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Che cosa succede se al termine dell'anno di gestione condominiale dalla rendicontazione presentata all'assemblea dall'amministratore – per la discussione e deliberazione in merito alla sua approvazione – emergono dei residui attivi?
Quali sono i poteri dell'assemblea in relazione a queste somme?
Essa può deliberare in merito oppure le somme devono essere riconsegnate ai condòmini il cui conguaglio risulta positivo?
Per rispondere a queste domande, rispetto alle quali sovente molti ritengono che l'assemblea non abbia alcun potere, è utile guardare alle norme contenute nel codice civile.
L'art. 1135, primo comma n. 3, c.c. specifica che l'assemblea provvede all'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore e all'impiego del residuo attivo della gestione.
La risposta al quesito, quindi, è chiara:
sebbene quella somma sia riferibile solamente al condomino che l'ha maturata, dottrina (Branca, Comunione Condominio negli edifici, Zanichelli, 1982, pag. 624, F. e M. Tamborrino, Come si amministra un condominio, Gruppo24Ore, 2011, pag. 189) e giurisprudenza (cfr. Trib. Milano 5 febbraio 2013 n. 1658 e Cass. 7 luglio 1999 n. 7067) affermano che la norma succitata consente all'assemblea di deliberare sulla destinazione dei così detti residui attivi.
In buona sostanza, il saldo resta sempre riferibile al singolo condomino – in quanto esorbiterebbe dai poteri dell'assise distrarre una somma maturata da un condomino a vantaggio dell'altro – ma l'assemblea ha il potere di deliberare sulla sua destinazione.
E se l'assemblea condominiale non decide nulla in merito?
In assenza di prese di posizione sul punto, si ritiene che il condomino possa chiederne la restituzione.
Esempio: al termine dell'anno di gestione l'amministratore presenta in rendiconto dal quale emerge che molti condòmini hanno versato una somma maggiore rispetto a quella necessaria (somma maggiore derivante, evidentemente, da un preventivo di spesa più alto rispetto ai costi effettivamente sostenuti durante quell'anno).
L'assemblea può deliberare in merito alla destinazione di quel fondo, come si diceva rispettando sempre la riferibilità delle quote ai condòmini che le hanno versate in eccedenza.
Oltre a questo limite, ne esistono altri?
Il dato fondamentale che emerge leggendo le sentenze in materia di destinazione del residuo attivo è che il fondo istituito dall'assemblea abbia una specifica destinazione di modo che il trattenimento delle somme non si trasformi in un arbitrario aumento degli oneri condominiali (cfr. Trib. Milano 5 febbraio 2013 n. 1658).
Come dire: l'assemblea deve indicare se quelle somme vanno ad alimentare il fondo per le spese ordinarie, o magari quello per opere straordinarie già deliberate o ancora se vengono accantonate quale fondo spese per azioni legali di recupero del credito da intraprendersi, ecc.
In quest'ultima sentenza appena citata, il Tribunale di Milano specifica che il residuo cui fa riferimento l'art. 1135, primo comma n. 3, c.c. deve avere ad oggetto una piccola somma, un residuo per l'appunto.
Ad avviso di chi scrive, il residuo attivo dev'essere considerato semplicemente la parte eccedente rispetto ad una somma già versata con una sua specifica funzione e che è stata sovrabbondante rispetto alle necessità della compagine e quindi è, per l'appunto, residuata.
Al di fuori di queste condizioni, le deliberazioni assembleari inerenti la gestione del residuo attivo devono essere considerate invalide.
Non esistendo una generale demarcazione chiara e netta delle categoria della nullità ed annullabilità delle deliberazioni condominiali (se non per i casi specificamente previsti dalla legge), per valutare quando una deliberazione inerente il residuo attivo della gestione debba essere considerata nulla o annullabile non ci si può esimere da una valutazione del suo contenuto.
Così, ad esempio, è sicuramente da considerarsi nulla la deliberazione che, disponendo del residuo, lo utilizza per sanare morosità di altri condomini.
L'assemblea può decidere sulla gestione delle somme comuni, riconducili ai condòmini, senza con ciò ledere i loro diritti di credito verso la compagine.
Del pari nulla dovrebbe essere considerata la delibera che rendendo sostanzialmente inesigibile il credito finisca per congelare quella somma sine die, senza possibilità di utilizzazione da parte del legittimo titolare.
Dovrebbero considerarsi annullabili, invece, le delibere sull'argomento assunte con maggioranze inferiori a quelle richieste dalla legge (ossia quella necessaria per approvare il rendiconto, dunque, il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti alla riunione e almeno un terzo del valore millesimale dell'edificio), nonché quelle in cui l'assemblea pur non ledendo il diritto dei singoli attraverso sottrazione del credito, decide travalicando le proprie competenze per eccesso di potere, ad esempio, utilizzando per finalità non condominiali.
In questo contesto è utile ricordare che la delibera nulla è sempre impugnabile, mentre quella annullabile può essere contestata entro trenta giorni dalla sua adozione o comunicazione a seconda che il condomino sia presente (dissenziente/astenuto anche per delega) o assente dall'assemblea al momento della deliberazione.
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