è necessario evidenziare che vi sono delle eccezioni, in presenza di determinate circostanze.
Per enunciarle facciamo riferimento a una nota dell'Avvocatura dello Stato, nella quale, se da un lato si ritiene ammissibile un atto unilaterale di rinuncia della proprietà di un bene immobile, dall'altro esso non sarà ammesso, se venga compiuto con il solo scopo egoistico di ribaltare sull'Erario i costi necessari per effettuare opere di consolidamento, manutenzione o demolizione, con aggravio per l'intera collettività.
Si potrebbe ipotizzare la nullità dell'atto stesso perché non ritenuto meritevole di tutela, ai sensi dell'articolo 1322 del Codice civile. La nullità potrebbe trovare anche fondamento nel fatto che in simili circostanze l'atto è stato compiuto in frode alla Legge ai sensi dell'articolo 1344 Codice civile.
La nullità potrà essere fatta valere solo a seguito di un accertamento giudiziale con prova a carico dello Stato.
L'Avvocatura dello Stato, più nello specifico, afferma che se è un diritto del proprietario quello di liberarsi della proprietà trasferendo il bene non più voluto allo Stato, dall'altro, la rinuncia è nulla qualora l'atto sia compiuto esclusivamente con lo scopo di liberarsi di terreni che presentano evidenti problemi di dissesto idrogeologico, di edifici che devono essere abbattui vista la loro inutilizzabilità, di terreni inquinati in riferimento ai quali non si vuole sostenere spese di bonifica.
Viene meno l'intento elusivo e fraudolento in presenza, invece, di un terreno semplicemente non più produttivo.
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