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Qual è il rapporto tra amministratore e condominio?
Nell'ambito di questo rapporto a quali responsabilità va incontro l'amministratore di condominio?
Quando l'amministratore di condominio è direttamente responsabile verso i terzi non condòmini?
Entro quanto tempo si possono fare valere i propri diritti derivanti da responsabilità dell'amministratore di condominio?
Qui di seguito ci occuperemo di dare risposta a questi quesiti; risposta che necessita prima di tutto di un inquadramento del rapporto giuridico che si instaura tra amministratore e condòmini. Partiamo da questo.
L'amministratore di condominio per unanime riconoscimento dottrinario e giurisprudenziale, nonché per sostanziale inquadramento normativo (si veda art. 1129, quindicesimo comma, c.c.), è un mandatario dei condòmini.
Se sia più corretto dire dei condòmini singolarmente intesi, come vorrebbe certa giurisprudenza (su tutte Cass. SS.UU. n. 9148/08) o del condominio quale entità giuridicamente assestante dai singoli (sulla natura giuridica del condominio, si veda, tra le più recenti, Cass. SS.UU. n. 19663/2014) è questione assai spinosa e tutt'ora incerta.
Di sicuro c'è che l'amministratore, una volta assunto l'incarico, si impegna a compiere una serie di atti giuridici in nome e per conto dei propri rappresentati. Atti individuati in via principale dagli articoli 1129 e 1130 c.c.
Il mancato adempimento degli obblighi assunti con l'accettazione dell'incarico comporta per l'amministratore l'insorgere di responsabilità; di sicuro le violazioni rispetto alle quali il mandatario può essere chiamato a rispondere non sono soltanto quelle verso i propri rappresentati. Entriamo nel dettaglio.
Possiamo inquadrare la questione della responsabilità dell'amministratore in due macro aree: responsabilità civile e responsabilità penale.
In questo contesto possiamo ulteriormente specificare che la responsabilità civile propriamente riguardante l'attività di amministratore condominiale è prettamente (o forse sarebbe meglio dire esclusivamente) di natura contrattuale, ossia una responsabilità verso i mandanti, cioè i condòmini in ragione di inadempimenti legati al proprio incarico.
Certo, non sono mancate prese di posizione tese a individuare una responsabilità civile extracontrattuale dell'amministratore direttamente verso i terzi, in quanto ricollegabile al suo incarico (si veda in tal senso S. e M. Rezzonico, Manuale del condominio, IlSole24Ore, 2008), ma si tratta di ipotesi residuali o quanto meno di più complicata affermazione.
Altro genere di responsabilità è quella di natura penale. Sul fatto che l'amministratore possa essere chiamato a rispondere di reati connessi al proprio incarico, indipendentemente dal fatto che questi abbiano come soggetti lesi i condòmini o terzi, non vi sono dubbi.
In ambito penale la responsabilità è personale e perciò il reo può essere rappresentato solamente da una persona fisica.
Residua un'ipotesi di responsabilità di natura amministrativa legata alla legge sugli assegni e che in caso di reiterata violazioni delle norme a tutela del credito può portare alla revoca dell'autorizzazione a emettere assegni. Anche qui, sebbene la violazione può essere riferibile formalmente al condominio (assegno tratto su un conto corrente condominiale non capiente), il soggetto responsabile viene a essere considerato l'amministratore, data la natura personale delle sanzioni amministrative di questo genere.
La responsabilità civile, come si è accennato, può avere natura contrattuale o extracontrattuale. È responsabile in via contrattuale l'amministratore che non adempia o non adempia correttamente al proprio incarico. Chiaramente dalla violazione deve derivare un danno, la cui entità deve essere dimostrata da chi lo lamenta.
Un esempio può aiutare a chiarire quest'affermazione: si supponga che l'amministratore condominiale non dia esecuzione alle delibere assembleari, ovvero non utilizzi (o non utilizzi correttamente) il conto corrente condominiale. Si tratta di ipotesi che senza ombra di dubbio rappresentano gravi irregolarità nella gestione (si veda art. 1129, dodicesimo comma nn. 2 e 3, c.c.) che possono portare alla revoca giudiziale.
Se da tali inadempimenti sono derivati danni ai condòmini – si pensi alla mancata esecuzione di una delibera che disponeva l'impermeabilizzazione del tetto cui seguano danni da infiltrazioni – questi potranno agire contro l'amministratore per vederne affermata la responsabilità a vantaggio delle eventuali contestazioni e risarcimenti di cui il condominio potrebbe essere chiamato a rispondere. Lo stesso dicasi per i danni derivanti da mancata o scorretta utilizzazione del conto corrente ed in generale di tutti quei danni derivanti da inadempimenti correlati all'incarico.
Trattandosi di responsabilità di natura contrattuale, all'attore nel giudizio (il condòmino o l'assemblea) spetta l'onere di provare l'esistenza del rapporto, l'inadempimento ed il danno (si veda ad es. (Cass. 3 dicembre 2015 n. 24632), non essendo sufficiente dimostrare il mero inadempimento. Sull'amministratore convenuto ricade l'onere di provare che la contestazione non è a lui addebitabile o che non v'è stato inadempimento alcuno.
La responsabilità penale è personale. Questo il principio sancito dall'art. 27, primo comma, della Costituzione. Tale principio assume notevole importanza anche in relazione ai reati contestabili all'amministratore condominiale in ragione del proprio incarico.
Partiamo dai reati di cui l'amministratore può essere chiamato a rispondere verso i condòmini.
Il più ricorrente è quello di appropriazione indebita: si tratta del classico caso dell'amministratore fellone che scappa con i soldi dei condòmini.
In tale circostanza la persona che si macchia del reato patisce anche la contestazione dell'aggravante di averlo commesso nell'abuso di prestazione d'opera (art. 61 n. 11 c.p.).
Residuano ipotesi di responsabilità penale per reati commessi verso i condòmini che vedono nell'incarico di amministratore condominiale una mera circostanza occasionale.
Si pensi al reato di diffamazione, a quelli contro la persona (es. lesioni) , ecc.
Esistono poi delle contestazioni di natura penale più ampie di quelle connesse al rapporto con i condòmini e nelle quali l'amministratore può incorrere in ragione delle mansioni affidategli.
Si pensi a tutti i reati previsti dal decreto legislativo n. 81/2008 – anche noto come Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro – o a quelli indicati dal decreto del Presidente della Repubblica n. 380/01 in materia di edilizia.
Si tratta di ipotesi nelle quali l'amministratore viene chiamato a rispondere di contestazioni per fatti che ha commesso in quanto legale rappresentante dei condòmini.
Fatti dai quali possono sorgere responsabilità di natura civilistica verso i condòmini danneggiati dalla condotta del loro legale rappresentante, sempre che gli stessi non possano essere considerati responsabili in concorso con lo stesso.
Chiariti questi aspetti, è utile soffermarsi sulla tempistica necessaria per contestare all'amministratore le proprie responsabilità.
In ambito civile, così come in quello penale, esiste l'istituto della prescrizione: esso non consente – ove sia eccepito in sede civile e non vi sia rinuncia in quella penale – a proseguire nel processo per giungere a un'affermazione di responsabilità.
In ambito civile, per la responsabilità contrattuale in generale (cioè salvo specifiche disposizioni per particolari contratti), ivi compresa quella dell'amministratore condominiale, il termine di prescrizione è decennale (art. 2946 c.c.) e decorre dal giorno dell'inadempimento. Resta salva la possibilità d'interrompere la prescrizione con una lettera di messa in mora. L'interruzione fa sì che il termine prescrizionale ricominci a decorrere nuovamente e per intero dal compimento dell'atto interruttivo.
In ambito penale il termine di prescrizione varia da reato a reato e l'interruzione non ha lo stesso effetto di quella civile, esistendo un limite temporale massimo oltre in quale il reato è estinto (art. 160 c.p.).
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