|
Il nemico più grande di un edificio esistente, soprattutto se antico, è l'abbandono.
Un edificio che esaurisce la propria funzione viene infatti trascurato, perché ovviamente fare manutenzione su un bene in disuso è uno spreco di risorse, tempo e fatica.
Il modo migliore per salvare un edificio storico è dunque continuare a usarlo o trovargli una nuova funzione se quella preesistente diventa obsoleta o troppo costosa.
Spesso è quindi necessario intervenire su un edificio fatiscente, abbandonato o dismesso, soprattutto se di pregio storico, artistico o culturale.
Le leggi italiane, gli strumenti di pianificazione urbanistica e la prassi corrente prevedono diverse categorie di intervento su tali edifici: la manutenzione, il riuso, il consolidamento, il risanamento e il restauro.
Tuttavia capire la differenza tra questi interventi è purtroppo difficile, perché le definizioni contenute nella normativa vigente sono molto generiche e dunque soggette a interpretazioni contrastanti. La prassi professionale degli addetti ai lavori e le definizioni più dettagliate dei Regolamenti Edilizi ci consentono però di fare chiarezza.
In generale l'intervento più consueto, frequente e leggero, cioè poco invasivo, è la manutenzione: è usuale anche in edifici recenti privi di elementi di pregio e si distingue in manutenzione ordinaria e manutenzione straordinaria.
La manutenzione ordinaria consiste nella semplice esecuzione delle riparazioni ordinarie e correnti come la tinteggiatura delle pareti, la sostituzione delle tegole rotte o ammalorate, il rifacimento delle pavimentazioni interne e così via.
La manutenzione straordinaria comprende invece un insieme più variegato di opere e lavorazioni, tra cui la modifica della distribuzione interna di un edificio o unità immobiliare, l'installazione di strutture esterne come pergolati o gazebo, l'accorpamento di due appartamenti o l'esecuzione di piccole modifiche ai prospetti come l'apertura o la chiusura di una finestra.
Il risanamento conservativo è generalmente finalizzato a restituire a un edificio fatiscente la propria funzionalità o a dotarlo degli standard igienico-sanitari previsti dalle normative vigenti, come ad esempio i servizi igienici, gli ascensori per i disabili o un adeguato numero di finestre per l'illuminazione e la ventilazione naturale.
Questa categoria di intervento si applica generalmente agli edifici storici, anche di pregio artistico e culturale, che tuttavia non risultano vincolati ai sensi del Decreto Legislativo 42/2004, il cosiddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Il restauro viene viceversa riservato quasi sempre agli edifici vincolati.
Per riuso si intende invece qualsiasi intervento volto a riportare in vita un edificio abbandonato o in stato di rudere, attribuendogli una nuova destinazione d'uso anche completamente diversa da quella originaria, purché compatibile con le sue caratteristiche architettoniche. È il tipico caso di un convento riconvertito in scuola, caserma o ospedale, o ancora di un vecchio fienile trasformato in abitazione o bed and breakfast.
Il consolidamento è infine volto a restituire alle strutture portanti (colonne, pilastri, fondamenta, murature, volte, tetti e solai) la propria efficienza statica oppure a migliorarne la sicurezza in caso di terremoto (intervento di miglioramento sismico).
Tra quelli sopra elencati il restauro vero e proprio è ovviamente l'intervento più complesso e articolato, l'unico che a norma di legge viene riservato esclusivamente agli architetti.
Inoltre, anche se dal punto di vista burocratico i piani regolatori, i regolamenti edilizi e le leggi locali o regionali tendono a riservarlo agli edifici vincolati, a mio parere qualsiasi edificio tradizionale o di pregio storico, artistico e culturale risulta meritevole di restauro.
Esistono diverse tipologie di restauro,benché la classificazione non è quasi mai rigorosa: ciascun edificio è infatti unico e irripetibile per storia, stile, materiali e tecniche costruttive e perciò risulta molto difficile stabilire principi e criteri validi in ogni caso.
È ovviamente riservato agli edifici e si distingue dal restauro di singole opere d'arte mobili o immobili come quadri, statue, vasi, affreschi e pitture murali, stucchi, arazzi, mosaici, tappezzerie, libri o mobili antichi soprattutto per la sua complessità. Tuttavia la distinzione è molto sfumata, perché spesso tali opere d'arte fanno parte integrante dell'architettura di un edificio, soprattutto se in stile gotico, rinascimentale, barocco, eclettico o rococò.
È previsto per edifici di notevole pregio come chiese, castelli, conventi o palazzi gentilizi vincolati come bene culturale. Si distingue per il suo carattere multidisciplinare e la complessità dell'intervento: prima dell'esecuzione dei lavori sono infatti previste un'estesa ricerca storica preliminare, vaste campagne di indagini diagnostiche, rilievi architettonici e/o topografici particolarmente approfonditi, dettagliati e analisi di laboratorio su campioni di materiali per stabilirne la natura e/o datarli con sicurezza.
è invece una particolare branca del restauro architettonico finalizzata alla conservazione, recupero e rimessa in efficienza delle strutture portanti: molto simile al consolidamento, si distingue per i metodi di intervento generalmente meno invasivi e più orientati all'uso di materiali e tecniche tradizionali. Viene generalmente utilizzato nel miglioramento sismico di un edificio storico o in seguito a gravi dissesti dovuti al degrado dei materiali, ai cedimenti del terreno o eventi traumatici (quasi sempre terremoti).
Il restauro dei giardini storici si propone invece di tutelare, conservare o restituire alla fruizione i parchi urbani o annessi a edifici di pregio come ville, castelli o palazzi.
I metodi operativi sono in questo caso particolarmente ampi e variegati.
Gli alberi secolari o di grande pregio estetico vengono infatti curati e salvaguardati con le tecniche della dendrochirugia, mentre gli elementi ornamentali come statue, fontane monumentali, false rovine, ponticelli e vere e proprie piccole costruzioni come chioschi, serre o padiglioni (molto frequenti nei grandi giardini manieristi, all'italiana o alla francese) rientrano a pieno titolo nel restauro architettonico e/o di singole opere d'arte.
Anche se, come già accennato, non esistono regole precostituite, il restauroarchitettonico si basa su alcuni principi fondamentali, che tuttavia non vanno intesi come definitivi, in quanto, come qualsiasi altra disciplina tecnica o scientifica, anch'esso è in continua evoluzione.
Esistono diverse teorie su come impostare e gestire un intervento di restauro, ma tutte concordano su alcune parole chiave: compatibilità, reversibilità e minimo intervento, a cui possiamo aggiungere anche il rispetto, l'autentiticità e la riconoscibilità.
È forse l'aspetto più importante, perché un edificio storico ha molti secoli di storia e precise esigenze di tutela. L'architetto si inserisce in una realtà complessa e stratificata, che in un certo senso detta le regole dell'intervento: il progettista dev'essere quindi pronto a dialogare con le preesistenze rinunciando al proprio stile personale.
La compatibilità opera inoltre a vari livelli.
Per prima cosa la nuova destinazione d'uso dev'essere compatibile con la struttura architettonica dell'edificio, inserendosi in esso senza eccessivi stravolgimenti.
Un convento, un ospedale o un palazzo gentilizio possono ad esempio ospitare scuole o musei, mentre il frazionamento in numerosi appartamenti ne compromette la lettura generale e dev'essere evitata. Un fienile o una grande casa rurale possono invece essere suddivisi in abitazioni più piccole senza eccessivi stravolgimenti.
Anche la scelta dei materiali e delle tecniche di intervento deve attenersi al principio della compatibilità, perché molti materiali e tecniche di intervento contemporanee possono causare danni.
Il cemento è ad esempio particolarmente sconsigliato e va utilizzato con molta prudenza solo in alcuni casi. La malta cementizia contiene infatti sali solubili che, nel medio-lungo periodo, possono causare efflorescenze e sub-efflorescenze saline, con effetti estetici indesiderabili e gravi danni agli stucchi e ai dipinti murali. É quindi necessario ripiegare su prodotti specifici a base di calce idraulica o di calce aerea e pozzolana.
Anche i cordoli in cemento armato sono problematici se utilizzati per consolidare un edificio con muri in pietrame o mattoni: essendo molto rigidi e pesanti, durante un terremoto tendono infatti a sbriciolare irrimediabilmente la muratura sottostante.
Ma un intervento di restauro deve anche essere reversibile, cioè dev'essere smontato e rimosso senza alterare irrimediabilmente gli elementi originali. Naturalmente questo è tecnicamente molto difficile, ma una lavorazione poco invasiva, ad esempio il consolidamento di una trave in legno con elementi metallici prefabbricati, viene generalmente considerato un compromesso accettabile. Anche in questo caso l'uso del cemento armato va dunque evitato perché troppo pesante.
Il concetto di minimo intervento è affine e complementare a quelli di compatibilità e reversibilità. L'idea di base è molto semplice:
1) la manutenzione regolare e costante è preferibile a un restauro radicale;
2) tra due o più lavorazioni che portano allo stesso risultato bisogna scegliere quella meno invasiva.
La riconoscibilità risulta fondamentale per distinguere con sicurezza le parti originali dalle nuove integrazioni.
Può avvenire:
- con materiali o lavorazioni leggermente diversi;
- nei dipinti murali, con l'uso di colori in sottotono;
- negli elementi architettonici decorati come archi o capitelli, semplificando la decorazione;
- nelle murature, lasciando le integrazioni leggermente in sottosquadro e/o utilizzando mattoni di fattura industriale.
Tutti questi principi tendono a salvaguardare l'autenticità di un edificio storico, cioè l'insieme formato dalla materia di cui è composto (ad esempio un muro di mattoni o un solaio in legno), dalla sua immagine così come a noi pervenuta in seguito alla trasformazioni subite e anche dai difetti e alterazioni dovute allo scorrere del tempo.
Il rispetto è infine il concetto più sfumato e complesso da capire, in quanto non descritto o normato con precisione, ma è assolutamente fondamentale e imprescindibile in qualsiasi restauro, perché rispetto significa sostanzialmente capire un edificio, accettandone la storia e tutte le piccole imperfezioni.
|
||