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Il pastellone e il battuto di cocciopesto sono due tecniche tradizionali veneziane molto simili per la confezione di spessi pavimenti monolitici in calce, alternative e più economiche dei pavimenti alla veneziana propriamente detti.
Attestato fin da Rinascimento, il pastellone viene descritto per la prima volta da Andrea Palladio e Jacopo Sansovino nei propri scritti: chiamato spesso terrazzo, era riservato sia agli edifici più modesti sia ai grandi ambienti di rappresentanza dei palazzi gentilizi.
Si presentava come una superficie assolutamente liscia, lucida e priva di qualsiasi soluzione di continuità. Quattro i colori attestati: la tinta naturale del cocciopesto, cioè rosa salmone, rosso, giallo o assai più raramente un verde molto brillante.
Nei locali di servizio o negli edifici più modesti si realizzava un pavimento in tinta unita nel colore naturale del cocciopesto o magari rosso, il colore più diffuso, ma negli esempi più fastosi gli espertissimi artigiani realizzavano decorazioni più complesse: semplici fasce o bordure o meravigliose composizioni di quadrati, rettangoli, esagoni e ottagoni in tre o quattro sfumature contrastanti. Una soluzione molto apprezzata e tipica dei saloni più fastosi prevedeva ad esempio di specchiare a pavimento il disegno del soffitto a cassettoni, creando uno spazio unitario particolarmente suggestivo.
Le origini del pastellone sono tuttavia molto più antiche, perché già negli ambienti di servizio delle ville di Pompei sono attestati pavimenti in battuto di cocciopesto, spesso arricchiti con elaborati motivi geometrici di scaglie di marmo o tessere di mosaico: è il cosiddetto signino, dai risultati estetici sorprendenti.
Oggi il battuto di calce sta vivendo una fase di riscoperta, grazie all'aspetto estetico assolutamente in linea con le ultime tendenze dell'interior design e a una maggiore attenzione verso la sostenibilità ambientale. L'architettura contemporanea predilige infatti le superfici ampie, lucide e lisce, e perciò le aziende e i progettisti tendono ad adeguarsi proponendo piastrelle molto grandi e pavimenti monolitici.
Il battuto di cocciopesto risulta quindi ideale per i suoi numerosi vantaggi, costituendo una validissima alternativa ai pavimenti di resina.
L'uso di materiali completamente naturali esclude infatti la presenza di sostanze potenzialmente nocive, particolarmente dannose in persone allergiche o donne in gravidanza; riduce l'inquinamento atmosferico e contribuisce a un miglior benessere igrotermico all'interno dell'abitazione.
Il cocciopesto ha inoltre una grande resistenza all'umidità ed è quindi particolarmente indicato per i pavimenti e i rivestimenti di bagni e cucine o negli ambienti del piano terra facilmente soggetti all'umidità di risalita capillare.
Anche la tecnica costruttiva è ben collaudata da secoli di sapienza artigiana, continue sperimentazioni e migliorie costanti; perciò, un pavimento realizzato a regola d'arte ha una durata praticamente illimitata.
L'aspetto estetico non è da meno: i moderni pavimenti di cocciopesto si caratterizzano infatti per il loro aspetto sobrio, elegante e minimalista.
Rigorosamente in tinta unita, tendono a esaltare il colore naturale della materia o a esibire delicate sfumature terrose ottenute con l'uso di inerti colorati in polvere di marmo, oppure, secondo la tecnica tradizionale, con pigmenti inorganici a base di terre minerali.
Particolarmente notevole è ad esempio il pavimento in cocciopesto e grafite dei Fratelli Dianti dall'inconfondibile superficie metallica di un bel grigio intenso.
Anche la texture si è rinnovata, perché a differenza dei pavimenti antichi oggi il gesto creativo viene molto apprezzato: il pavimento appare quindi perfettamente lucido e liscio ma con evidenti tracce di lavorazione. Un effetto elegante e discreto, simile a quello di una parete di marmorino con finitura a nuvolato.
Non mancano tuttavia vere e proprie riproposizioni delle finiture antiche, come i pavimenti in pastellone dell'azienda Di.Co Bioedilizia nelle tradizionali sfumature del rosso e del giallo.
Rispetto al passato la tecnica di lavorazione ha subito poche varianti. Le materie prime sono ancora le stesse: grassello di calce aerea ben stagionato; sabbia di fiume o cava ben lavata con granulometria selezionata o polvere di marmo colorato; ciottoli o pietrisco e ovviamente il cocciopesto, cioè frammenti di tegole, mattoni o terracotta finemente macinati.
Le aziende più esperte come 2A Eco confezionano la malta direttamente in cantiere, ma una piccola betoniera ha soppiantato le antiche fosse o vasche in cui la calce veniva amalgamata manualmente.
Se il pavimento va eseguito su un solaio in legno, la prima fase consiste nello stuccare le eventuali sconnessure tra le assi del tavolato e nel proteggerlo con teli in pvc per impedire la caduta di materiale al piano sottostante. Se invece si opera su una volta di pietra o mattoni, il riempimento viene costipato e reso perfettamente orizzontale.
Una volta pronto il piano di pos,a si esegue un'accurata pulizia per rimuovere qualsiasi traccia di polvere o sporco che potrebbe compromettere la corretta presa della malta.
Si stende quindi un primo sottofondo con spessore compreso tra 10 e 20 cm, formato da quattro parti di cocciopesto e pietrisco (o calcinacci di altre lavorazioni) e una parte di grassello.
Dopo avere lisciato e ben battuto il primo strato, si realizza la coperta o coprifondo, un secondo strato preparatorio con spessore di 2-4 cm costituito da una parte di cocciopesto e una parte di grassello. La superficie viene battuta più volte e ripassata con la cazzuola per ottenere un piano perfettamente liscio e orizzontale.
Si lascia quindi riposare per alcuni giorni e quando la coperta è indurita quasi del tutto si lava l'intera superficie e si passa alla vera e propria finitura, con lievi varianti in base alla tipologia di pavimento.
La finitura di calpestio distingue infatti battuto di cocciopesto dal vero e proprio pastellone, perché l'ultimo strato è formato rispettivamente da una semplice malta di cocciopesto oppure da una miscela di grassello di calce, polvere di marmo ed eventuali pigmenti.
Dopo la stesura lo strato finale viene quindi costipato una prima volta con ampi frattazzi o spatole con manico. Si ripete il procedimento varie volte pressando la malta con attrezzi sempre più piccoli per incrementare gradualmente la pressione e favorire l'eliminazione delle bolle d'aria, che creando piccole cavità, le quali, potrebbero lesionare il pavimento.
Durante l'intera lavorazione è inoltre fondamentale bagnare abbondantemente la superficie per evitare che la malta già asciutta assorba l'acqua dell'impasto compromettendone la presa.
Ad asciugatura ultimata, il pastellone veniva anticamente imbevuto fino a rifiuto, con spalmature a pennello di olio di lino crudo e successivamente lucidato con stracci di juta fino a ottenere una superficie a specchio.
Quest'ultima fase al giorno d'oggi è notevolmente semplificata dall'uso di lucidatrici meccaniche, che velocizzando enormemente il lavoro, consentono costi di esecuzione decisamente inferiore.
Un pavimento così realizzato è infine dotato di una certa flessibilità naturale, ma se la superficie è molto ampia o il solaio sottostante particolarmente elastico si prevedono alcuni giunti con sottili listelli di ottone o acciaio, normalmente disposti al centro della stanza nel punto di maggior deformazione di una trave in legno.
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