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Il condominio, dicono studiosi e sentenze, è una particolare forma di comunione (forzosa) nella quale coesistono parti di proprietà individuale (le unità immobiliari) e parti comuni, ossia porzioni di piani, beni e servizi in comproprietà tra i titolari delle prime.
La giurisprudenza ci ha spiegato che per la nascita del condominio non sono necessarie particolari forme, come per le associazioni, le società, ecc.
La compagine condominiale, dice la Cassazione, sorge ipso iure et facto, e senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni, nel momento in cui l'originario costruttore di un edificio diviso per piani o porzioni di piano, aliena a terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata, perdendo, in quello stesso momento, la qualità di proprietario esclusivo delle pertinenze e delle cose e dei servizi comuni dell'edificio (così Cass. 4 ottobre 2004, n. 19829).
In questo contesto assumono un ruolo fondamentale l'art. 1117 c.c. e, prim'ancora di esso, gli atti d'acquisto e (l'eventuale) regolamento condominiale contrattuale ad essi allegato.
Atti e regolamento, infatti, possono prevedere un'elencazione delle parti dell'edificio da considerarsi in condominio; nel loro silenzio bisogna guardare all'elencazione contenuta nell'art. 1117 c.c.
Si badi: come è stato fatto notare in più occasioni, l'elencazione di cui alla norma succitata ha carattere meramente esemplificativo (cfr. da ultimo Cass. 4 giugno 2014 n. 12572). L'elencazione oltre ad essere semplificativa non è perentoria; insomma una parte dell'edificio anche se indicata nell'art. 1117 c.c. può non essere considerata condominiale e viceversa. Fondamentale in tal senso è la funzione che la porzione di edificio svolge: se essa serve (ossia è funzionale) al godimento delle singole unità immobiliari, non vi saranno dubbi sulla sua riconduzione nell'alveo dei beni soggetti alla disciplina del condominio negli edifici.
In buona sostanza l'art. 1117 c.c. rappresenta un punto di riferimento per estendere le valutazioni di condominialità e non condominialità a tutta una serie di parti dell'edificio non elencate.
Il codice civile prevede tra le parti dell'edificio che debbono considerarsi di proprietà comune (salvo diversa indicazione del titolo) il portico.
Esso può essere definito come una sorta di galleria traforata aperta maggiormente verso l'esterno, generalmente situato al piano terra di una costruzione in cui vengono racchiuse principalmente le funzioni decorative e di riparo della parte interna dell'edificio.
I portici possono essere chiusi con delle inferriate, che solitamente regolano il transito limitandolo al pubblico in determinate fasce orarie oppure aperti, ossia liberamente transitabili senza soluzione di continuità; molto spesso questa caratteristica deriva dall'atto autorizzatorio della costruzione dell'edificio oppure da una scelta del costruttore che nel corso del tempo va a configurare una vera e propria servitù pubblica altrimenti nota come dicatio ad patriam.
Il portico, come qualunque altra parte comune dell'edificio, può essere utilizzato dai condomini nei limiti di cui all'art. 1102 c.c. dettato in materia di uso della cosa comune, salvo maggiori restrizioni ed autorizzazioni richieste per il caso di portici soggetti a servitù di pubblico passaggio.
Deve considerarsi legittima, salvo diversa disposizione del regolamento condominiale, l'apposizione di tavolini dei bar nel portico condominiale purché ciò non sia lesivo del pari diritto d'uso degli altri condomini (cfr. Cass. 23 gennaio 2012 n. 869); ciò vuol dire che nei condomini con portici di pertinenza è sempre bene disciplinarne l'uso in modo da garantire il pacifico godimento di quella parte di edificio.
Disciplina non vuol dire compressione del diritto (leggasi divieto assoluto di posizionamento di tavolini): in tal caso, infatti, sarebbe necessario il consenso di tutti i condomini.
Quanto alle spese nel primo caso succitato i costi di manutenzione devono essere sostenuti da tutti i condomini in base ai millesimi di proprietà (salvo diversa convenzione ex art. 1123, primo comma, c.c.)
Nell'ipotesi di portico soggetto a servitù di pubblico passaggio, invece, le spese di illuminazione e manutenzione della pavimentazione, ai sensi dell'art. 40, secondo comma, della legge n. 1150/42, devono essere sostenute dal comune nel quale è ubicato l'edificio.
Ciononostante, ci ricorda la Suprema Corte di Cassazione, nulla vieta che il condominio possa autonomamente deliberare la ricostruzione di tale pavimento con caratteristiche migliorative rispetto a quelle esistenti ed in ordine alle quali il Comune è tenuto alla semplice manutenzione (Cass. 19 novembre 2009 n. 24466).
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