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Spesso succede che in caso di stipula di un contratto di locazione o di un contratto di compravendita viene inserita una clausola penale.
Il problema che ci si pone è se tale clausola, che si aggiunge alle normali disposizioni contrattuali, sia soggetta a un'ulteriore imposta di registro, ulteriore cioè rispetto a quella che è già stata versata per registrare il contratto una volta sottoscritto dalle parti.
L'argomento è stato oggetto di molte discussioni e controversie poiché nel tempo si sono succedute posizioni contrastanti tra gli Uffici fiscali e la giurisprudenza dei Giudici tributari. Molti contenziosi sono stati aperti in proposito.
Ma facciamo un passo indietro e spieghiamo in primo luogo in cosa consiste la clausola penale.
Nella stipula di un contratto di locazione, ad esempio, è prassi comune prevedere clausole penali al fine di garantire la tutela delle parti contro eventuali inadempimenti contrattuali o ritardi nell'esecuzione dell'accordo.
Nel caso non sia stata convenuta una risarcibilità del danno con onere della prova, la clausola penale ha l'effetto di limitare il risarcimento a quanto espressamente quantificato in caso di inadempienza contrattuale.
In tal caso il danno non deve essere provato dalla parte che si considera lesa perché già predefinito il suo ammontare. Esso viene dunque identificato fin dall'inizio nell'ambito di un'apposita clausola contrattuale.
La clausola penale, disciplinata dall'articolo 1382 codice civile, è una disposizione accessoria con la quale all'interno di un atto (compravendita o locazione che sia) si quantifica in modo puntuale l'eventuale risarcimento.
Siamo di fronte a una forma di tutela stragiudiziale qualora una delle parti sia inadempiente o non esegua la prestazione come dovuto.
Clausole penali e pattuizioni all'interno dei contratti sono spesso finite nel mirino del Fisco. Molti i contenziosi aperti con i quali i giudici hanno invece dato ragione ai contribuenti.
Con due sentenze differenti la Corte di giustizia tributaria della Lombardia ha disatteso l'interpretazione del Fisco mettendo nero su bianco che non è dovuta alcuna imposta oltre a quella iniziale di registrazione dell'atto.
Si tratta delle sentenze della sezione 11 della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia: le n. 2007 del 22 giugno 2023 e n. 1690 del 12 maggio 2023.
La motivazione addotta è che c'è un vincolo tra la clausola penale e il resto del contratto di affitto trattandosi di una pattuizione finalizzata a rafforzare il vincolo contrattuale. Essendo priva di rilevanza autonoma non può essere tassata a parte.
Insomma, nonostante la posizione del Fisco a sfavore del contribuente la bella notizia è che la decisione dei giudici tributari ha aperto la strada verso il consolidamento di una diversa interpretazione questa volta a beneficio dei contraenti.
Sulla base di quanto sostenuto dall'Agenzia delle Entrate la clausola penale, non essendo strettamente connessa al contratto principale cui accede, deve essere tassata in via autonomia. Il contribuente dovrà versare in questi casi una imposta di registro autonoma.
L'Agenzia delle Entrate, infatti, in base alla posizione assunta in merito, con risoluzione n. 91/E del 2004 afferma che le clausole penali sono soggette a una separata imposta di registro di 200 euro oltre a interessi e sanzioni nella misura del 30% e spese di notifica solitamente pari a 17,50 euro.
Seguendo la predetta risoluzione per il Fisco alla clausola penale si applica, per analogia, la disciplina degli atti sottoposti a condizione sospensiva che sono regolamentati dall'articolo 27 del Dpr 131/86.
Quindi, al momento della registrazione, la clausola penale deve essere assoggettata a imposta in misura fissa pari a 200 euro e al momento del verificarsi dell'eventuale inadempimento in misura pari al 3%, al netto delle 200 euro già corrisposte.
In sostanza per l'Agenzia delle Entrate, la clausola penale sarebbe una pattuizione sospensivamente condizionata al verificarsi di un evento (l'inadempimento contrattuale) e come tale soggetta al pagamento di un'imposta in misura fissa.
Nello sconfessare la posizione dell'Agenzia delle Entrate i Giudici tributari evidenziano alcuni aspetti.
Si parte innanzitutto da quanto disposto dall'articolo 21 del TUIR secondo il quale in caso di contratti che contengono più disposizioni possono verificarsi due situazioni differenti:
È dunque fondamentale chiarire la natura delle disposizioni che si sta analizzando, ovvero la natura della clausola penale che è oggetto di diatriba.
Solo se ci si trova nel primo caso sarebbe giustificato il pagamento di un'ulteriore imposta nella misura fissa pari a 200 euro.
Nella fattispecie considerata, la responsabilità al pagamento della tassa aggiuntiva addebitata in solido al locatore e all'inquilino dal Fisco, viene smentita dai Giudici Tributari.
Secondo questi ultimi non siamo in presenza di un'autonoma disposizione nè di una condizione sospensiva bensì di una clausola strettamente collegata alle disposizioni principali del contratto. Ne consegue la non legittimità di un'ulteriore tassazione.
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