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È possibile subordinare l'efficacia di un preliminare di compravendita di un immobile alla concessione del mutuo?
La domanda è certamente interessante, giacché nella pratica si pone molto spesso.
Infatti, se da un lato è ovvio che nella stragrande maggioranza dei casi colui che chiede il mutuo per comprare un immobile (a maggior ragione se si tratta dell'abitazione) non può comprare l'immobile con le sue sole forze, non ha cioè la liquidità (infatti sono certamente meno numerosi i casi di chi chiede il mutuo pur avendo la liquidità perché ad es. vuole destinarla ad altro o comunque non vuole rimanerne sprovvisto), al contempo però la risposta alla domanda non è così scontata.
Spesso, infatti, la richiesta di subordinare l'efficacia del contratto preliminare alla condizione della concessione del mutuo non è accettata dal venditore.
Il compratore che vorrebbe inserire la detta clausola nel contratto si ritrova così a subire pressioni importanti in senso contrario. Sì, perché l'attesa del mutuo costringe il venditore all'attesa.
Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22046, pubblicata l'11 settembre 2018, ritenendo legittima la clausola in parola.
Vediamo con quale motivazione la Corte è giunta a tale conclusione, premettendo alcuni cenni sul contratto preliminare e sulla condizione sospensiva dell'efficacia del contratto.
Il contratto preliminare è in sostanza del contratto con cui le parti si impegnano a sottoscrivere successivamente un altro contratto, prevedendone alcuni o tutti gli elementi.
Il contratto preliminare per antonomasia è quello diretto alla compravendita di un bene immobile.
In tal caso le parti si impegnano, dunque, a sottoscrivere entro un certo tempo il contratto di compravendita: quindi, solo in tale successivo contratto la proprietà passerà da un soggetto all'altro; con il primo, le parti si impegnano a giungere alla sottoscrizione del secondo.
È chiaro che il mancato rispetto dell'impegno comporta delle conseguenze per le due parti; conseguenze che possono variare a seconda del caso concreto e a seconda di quanto le parti hanno stabilito a contratto (ad es. la clausola penale ex art. 1382 c.c.).
Se però si subordina l'efficacia del contratto, e dunque l'operatività delle obbligazioni ivi assunte, alla condizione che la banca conceda il mutuo, va da sé che nel caso in cui ciò non dovesse succedere, non solo non si procederebbe alla stipula del definitivo, ma ciò accadrebbe (o, almeno, dovrebbe accadere) in maniera indolore per il promittente acquirente (ricordiamoci però che bisogna in ogni caso avere a mente il caso concreto e le condizioni contrattuali).
Abbiamo detto che la clausola in questione conterrebbe una condizione sospensiva dell'efficacia del contratto. La domanda che allora sovviene in ordine logico è se un contratto preliminare possa contenere una condizione.
A tale domanda la Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, risponde di sì (riprendendo un principio già affermato dai precedenti cui si richiama), dal momento che solo i negozi per i quali tale divieto è espressamente previsto dalla legge non possono contenere una condizione.
La condizione, insieme al termine e all'onere, è un elemento accidentale del negozio giuridico: in quanto elemento accidentale può essere presente nel contratto solo su volontà delle parti (quando la legge non ne vieti la previsione); essa è distinta dunque dagli elementi essenziali, la cui mancanza, al contrario, incide sulla validità del contratto medesimo.
La condizione (v. artt. 1353 e ss. c.c.) è un evento futuro e incerto da cui le parti fanno dipendere l'efficacia o la risoluzione del contratto: nel primo caso abbiamo una condizione sospensiva dell'efficacia, mentre nel secondo abbiamo una condizione risolutiva dell'efficacia.
La clausola che blocca l'efficacia del contratto preliminare sino al verificarsi della concessione del mutuo, è secondo la sentenza Corte di Cassazione qui in commento, una condizione sospensiva dell'efficacia.
Il nostro codice vieta, per quanto qui interessa, la cosiddetta clausola meramente potestativa:
È nulla l'alienazione di un diritto o l'assunzione di un obbligo subordinata a una condizione sospensiva che la faccia dipendere dalla mera volontà dell'alienante o, rispettivamente, da quella del debitore (art. 1355 c.c.).
Non può quindi farsi dipendere la produzione degli effetti di un contratto da un evento futuro e incerto legato unicamente dalla volontà dell'alienante o del debitore.
Secondo il ricorrente nel giudizio de quo la clausola controversa è una clausola potestativa pura, perché appunto l'avverarsi della condizione è totalmente dipendente dalla volontà di una delle due parti.
È invece ammessa la clausola potestativa mista, il cui verificarsi è legato solo in parte all'azione di una delle due parti ed è la clausola in esame, secondo la Cassazione.
A completamento delle nostre informazioni aggiungiamo che ai sensi dell'art. 1359 c.c. una condizione si considera avverata se non si sia verificata:
per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento di essa (v. art. 1359 c.c.).
La Corte spiega che la condizione in esame è da qualificarsi come mista:
dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell'approntare la relativa pratica, ma la mancata concessione del mutuo comporta le conseguente previste in contratto, sena che rilevi, ai sensi dell'art. 1359 cod. civ., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché tale disposi ione è inapplicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch'essa interesse all'avveramento della condizione, sia perché l'omissione di un'attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l'attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo in una condizione mista" (Cass. Sez. 2, Sentenza n.10074 del 18/11/1996, Rv.500605; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n.23824 del 22/12/2004, Rv. 578807) (v. Cass. n. 22046/2018).
In sostanza, dunque, la clausola non è illegittima ai sensi dell'art. 1355 c.c. perché la condizione prevista dipende anche dall'azione del promissario acquirente, ma la mancata concessione del mutuo comporta le conseguenze previste nel contratto, non rilevando quanto previsto dall'art. 1359 c.c., sia perché tale norma si applica al caso, diverso, in cui la parte dalla cui azione dipende l'avverarsi della condizione non abbia interesse, e sia perché l'omissione di un'attività comporta responsabilità per violazione del principio di buona fede se tale attività comporta un obbligo giuridico e così non è nel caso di attuazione dell'elemento potestativo potestativa mista.
Il principio non è nuovo: infatti - alcuni precedenti sono citati nel testo della sentenza riportato - esso è stato già affermato in precedenza dalla stessa Corte di Cassazione.
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