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La mancanza di un atto formale di acquisto, magari perso o mai redatto, apre la porta a una delle forme più antiche di acquisizione della proprietà: l’usucapione.
Ciononostante, questa possibilità non è illimitata, e l’ordinamento prevede strumenti specifici per interromperne il decorso, consentendo al titolare effettivo del diritto di riappropriarsi del bene.
L'interruzione può essere naturale e civile, e permette al proprietario dell'immobile di rivendicare il titolo sullo stesso.
Secondo l’articolo 1158 del codice civile, l’usucapione è una modalità di acquisto della proprietà basata sul possesso protratto per almeno vent’anni, purché tale possesso sia continuato, ininterrotto, pacifico, pubblico e non equivoco.
Non serve un contratto: ciò che conta è l’atteggiamento del possessore che agisce come se fosse il vero proprietario, senza nascondersi né usare violenza.
Il presupposto è che il titolare del diritto rimanga inerte per un tempo tanto lungo da giustificare il consolidarsi di una nuova situazione giuridica.
Interruzione dell'usucapione - Getty Images
Quando si tratta di immobili di antica provenienza o di terreni trasmessi informalmente di generazione in generazione, la prova della titolarità diventa spesso un’impresa tutt’altro che semplice.
Ed è qui che entra in ballo il titolo di usucapione.
In simili scenari, il possessore può legittimamente richiedere l'accertamento dell’intervenuta usucapione attraverso una sentenza dichiarativa.
Tuttavia, il proprietario originario può opporsi, interrompendo il decorso temporale necessario, ma a precise condizioni.
Il nostro ordinamento distingue due tipi di interruzione: quella naturale, regolata dall’art. 1167 c.c., e quella civile, disciplinata dagli artt. 2943 e ss. c.c., applicabili all’usucapione per rinvio dell’art. 1165 c.c.
La prima si verifica quando il possessore viene privato del possesso per oltre un anno, in modo effettivo e non volontario.
Si pensi, ad esempio, al caso in cui il legittimo proprietario rimuova una recinzione posta dal possessore, impedendogli di fatto l’accesso e l’uso del bene.
In tale ipotesi, se il possessore non agisce entro un anno per rientrare nel possesso, il tempo precedentemente maturato ai fini dell’usucapione viene azzerato.
L’interruzione civile, invece, si verifica per effetto di un atto giudiziale: la notifica di un atto di citazione volto a rivendicare il bene, l’avvio di un’azione possessoria, o l’azione di riduzione.
In sostanza, il proprietario non può limitarsi a una diffida scritta o a una raccomandata: serve un’azione formale che abbia la forza di sottrarre concretamente il bene al possessore.
La giurisprudenza è unanime nell’affermare che gli atti unilaterali come la messa in mora o la contestazione scritta non hanno alcuna efficacia interruttiva.
Ciò proprio perché non incidono sull’effettivo esercizio del possesso da parte del terzo (Cass. civ., Sez. II, 29 luglio 2016, n. 15927).
L’interruzione civile può avvenire anche attraverso un atto di riconoscimento del diritto del proprietario da parte del possessore, ai sensi dell’art. 2944 c.c.
Tale riconoscimento, benché non debba essere necessariamente indirizzato al titolare, deve essere inequivocabile e concretamente dimostrabile.
Per esempio, se il possessore, pur continuando a utilizzare il bene, ammette espressamente che il diritto di proprietà appartiene ad altri, l’usucapione si interrompe e il computo dei vent’anni riparte da capo.
Ruolo del riconoscimento del diritto altrui - Getty Images
Si tratta di una soluzione più rara nella prassi, ma giuridicamente efficace.
È importante sottolineare, tuttavia, che il semplice pagamento di canoni o tributi da parte del possessore non integra, di per sé, un riconoscimento, a meno che non sia accompagnato da altre circostanze che dimostrino l’accettazione della titolarità altrui.
Il proprietario che voglia impedire l’acquisto per usucapione ha due vie: recuperare fisicamente il possesso entro un anno dalla perdita oppure promuovere tempestivamente un’azione giudiziaria. In entrambi i casi, è essenziale muoversi per tempo.
Una volta che i vent’anni siano trascorsi senza interruzioni, l’usucapione si perfeziona e non è più possibile contestarla.
Se invece si riesce a dimostrare che il decorso del tempo è stato interrotto in uno dei modi previsti dalla legge, sarà ancora possibile ottenere una sentenza di rivendicazione o una pronuncia che neghi l’avvenuta usucapione.
In tal senso, è opportuno avvalersi di un legale esperto, anche perché in materia di diritti reali è prevista l’obbligatorietà del tentativo di mediazione, che rappresenta il passaggio preliminare prima dell’instaurazione del processo.
Un punto fermo in giurisprudenza è che il possesso non può dirsi interrotto da una semplice dichiarazione di contestazione, come confermato dalla Cassazione civile, Sez. II, n. 15927/2016, la quale ha ribadito che gli atti unilaterali non sono idonei a interrompere l’usucapione.
È necessaria un’azione che abbia un'efficacia materiale sul possesso, ossia che sottragga di fatto la cosa al possessore.
Cassazione e interruzione usucapione - Getty Images
Un'altra sentenza significativa è Cass. civ., Sez. II, 19 gennaio 2007, n. 1228, che ha affermato che l’interruzione dell’usucapione può derivare dalla notifica di un atto di citazione per la restituzione del bene, anche se poi il giudizio si conclude con l’inammissibilità o il rigetto della domanda.
In tale ipotesi, ciò che conta è la manifestazione concreta della volontà del proprietario di riprendere il possesso, non l’esito della causa.
In Cass. civ. Sez. II, 8 febbraio 2021, n. 2843, la Corte ha chiarito un altro punto nodale: se il possessore, in un determinato momento, muta la natura del possesso e riconosce il diritto del proprietario, il decorso del termine utile per l’usucapione si azzera.
Il caso analizzato riguardava un bene inizialmente detenuto a titolo di comodato, il cui utilizzatore aveva successivamente smesso di versare il canone senza però notificare alcuna volontà di esercitare il possesso come proprietario.
La Suprema Corte ha ribadito che l’animus possidendi deve essere inequivocabile e manifesto, e che in mancanza di atti di interversione del possesso non è possibile maturare usucapione.
Questo principio opera anche all’inverso: laddove venga riconosciuto il titolo altrui, l’usucapione non può proseguire e il termine deve ripartire da zero.
Nel corpo delle pronunce più recenti si segnala Cass. civ. Sez. II, 25 giugno 2021, n. 18068, secondo cui la vendita di un bene usucapito non interrompe l’usucapione in corso, né può ritenersi atto idoneo ad azzerare il possesso altrui.
La vendita è, infatti, un atto dispositivo del diritto dominicale, ma non incide sul possesso materiale esercitato da terzi.
Inefficacia atti dispositivi - Getty Images
Questa pronuncia mette in guardia contro una convinzione diffusa: molti ritengono che alienare un bene basti a rientrare nella piena disponibilità giuridica dello stesso.
In realtà, se il compratore non ne prende possesso effettivo, l’usucapione da parte del terzo possessore continua indisturbata.
L’unico modo per contrastarla resta l’azione giudiziale o la ripresa effettiva del possesso entro l’anno.
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