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Immaginiamo di essere in trattativa per l’acquisto di una casa.
Quando sembrava che l’accordo sia ormai imminenti e tutti i punti della compravendita ormai definiti il venditore cambia idea e si tira indietro.
Cosa fare visto che avevi fatto affidamento sulla buona riuscita dell’affare?
La legge prevede degli strumenti di difesa per chi dalla mancata stipula di un contratto ormai certo subisce alcuni danni.
Andiamo con ordine e spieghiamo quali sono le regole alla base degli strumenti giuridici previsti dall’ordinamento.
Nell’ambito dei rapporti tra le parti contraenti ciascuna di esse è tenuta all’adempimento di alcuni obblighi. Tuttavia tra creditore e debitore non sorgono soltanto obbligazioni di natura patrimoniale.
Una generale obbligazione accessoria a tutte le altre incombe sia sul creditore che sul debitore ed è quella di comportarsi l’uno verso l’altro secondo le regole della correttezza, previste in linea generale dal codice civile all’articolo 1175.
Correttezza tra le parti significa, in senso più generico, che entrambi i contraenti devono comportarsi lealmente e che l’uno deve cooperare per soddisfare l’interesse dell’altro. In un ambito più strettamente contrattuale si parla di buona fede.
La correttezza rileva non solo quando il contratto è stato concluso bensì anche nel caso in cui ci si trovi in una fase precedente la conclusione dello stesso, poiché è una condizione prevista anche durante le trattative precontrattuali.
All’interno del codice civile è contenuta una norma che formula un generale criterio di comportamento che le future parti contraenti devono adottare e che le tutelano per questo durante lo svolgimento delle trattative.
I rimedi giuridici non sussistono solo in fase di esecuzione della volontà contrattuale. Sono infatti previsti anche durante quella fase preparatoria e propedeutica la conclusione del negozio, dunque durante le trattative.
Anche nella fase dell’incontro in cui si abbozzano i termini dell’accordo vi sono norme che impongono alle parti di comportarsi, l’una nei confronti dell’altra secondo buona fede.
Buona fede non è altro che un vero e proprio dovere generico di lealtà.
Essa di fatto vuole impedire il compimento di abusi ai danni di una parte, senza che vengano disciplinate dal legislatore in maniera precisa e puntuale tutte le molteplici situazioni in cui esse potrebbero venire a trovarsi in questa fase molto importante.
Spetta al giudice, in caso di conflitto, stabilire se il comportamento adottato da una di esse è improntato o meno a buona fede, tenendo conto delle regole del costume.
Nell’ambito delle trattative contrattuali il dovere di buona fede si sostanzia innanzitutto nel dovere di informazione.
Ciascuna parte ha il dovere di dare notizia all’altra delle circostanze che a essa sono note e che possono essere determinanti del suo consenso.
Si pensi a circostanze tali per cui l’altra parte, se ne fosse stata a conoscenza, non avrebbe concluso il contratto o lo avrebbe concluso a condizioni diverse.
Per fare un esempio concreto, ipotizziamo che in fase di vendita di un’area edificabile, il venditore non dica al futuro compratore di essere a conoscenza di un progetto di variante del piano regolatore che dovrebbe modificare la destinazione dell’area rendendola agricola. Al dovere di informazione si collega in modo stretto il concetto di reticenza.
L’omessa informazione può dare luogo adun’azione di danni da parte del soggetto leso a prescindere dal fatto che vi siano gli estremi per chiedere l’annullamento del contratto eventualmente concluso che implica un vero e proprio vizio del consenso.
Un’ipotesi fortemente acclarata dalla giurisprudenza è quella del recesso senza giusta causa dalle trattative precontrattuali.
È contraria alla buona fede una ingiustificata rottura delle trattative intraprese, quando l’altra parte aveva motivo giustificato di fare affidamento sulla conclusione dell’affare. Aveva magari, in vista del negozio da sottoscrivere, effettuato delle spese o aveva rinunciato ad altri contratti.
Di seguito le principali regole sulle quali si basano le decisioni dei giudici in riferimento a casi simili.
È irrilevante l’eventuale breve durata delle trattative o il numero di incontri avvenuti tra le parti se l’interruzione di una di esse sia avvenuta senza una ragione giustificata e tale da compromettere il legittimo affidamento che la controparte poteva aver fatto sulla conclusione dell’affare.
Non sussiste invece giusta causa di recesso se il recedente ha addotto delle motivazioni già note alla controparte all’inizio della trattativa o altresì conoscibili con l’ordinaria diligenza.
Esiste giusta causa di recesso se una parte sia stata condotta alla trattativa con il dolo dell’altra che aveva invece già venduto a terzi lo stesso bene.
Chi assuma un comportamento contrario a buona fede nel corso delle trattative recedendo in modo ingiustificato sarà responsabile del danno arrecato.
Qualora, violando le regole della buona fede, taluno cagioni un danno è chiamato a risarcirlo. È la cosiddetta responsabilità precontrattuale.
Secondo comune giurisprudenza tale responsabilità deriva da un fatto illecito che precede o accompagna la formazione del contratto.
Come abbiamo visto il fatto illecito si sostanzia nel non avere correttamente informato l’altro contraente o nell’aver senza giusto motivo interrotto le trattative.
In questa ultima fattispecie la misura del danno sarà uguale al lucro cessante ovvero alla lesione pari alle occasioni perdute.
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